Fuggire, evadere e crearsi il proprio posto al sole sono parole d’ordine ricorrenti tra i giovani delle masse popolari. Le condizioni pratiche rendono per loro sempre più pressante la necessità di comprendere il corso delle cose e come trasformarlo.
Un compagno di viaggio conosciuto su un treno da Roma a Milano racconta così la sua fuga: “Ho 29 anni e sono originario di Roma ma una volta laureato in ingegneria informatica mi sono trasferito a Novara dove lavoro in un’azienda. Se amo il mio lavoro? Detesto l’informatica, ma l’ho studiata per trovare un lavoro. Fosse stato per me avrei studiato la fisica, la filosofia e le leggi che fanno funzionare il mondo, ma purtroppo non si può fare… Ad oggi se dovessi dire qual è il motivo per cui c’è la crisi e le cose vanno male, direi che è la sovrappopolazione…”.
Per il nostro compagno di viaggio il nostro paese e il mondo vanno a picco perché “siamo troppi” e in questo dà credito alle teorie reazionarie spacciate dalla borghesia e dal clero.
Ma il nostro compagno di viaggio, che è un giovane lavoratore specializzato, inattivo politicamente, ma dalle idee simili a quelle dei milioni che hanno votato M5S, ci indica la passione che lo animava e che ha dovuto abbandonare (“comprendere ogni aspetto del funzionamento del mondo” dice lui, comprendere il corso delle cose in cui l’umanità è piombata con l’aggravarsi della crisi del capitalismo e cosa fare per uscirne, diciamo noi) e ci parla della sua fuga: romano emigrato in una città del nord, per “sistemarsi” e costruire il suo futuro.
E’ un segnale, piccolo ma emblematico, che la crisi in corso mette in tensione le energie intellettuali di quella parte delle masse popolari che impiega il tempo libero in attività finalizzate a capire in che direzione va il mondo. Grande è quindi l’opportunità per i comunisti di portare orientamento e direzione tra di esse e soprattutto tra i giovani: la fascia più attenta e “alla ricerca”. Generalizzando il caso del nostro compagno di viaggio: si fugge, si evade e si cerca un posto al sole dopo aver smarrito la passione per capire in che direzione va il mondo o essersi arresi di fronte alle difficoltà della ricerca. Sta a noi comunisti riaccenderla e convogliarla nella lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista.
La fuga è la risposta precaria ai disastri che la crisi del capitalismo arreca alla vita e alla dignità dei giovani. E’ una risposta precaria perché si fugge dal mondo “cattivo” senza trasformarlo e i disastri si ripresentano, in altre vesti. Ecco allora i laureandi che vanno all’estero per ritrovarsi (salvo i pochi che trovano prestigiosi incarichi professionali corrispondenti ai loro prestigiosi studi) nel giro di breve precari o disoccupati. Altri fanno dello stordimento da alcool e droghe l’anestetico con cui ingoiare le proprie giornate di ordinaria ingiustizia, finendo col peggiorare la propria condizione d’oppressione. Altri ancora cercano di costruirsi un angolo di beatitudine concentrandosi nella cura di sé e dei propri cari, ma (dal medico professionista a chi si ritira a fare l’eremita sulle Alpi) una crisi come quella in corso corrode anche quelle relazioni personali che pretenderebbe immuni dalla crisi tanto da farne l’asse attorno a cui costruire il proprio futuro.
L’individualismo è la regola di condotta, la morale inculcata tra i giovani di oggi. La fuga alla ricerca del benessere individuale è la via pratica che il regime della borghesia e del clero promuove: una condotta immorale che è senso comune per i giovani del nostro paese orientati dalla cultura dominante. Quello su cui è più importante concentrarsi è il carattere solo apparentemente risolutivo della fuga, dell’evasione o della ricerca del posto al sole che dir si voglia.
Chi fugge dal decadente presente cercando un qualche riparo (colorato, esotico, dorato o annebbiato che sia) si comporta come l’inquilino del quinto piano di un palazzo in fiamme il cui incendio è destinato a espandersi dall’ultimo piano a quelli: l’inquilino resiste e non vuol saperne dell’idea che sia tempo di evacuare il palazzo e costruirne uno nuovo (con tutte le fatiche, il sacrificio e le difficoltà del caso); per lui è più comodo ascoltare le voci di chi gli dice “va tutto bene” e si ostina a restare nel palazzo scendendo man mano che l’incendio si propaga da un piano all’altro, ma alla lunga l’incendio raggiunge anche il piano terra. Chi sceglie di non evacuare il palazzo per pensare a se stesso, ai propri cari e ai propri beni (la sacra proprietà privata dei borghesi e “il poco che si ha” nel senso comune di un proletario) e non cimentarsi assieme agli altri inquilini nella costruzione di un nuovo palazzo, finisce travolto dal palazzo oppure si getta dal cornicione quando il fumo e le fiamme gli rendono impossibile la fuga. Il palazzo è il nostro paese diretto dalla borghesia e dal clero e il mondo sottomesso ai rapporti sociali propri dell’ordinamento capitalista. Le fiamme rappresentano la crisi generale che avvolge il nostro paese e il mondo intero sul piano economico, politico, culturale, morale. Gli inquilini sono le masse popolari e tra queste i giovani, oggi alle prese con una scelta epocale. La lotta tra le due linee dell’evacuazione del palazzo per costruirne uno nuovo o della permanenza al suo interno scendendo di piano in piano man mano che le fiamme si allargano rappresenta lo scontro tra lo scrivere una nuova era dello sviluppo dell’umanità (l’era del socialismo, della transizione al comunismo) oppure restare intrappolati nella barbarie in cui la crisi del capitalismo sprofonda giorno dopo giorno.
