Posizioni di principio sul problema della guerra

 

“La vecchia routine impera dappertutto e le parole nuove restano semplici parole!”

Pubblichiamo alcuni passi dello scritto di Lenin Posizioni di principio sul problema della guerra (Opere, vol. 23, testo reperibile anche nella rubrica Classici del movimento comunista sul sito www.nuovopci.it) per due motivi.
Lenin è stato non solo il massimo dirigente del movimento che ha instaurato il potere proletario in Russia, ma è stato anche il principale dirigente del movimento comunista che si è occupato della costruzione della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti. Lenin non solo fu ben consapevole (come lo furono sempre anche Stalin e i migliori dirigenti comunisti russi) che l’esito della rivoluzione russa era fortemente legato all’instaurazione del socialismo nel “cuore pulsante” dell’imperialismo, ma visse per anni in vari paesi europei e fece anche parte del partito socialdemocratico svizzero a cui si riferisce questo scritto. Il socialismo non è stato instaurato in nessun paese imperialista durante la prima ondata della rivoluzione proletaria, proprio per le ragioni che Lenin mette ben in luce parlando della Svizzera di allora: i partiti comunisti non hanno tradotto le parole d’ordine rivoluzionarie generali in misure concrete adeguate alla situazione particolare. Questo insegnamento di Lenin va ricordato ai compagni che oggi in Italia recalcitrano di fronte alla linea del Governo di Blocco Popolare.
La situazione della Svizzera del 1916 ha molte analogie con la situazione dei nostri tempi, con alcune ovvie e importanti differenze. La Svizzera era un paese imperialista non belligerante circondato da paesi imperialisti in guerra fra loro. Non è il caso dell’Italia oggi. Questa differenza, la principale, tuttavia non inficia il ricorso allo scritto di Lenin per definire prospettive e compiti di chi oggi vuole cambiare il mondo. Ciò che per i comunisti e per le masse popolari svizzere era all’ordine del giorno nel 1916, il problema della guerra in corso attorno al loro paese, oggi è per i comunisti e per le masse popolari italiane la guerra di sterminio non dichiarata in corso nel nostro e negli altri paesi imperialisti e la guerra dispiegata che la comunità internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti già conduce in tante parti del mondo: a questa situazione dobbiamo fare fronte con posizioni di principio, cioè con posizioni dettate dalla concezione comunista del mondo. Il principio è universale, vale in ogni contesto nelle forme specifiche.
Ecco perché queste posizioni di principio parlano ai comunisti e alle masse popolari svizzere di 100 anni fa nella lingua universale della prospettiva per trasformare la società. Quella che possiamo e dobbiamo capire anche noi, qui e ora.

“Tra i socialdemocratici svizzeri di sinistra esiste una posizione unanime riguardo alla necessità di respingere, in rapporto alla guerra attuale, il principio della difesa della patria. Anche il proletariato, o quanto meno i suoi elementi migliori, sono orientati contro questo principio.
Sembra pertanto che sulla questione più scottante del socialismo contemporaneo in generale e del partito socialista svizzero in particolare esista la necessaria unità. Eppure, se si esamina il problema più da vicino, si finisce inevitabilmente per concludere che questa unità è solo apparente.
In realtà non c’è la minima chiarezza – e ancor meno unità – di idee sul fatto che chi si pronuncia contro la difesa della patria si pone per ciò stesso obiettivi eccezionalmente alti sia quanto alla concezione guida sia quanto all’attività rivoluzionaria del partito che proclama questa parola d’ordine: a patto, s’intende, che non si tratti di una dichiarazione a vuoto. Proclamare questa parola d’ordine diventa una dichiarazione a vuoto se ci si limita a proclamare il rifiuto di difendere il proprio paese, senza aver chiara coscienza, cioè senza rendersi conto di che cosa questo rifiuto implica, senza capire che tutta la propaganda, l’agitazione, l’organizzazione, in breve, tutta l’attività del partito deve essere radicalmente rinnovata, “rigenerata” (per usare l’espressione di Karl Liebknecht) e adeguata a compiti rivoluzionari di livello più alto dell’attuale.

