Gramsci è vivo: cosa ci hanno insegnato i seminari di Napoli

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Mai meno di venti e fino a quaranta tra compagni e compagne sono venuti a Napoli da più parti d’Italia a sentire e a capire che le parole di Gramsci scritte ottant’anni fa sono le parole loro, i loro pensieri e sentimenti. Sono i loro problemi, esposti e affrontati nel modo distaccato e appassionato di chi fa le cose con scienza, senza esitazioni perché il tempo per i proletari è prezioso, senza ipocrisie né paura.
Gli insegnamenti dei cinque seminari napoletani sono stati molti. La loro sintesi è la loro traduzione pratica, il fare la rivoluzione, perché il fare raccoglie tutto il dire, e il mare che secondo il senso comune sta in mezzo ai due non è un impedimento, ma semplicemente lo svolgersi del fare in estensione e in profondità, l’unità tra teoria e pratica che solo noi comunisti realizziamo, solo noi il partito della classe operaia, perché superare la divisione tra teoria e pratica è abolire la divisione in classi, che è il compito della classe operaia e del suo partito.
Più che una sintesi, posso parlare di alcuni tra questi insegnamenti che sono di importanza particolare, e sono tre.
La crisi si acuisce, invece di finire come dovrebbe secondo quello che promette ogni minuto che passa la borghesia imperialista, che il dire e il fare insieme non li metterà mai. L’inquietudine di cui parla Mao, che Gramsci chiama irrequietezza, facilmente diventa ansia, angoscia e panico. E’ grazie alla conoscenza che abbiamo e che sviluppiamo, alla concezione comunista del mondo che ci teniamo al di sopra del traboccare di questa inquietudine, che non è un fenomeno spontaneo, ma frutto di uno sforzo della classe nemica, che in Italia ha come centri di potere la Chiesa e lo Stato. Quanto più ci sentiamo inquieti, mortificati e scoraggiati, tanto più siamo vittime della guerra che la classe nemica conduce contro di noi. “Mortificare, reprimere e scoraggiare l’iniziativa pratica e, a monte, l’emancipazione morale e intellettuale della massa degli uomini e delle donne” (Manifesto Programma del (nuovo)PCI), infatti, è lo sforzo che la Chiesa e lo Stato italiano attuano insieme e non da oggi, ma da quando questo Stato si è formato.
Possono sforzarsi quanto vogliono per deprimerci o farci arrabbiare a vuoto e mettere in campo allo scopo tutta l’arte di ingannare le masse che la Chiesa di Roma ha affinato in quasi cinquecento anni fino all’ultima trovata di dare nome Francesco a un gesuita, che è come se un lupo si chiamasse Agnelli, e tutti i mezzi di comunicazione che centocinquanta anni fa nemmeno sognavamo, ma non toccano chi ha padronanza della concezione comunista del mondo, della scienza e della morale nuove, perché una teoria è rivoluzionaria in quanto è appunto elemento di separazione completa in due campi, in quanto è vertice inaccessibile agli avversari. L’affermazione di Gramsci ha valore di legge, allo stesso modo della legge della gravitazione universale. Questo è un primo insegnamento.
Il moderno Principe, sviluppandosi, sconvolge tutto il sistema di rapporti intellettuali e morali in quanto il suo svilupparsi significa appunto che ogni atto viene concepito come utile o dannoso, come virtuoso o scellerato, solo in quanto ha come punto di riferimento il moderno Principe stesso e serve a incrementare il suo potere o a contrastarlo. Il Principe prende il posto, nelle coscienze, della divinità o dell’imperativo categorico, diventa la base di un laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita e di tutti i rapporti di costume (Gramsci, Quaderno 13, nota 1). Il “moderno Principe” è il termine con cui Gramsci chiamava il partito comunista, per sfuggire alla censura. Secondo la nuova morale quindi il giusto e lo sbagliato si decidono in base a quanto sono utili o no al partito. Il partito decide. Questo per ogni piccolo borghese, anarchico o borghese di sinistra che sia, è sconvolgente, è attentato alla propria libertà, come se la libertà potesse essere proprietà individuale. Per un proletario è invece realizzazione della propria libertà, perché un proletario è libero solo con il partito e nel partito. Questo è un secondo insegnamento.
Il terzo insegnamento lo portiamo noi. Lo sviluppo della concezione comunista del mondo, cioè l’attuazione della riforma intellettuale di cui parla Gramsci, la concezione che in Italia è stata introdotta da Antonio Labriola e che oggi è il maoismo, come evoluzione del marxismo e del leninismo, è il punto di partenza della carovana del (nuovo)PCI, il Partito che è all’opera per fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Gramsci ha cominciato a spiegarci perché l’opera non è stata portata a termine e noi stiamo completando la spiegazione e portando l’opera a compimento. Rinascita di Gramsci è togliere di mezzo tutti i dubbi sul fatto che la rivoluzione è possibile e quindi costruire la rivoluzione, che è quanto abbiamo fatto a Napoli e quanto facciamo e faremo nell’intero paese, fino alla vittoria.

Paolo Babini – Responsabile dei seminari La rinascita di Gramsci alla Festa di Riscossa Popolare 2014

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