Uno studio recente sulla “protesta globale” commissionato dall’Aspen Institute (uno dei centri studi dei caporioni del sistema imperialista mondiale, finanziato da fondazioni come la Carnegie Corporation, la Rockefeller Brothers Fund, la Ford Foundation e che ha tra i suoi affiliati leader della politica, dell’economia e intellettuali: tanto per intenderci, tra i membri del Comitato Esecutivo della sezione italiana figurano Giulio Tremonti, Mario Monti, Giuliano Amato, Romano Prodi, Emma Marcegaglia, Fedele Confalonieri, Paolo Mieli, Luigi Abete, Umberto Eco, Johm Elkann, Cesare Romiti…) esamina i movimenti di protesta che si sono sviluppati in oltre settanta paesi (dalla Tunisia agli Stati Uniti, dall’India alla Grecia) negli ultimi cinque anni, cioè da quando la crisi del capitalismo è entrata nella sua fase acuta e terminale. Quali sono le caratteristiche dei movimenti di protesta che la ricerca mette in luce (e che ai suoi committenti interessa indagare)? “I manifestanti, a differenza dei loro padri rivoluzionari, non mirano a un rovesciamento violento dell’ordine costituito”, “nel ’68 gli studenti rivoluzionari erano determinati a capire come funzionava il sistema, oggi il sistema non interessa quasi più a nessuno, gli odierni studenti radicali si preoccupano solo di come essi stessi vivono il sistema, non della sua natura e dei meccanismi che lo governano”, “per molti aspetti, le odierne proteste di massa sono atti in cerca di concetti, pratica senza teoria. Sono l’espressione più plateale della convinzione diffusa che le élite non governino nell’interesse del popolo e che l’elettorato ha perso il controllo sugli eletti”, “si tratta di una rivoluzione senza ideologia e senza scopi definiti: in mancanza di alternative politiche, si risolve in uno scoppio di indignazione morale”, “in tutto il Brasile i manifestanti protestavano sulla scorta di due messaggi simultanei e tra loro contraddittori: ‘il governo non ci rappresenta’ e ‘vogliamo servizi pubblici migliori’ (ndr: contraddittori perché affinché ci sia un ‘servizio pubblico’ ci deve essere un ‘soggetto’ responsabile di progettarlo, metterlo in atto e gestirlo, cioè un governo o più in generale un’istituzione). Era una protesta di consumatori radicali, più che di rivoluzionari utopici”, “i manifestanti non hanno un progetto collettivo: diffidando delle istituzioni, non sono interessati a prendere il potere”, “le proteste del XXI secolo somigliano, per alcuni versi, a quelle medioevali. A quel tempo le persone non scendevano in piazza con l’ambizione di rovesciare il re o di sostituirlo con un altro a loro più gradito, manifestavano per obbligare il sovrano a fare qualcosa in loro favore o per impedirgli di far loro del male”.
Conclusione: “sono proteste senza un progetto politico” e, quindi, restano “un’esplosione spettacolare, ma a conti fatti insignificante, di rabbia popolare”!
Anche le “teste pensanti” della borghesia imperialista confermano, al modo in cui possono farlo stante la loro natura e gli interessi che difendono, che
1) sono le masse popolari che possono cambiare il corso delle cose (“sono le masse popolari che fanno la storia”),
2) chi conta di riuscire a far fare alle autorità della Repubblica Pontificia una politica meno ostile alle masse popolari con le buone (infilandosi nelle istituzioni, candidandosi alle elezioni, chiedendo con il cappello in mano) o con le cattive (protestando e rivendicando) non va da nessuna parte: è fermo alle proteste medievali quando le persone manifestavano per obbligare il sovrano a fare qualcosa in loro favore o per impedirgli di far loro del male,
3) per cambiare il corso delle cose non basta l’indignazione, il senso comune e la buona volontà, ma occorre una visione giusta, scientifica del problema (la comprensione della natura del sistema e i meccanismi che lo governano di cui parla la ricerca o, detto in altri termini, delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe) e darsi i mezzi per risolverlo (un progetto politico): “un piano d’azione coerente, inquadrato nella storia del nostro paese e del movimento comunista e nel contesto internazionale, fondato sulle relazioni tra le classi e sull’andamento attuale delle cose e quello del passato”.
Quindi “solo le masse popolari possono cambiare il corso delle cose, mobilitandosi e organizzandosi per soddisfare direttamente le proprie esigenze, rendendo la vita impossibile alle autorità della Repubblica Pontificia, costituendo un proprio governo d’emergenza e facendolo ingoiare ai vertici della Repubblica Pontificia. La soluzione non è né la crescita indiscriminata di ogni produzione né la concorrenza con gli altri paesi. Bisogna che sia il governo del nostro paese a regolare la nostra produzione e le nostre relazioni internazionali. Bisogna stabilire rapporti di scambio, collaborazione e solidarietà con tutti i paesi disposti a stabilirli con noi. Bisogna far produrre alle fabbriche e alle aziende del nostro paese quello che serve a noi e ai popoli con cui abbiamo rapporti. Bisogna sviluppare le produzioni e i servizi che ci servono effettivamente e promuovere con ogni mezzo la partecipazione di tutta la popolazione alla gestione della società e al suo patrimonio culturale, all’arte, alla ricerca, allo sport, alle attività ricreative. Bisogna riorganizzare l’intero sistema delle relazioni sociali. Questo è il corso delle cose che può e deve essere avviato da un governo d’emergenza delle masse popolari organizzate. Tutto questo è possibile, ma per questo bisogna imporre un governo basato sulle organizzazioni operaie e popolari, le istituzioni di un nuovo sistema di potere e di governo” (dal Comunicato del (n)PCI n. 15 del 16 aprile 2014).