Esaminiamo con cura e in dettaglio cosa significa rifiutare di difendere la patria, se lo consideriamo una parola d’ordine politica da prendere sul serio, che dobbiamo realizzare in concreto.
In primo luogo, noi chiamiamo i proletari e gli sfruttati di tutti i paesi belligeranti e di tutti i paesi minacciati dalla guerra a rifiutare la difesa della patria. Oggi, attraverso l’esperienza di vari paesi belligeranti, noi sappiamo con assoluta precisione che cosa significa in realtà il rifiuto di difendere la patria nella guerra in corso. Significa negare tutti i fondamenti della moderna società borghese e minare alle radici il regime sociale vigente [perché la guerra attuale è il suo sbocco inevitabile e non è possibile non fare la guerra ma mantenere in vita la moderna società borghese]; questo non solo in teoria, non solo “in generale”, ma nella pratica, immediatamente. Ebbene, non è forse evidente che questo può farsi solo alla condizione non solo di essere giunti nel campo della teoria alla saldissima convinzione che il capitalismo è ormai pienamente maturo per essere trasformato in socialismo, ma anche di essere andati oltre e di ritenere che questa trasformazione, cioè la rivoluzione socialista, è realizzabile in pratica, immediatamente, subito?
Eppure, quando si parla del rifiuto di difendere la patria quasi sempre si trascura proprio questo punto. Nel migliore dei casi si riconosce “teoricamente” che il capitalismo è maturo per essere trasformato in socialismo, ma non si vuole nemmeno sentir parlare dell’immediato e radicale rinnovamento di tutta l’attività del partito per renderla adeguata ai compiti della rivoluzione socialista imminente! Si obietta che il popolo non sarebbe ancora preparato!

Ma qui siamo di fronte a una incongruenza perfino ridicola. Delle due, l’una.
O noi non dobbiamo proclamare il rifiuto immediato di difendere la patria, oppure noi dobbiamo svolgere o cominciare a svolgere immediatamente un’azione metodica di propaganda per la realizzazione immediata della rivoluzione socialista. Beninteso, in un certo senso il “popolo” è “impreparato” sia al rifiuto di difendere la patria sia alla rivoluzione socialista. Ma da ciò non consegue che noi abbiamo il diritto di rimandare per ben due anni – due anni! – l’inizio della preparazione sistematica della rivoluzione [Lenin si riferisce al periodo trascorso tra l’agosto 1914, quando iniziò la prima Guerra Mondiale e il dicembre del 1916- ndr]!

In secondo luogo, cosa si oppone alla politica della difesa della patria e della pace sociale? La lotta rivoluzionaria contro la guerra, le “azioni rivoluzionarie di massa”. Così è riconosciuto nella risoluzione del congresso del partito tenuto ad Aarau del novembre 1915. Si tratta, senza dubbio, di una risoluzione eccellente, ma… ma la storia del partito dopo quel congresso, la sua condotta effettiva mostrano che questa risoluzione è rimasta sulla carta!
Qual è l’obiettivo della lotta rivoluzionaria di massa? Ufficialmente il partito non ha detto niente al riguardo e in generale non si parla affatto di questo problema. Si considera del tutto naturale o si riconosce apertamente che l’obiettivo [della lotta rivoluzionaria di massa] è il “socialismo”. Al capitalismo (o all’imperialismo) si contrappone il socialismo.
Ma questa posizione è assolutamente illogica (sul piano teorico) e priva di contenuto sul piano pratico. Illogica, perché troppo generale, troppo vaga. Attualmente, non solo i seguaci di Kautsky e i socialsciovinisti, ma anche numerosi uomini politici borghesi sono dell’opinione, accettano la tesi che il “socialismo” in generale è il sistema da contrapporre al capitalismo (o all’imperialismo), il suo opposto, la meta verso cui l’umanità sta andando. Ma oggi non si tratta di contrapporre genericamente due sistemi sociali. Si tratta invece di opporre la pratica concreta della concreta “lotta rivoluzionaria di massa” ad un male concreto, cioè all’odierno rincaro della vita, all’odierno pericolo di guerra o alla guerra in corso.
Tutta la II Internazionale, dal 1889 al 1914, ha opposto il socialismo in generale al capitalismo e proprio a causa di questa “generalizzazione” troppo generica è arrivata al fallimento [nel 1914 i maggiori partiti aderenti alla II Internazionale accettarono di collaborare alla guerra agli ordini dei rispettivi governi]. Essa in effetti ha trascurato, non si è occupata del male specifico della sua epoca. Questo male è proprio quello che, quasi trent’anni or sono, il 10 gennaio 1887, Federico Engels indicava con le seguenti parole:
“…Un certo socialismo piccolo-borghese si è ricavato il suo spazio in seno allo stesso partito socialdemocratico e perfino nel suo gruppo parlamentare. Esso consiste in questo: si riconoscono giuste le concezioni basilari del socialismo moderno e l’esigenza del trapasso di tutti i mezzi di produzione in proprietà sociale, ma si ritiene e si dichiara che questa trasformazione sarà realizzata solo in un futuro lontano, tanto lontano che non ha alcuna influenza sull’attività pratica di oggi. In tal maniera per il presente si indirizzano gli uomini a un puro e semplice lavoro di rattoppatura sociale …” (F. Engels, La questione delle abitazioni, prefazione).
L’oggetto concreto della “lotta rivoluzionaria di massa” può consistere soltanto nelle misure concrete della rivoluzione socialista, non nel “socialismo” in generale. I compagni olandesi nel loro programma, pubblicato nel n. 3 del Bollettino della Commissione socialista internazionale (Berna, 29 febbraio 1916), hanno indicato con precisione queste misure concrete: annullamento dei debiti dello Stato (del debito pubblico), espropriazione delle banche, espropriazione di tutte le grandi imprese. Invece quando da noi si chiede di indicare esattamente queste misure concrete, come hanno fatto i compagni olandesi, se si propone di inserire queste misure concrete in una risoluzione ufficiale del partito e di illustrarle metodicamente e nelle forme più popolari nell’agitazione e nella propaganda quotidiane del partito, nelle assemblee, negli interventi in Parlamento, nelle proposte di legge, si riceve sempre la stessa risposta dilatoria, elusiva e sostanzialmente sofistica: il popolo non è ancora preparato, ecc. ecc.!
Bene, se non è ancora preparato, il nostro compito è di iniziare subito questa preparazione e di portarla avanti inflessibilmente!
In terzo luogo, il partito ha “riconosciuto” che occorre la lotta rivoluzionaria di massa. Benissimo! Ma è capace il partito di promuovere e dirigere una lotta rivoluzionaria di massa? Si sta preparando a questo compito? Studia questi problemi, raccoglie il materiale necessario? Crea organizzazioni e organismi adeguati? Discute questi problemi in mezzo al popolo, con il popolo?
Niente di tutto questo! Il partito continua ostinatamente e senza deviare d’un passo a procedere sulla sua vecchia carreggiata esclusivamente parlamentare, sindacale, riformista, legalitaria. Il partito continua a essere incontestabilmente incapace di promuovere e dirigere la lotta rivoluzionaria di massa. È chiaro e noto a tutti che il partito non si prepara affatto a questo compito.
La vecchia routine impera dappertutto incontrastata e le parole “nuove” (rifiuto di difendere la patria, lotta rivoluzionaria di massa) restano semplici parole! Ma i compagni della sinistra, dato che non ne hanno coscienza, non uniscono in maniera sistematica e perseverante le loro forze, dappertutto, in tutti i campi di attività del partito, per combattere questo male” (…).