Ognuno può ricondurre questa metafora alla realtà, è semplice, ma permette di spiegare anche alcuni aspetti più drammatici della guerra di sterminio non dichiarata della borghesia contro le masse popolari e della crisi morale che oggi investe in maniera particolare i giovani, compresi tra di essi alcuni che si dichiarano comunisti e sono addirittura punti di riferimento nei propri territori per questa o quell’altra lotta. Le macerie del vecchio mondo che cade a pezzi non fanno sconti a nessuno e travolgono chiunque non accetti la sfida del presente che non è apportare migliorie al capitalismo (fermare le fiamme che avvolgono il nostro palazzo con un estintore per incidenti domestici), ma costruire un paese nuovo e un mondo nuovo, un nuovo potere e una nuova società, il socialismo (il palazzo nuovo che dobbiamo costruire per trarre in salvo noi e gli altri inquilini del palazzo) dotandoci della scienza necessaria, che nel caso della rivoluzione socialista è il patrimonio del marxismo-leninismo-maoismo. E’ destinato ad essere travolto l’indifferente, lo chiamerebbe Gramsci, che pretende di stare alla finestra a guardare senza occuparsi e curarsi dell’interesse collettivo, tanto è avvolto e soggiogato alla concezione e alla mentalità che nel nostro paese la borghesia e il clero inculcano tra le masse. E sono travolti oggigiorno anche tanti che si dichiarano comunisti, autorevoli e conosciuti promotori di lotte, ribelli sinceri all’ordine infame della borghesia e del clero ma ideologicamente, politicamente e moralmente incapaci di concepire gli obiettivi strategici del presente e di darsi i mezzi per realizzarli a partire dall’assimilazione della concezione del mondo necessaria allo scopo e dalla propria riforma morale e intellettuale. Chi non compie questo processo è destinato a regredire allo stadio degli indifferenti o anche a compiere gesti disperati come lo sono stati suicidi di noti compagni di movimento nel corso di quest’anno (Guccio, Valerio e ultimo in ordine di tempo Chucky Vecchiolla, per citare i casi più conosciuti). E’ questo il limbo in cui si ritrovano i giovani compagni che oggi, per riprendere la metafora del palazzo in fiamme, scorgono che la fuga da un piano all’altro non dà soluzione e si ribellano, ma allo stesso tempo non concepiscono come siano possibili nuove edificazioni in cui trarsi in salvo.
Scrive il (nuovo)PCI nel suo Appello ai giovani del 6 luglio 2014“Ma per gran parte di voi non vi è neanche un lavoro utile e dignitoso che vi attende: i vertici della Repubblica Pontificia vi condannano a imparare un mestiere per fare poi i disoccupati o i lavoratori precari, per emigrare, per servire agli ordini della borghesia e del clero in lavori gran parte dei quali non sono né utili né dignitosi, ma servono principalmente ad arricchire i ricchi, ad impoverire altri lavoratori e a opprimere la massa della popolazione. Giovani, ribellatevi a questo destino! Arruolatevi nelle file del nuovo Partito comunista e delle organizzazioni pubbliche che seguono la sua linea. Arruolatevi nelle file dei combattenti della rivoluzione socialista! Questa è l’impresa di cui ha più bisogno il nostro paese. Questa è l’impresa a cui devono dedicare le loro energie i figli più generosi del paese. Ribellarsi è possibile! Vincere è possibile!”.
Nel contesto dell’intossicazione di regime che esorta i giovani alla fuga rassegnata e all’individualismo più bieco, quello del (n)PCI è un appello dirompente che con nettezza e senza fronzoli chiama i giovani a mettere al centro della propria vita la costruzione della rivoluzione socialista. Ed è un appello dirompente anche a confronto delle dosi di pensiero debole diffuse dalla sinistra borghese che chiama i giovani alla lotta per un “welfare giovanile” o ad ergersi a custodi e testimoni di un’identità e di un dogma da ostentare senza promuovere la coscienza che la trasformazione rivoluzionaria dell’esistente è un processo concreto cui un giovane può contribuire a partire dalla scelta di vita attorno a cui costruisce il proprio futuro.
Con l’avvio del Lavoro Giovani del P.CARC e il nostro primo campeggio giovanile più di quaranta tra giovani e giovanissimi hanno iniziato a discutere di come possono mettere in pratica ciò che è spacciato come un sogno astratto e romantico (questo nel migliore dei casi è la rivoluzione socialista come è presentata nelle scuole e nelle università borghesi).
Un dibattito vero che coinvolge anche i lettori del nostro giornale, poiché entra nel vivo delle contraddizioni di quanti vogliono essere giovani comunisti, ma sono combattuti se prediligere la fuga mentre infuria la bufera della crisi. Sappiamo che i giovani “in fuga” hanno bisogno che emerga una nuova leva di giovani comunisti disposti a mettere la causa del socialismo al centro della loro vita. Abbiamo aperto la lotta per divenire quell’avanguardia capace di trasformare i punti di fuga promossi dal regime in una miriade di scintille che confluiscano nella rinascita del movimento comunista e nella lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista. I giovani del P.CARC lo sanno e anche chi è “in fuga” lo sappia: l’esubero è la borghesia e il suo vecchio mondo. Aderisci alla causa della rivoluzione socialista: questo è il tuo posto!
Il responsabile del Campeggio Giovani alla Festa nazionale della Riscossa Popolare