“O le masse popolari svizzere patiranno la fame, una fame ogni settimana più terribile e correranno il rischio di essere coinvolte da un giorno all’altro nella guerra imperialista, cioè di farsi massacrare per gli interessi dei capitalisti, oppure esse seguiranno il consiglio della parte migliore del suo proletariato, raduneranno tutte le loro energie e faranno la rivoluzione socialista.
La rivoluzione socialista? Un’utopia! Una cosa certo possibile, ma in un’“epoca lontana e praticamente non definibile”!

Questa rivoluzione non è più utopistica del rifiuto di difendere la patria in questa guerra o della lotta rivoluzionaria di massa contro questa guerra. (…) Oggi non si tratta più di scegliere tra continuare a vivere in maniera tranquilla e sopportabile o buttarsi invece nell’avventura. Oggi si tratta di decidere se continuare a soffrire la fame ed essere mandati al massacro per interessi estranei, per gli interessi di altri, o se fare invece grandi sacrifici per il socialismo, per gli interessi dei nove decimi dell’umanità.
Ci dicono che la rivoluzione socialista è un’utopia! Ma, buon dio, il popolo svizzero, non parla una lingua “autonoma”, “indipendente”! Parla tre lingue mondiali, che sono quelle dei paesi belligeranti limitrofi. Non stupisce quindi che il popolo svizzero sappia molto bene che cosa accade in questi paesi. In Germania si è giunti al punto che da un unico centro si dirige la vita economica di 66 milioni di uomini. Da questo centro si organizza l’economia di un paese di 66 milioni di cittadini. Si impongono sacrifici immani alla stragrande maggioranza del popolo perché trentamila privilegiati possano intascare i miliardi dei profitti di guerra. Milioni di uomini sono mandati al macello a vantaggio dei “migliori e più nobili esponenti della nazione”. Dinanzi a questi fatti, di fronte a questa esperienza, è forse utopistico pensare che un piccolo popolo, senza monarchia e senza nobiltà terriera, con un capitalismo molto evoluto, organizzato in associazioni di vario genere forse meglio che in qualsiasi altro paese capitalista, pur di sfuggire alla fame e al pericolo di guerra faccia la stessa cosa che è stata sperimentata praticamente in Germania? Con la sola differenza, beninteso, che in Germania si mandano a morte e si rendono invalidi milioni di uomini per far arricchire pochi privilegiati, per impadronirsi di Bagdad, per conquistare i Balcani, ecc., mentre in Svizzera basta espropriare al massimo trentamila borghesi, non cioè mandarli a morire ma solo condannarli al “terrificante destino” di avere un reddito di “soli” 6.000-10.000 franchi e di consegnare il resto al governo operaio socialista, al fine di salvaguardare il popolo dalla fame e dal pericolo di guerra”.

Gli scritti di Lenin (1916) a proposito della linea per fare la rivoluzione socialista in Svizzera sono raccolti nell’opuscolo La situazione rivoluzionaria in sviluppo e i compiti dei partiti comunisti nei paesi imperialisti (reperibile anch’esso nella rubrica Classici del movimento comunista sul sito www.nuovopci.it).

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