Se gli operai non si occupano di politica lasciano il campo ai padroni

Gli operai devono occuparsi di politica devono occuparsi della loro azienda e devono uscire dalla loro azienda

genovaper re

Alla base della mobilitazione per la costruzione del Governo di Blocco Popolare, aspetto particolare e tattico della lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista, ci sta la trasformazione del ruolo delle organizzazioni operaie e delle organizzazioni popolari affinché diventino autorità alternative e antagoniste ai vertici della Repubblica Pontificia. Fin qui stiamo sul “generale”. Per entrare nel particolare va chiarito che le organizzazioni operaie, per come le intendiamo noi, sono formate da lavoratori (iscritti o meno al sindacato) dipendenti di aziende capitaliste (non solo gli operai di fabbrica, quindi, ma tutti i lavoratori impiegati nel processo di valorizzazione del capitale da parte dei capitalisti, quindi anche nella grande distribuzione, nei servizi, nella logistica, ecc.).

Abbiamo già illustrato nei numeri 1, 2, 4 e 5 di Resistenza di quest’anno in cosa consiste la trasformazione delle organizzazioni operaie in nuove autorità (“occupare la fabbrica e uscire dalla fabbrica”, anche se a essere precisi dovremmo sostituire a “fabbrica” il termine “azienda”): occuparsi del futuro dell’azienda al pari ma diversamente di come lo fa il padrone (cosa che in modo e in forma diversa fanno già centinaia e migliaia di organizzazioni operaie sparse per il paese) e poi uscire dall’azienda, portare la mobilitazione, l’orientamento e la concezione della classe operaia nel resto della società (del quartiere, della città, della regione, del paese) e fare dell’azienda un centro di aggregazione e di organizzazione anche delle masse della zona circostante all’azienda. Si tratta del passaggio che la classe operaia deve fare dal seguire solo o principalmente le questioni rivendicative al seguire le questioni dell’organizzazione del lavoro, della difesa dei posti di lavoro, delle condizioni della produzione, delle forme, dei modi, dei tempi e delle conseguenze della produzione, sugli operai e sul resto delle masse popolari, dell’inserimento e del ruolo dell’azienda nella società come fornitrice di beni e servizi e come centro di aggregazione, mobilitazione e organizzazione (riprendiamo qui un concetto per niente forzato: rendere la società conforme all’esperienza pratica delle masse popolari, in particolare della classe operaia – vedi l’articolo Anche la storia ha bisogno di una spinta!).

Sappiamo che questa trasformazione è possibile, ma ancora difficile. Alcune concezioni che si sono consolidate nel tempo, soprattutto ad opera dei revisionisti moderni e dei riformisti, hanno scavato una sorta di trincea attorno alla classe operaia “in fabbrica ci si occupa del sindacato e della lotta sindacale, per fare politica ci sono le sezioni del PCI” e su questa scorta sono state allevate generazioni di sindacalisti, più o meno bravi o più o meno corrotti e collusi con la destra sindacale, che hanno fatto valere il principio che “gli operai non devono occuparsi di politica”.

Ma se gli operai non si occupano di politica, certamente se ne occupano i padroni e i loro amici. I risultati non importa neanche dirli, li vediamo.

Gli operai devono occuparsi di politica, devono fare politica, devono estendere il raggio della loro politica alla società intera, perché è la classe operaia che fa girare il mondo (anche se in decenni in tanti hanno provato a convincerci che sono i soldi a farlo girare. Cazzate!), che ha il potere (lasciamo perdere il diritto, perché di diritti i lavoratori ne hanno davvero ormai pochi anche in azienda, figuriamoci fuori) di conformare la società a seconda dei suoi interessi. Che poi sono gli interessi collettivi, dell’enorme maggioranza della popolazione.

La trasformazione delle organizzazioni operaie in nuove autorità è ancora difficile dicevamo. La debolezza del movimento comunista ne è insieme causa ed effetto. Sì, perché la politica della classe operaia non può che essere quella del partito comunista. Cioè la politica della lotta rivoluzionaria che porta le masse popolari a prendere il potere e in ciò la classe operaia ha un ruolo determinante ed essenziale (sia per motivi oggettivi: fa girare il mondo!… sia per motivi soggettivi: è l’unica classe in grado di concepire il funzionamento della società socialista sulla base della propria esperienza concreta e può assimilare la concezione comunista in massa, in virtù del ruolo sociale che già oggi milioni di appartenenti alla classe operaia ricoprono nel sistema di produzione capitalista). 

Troppi discorsi che sembrano campati per aria? Per avere le gambe per marciare le idee devono diventare “cose concrete”. Tanto per fare un esempio,  oggi i padroni le fabbriche le chiudono o le delocalizzano. Per tenerle aperte (che è una questione collettiva, è una questione che riguarda tutte le masse popolari) occorre l’iniziativa delle organizzazioni operaie. Ecco uno dei campi in cui il potere della classe operaia può e deve competere con quello del padrone per tenere aperte le aziende, difendere i posti di lavoro esistenti e crearne di nuovi. Non ci sono ammortizzatori sociali che tengano, non ci sono “elemosine” o contratti di solidarietà, non ci sono scorciatoie. O gli operai si prendono le aziende e le fanno funzionare in concerto con il (e conformemente al) resto della società, oppure i padroni le smantellano, insieme al resto della società.

Sul come fare a trasformare le organizzazioni operaie in nuove autorità, non abbiamo la bacchetta magica. Stiamo facendo “esperimenti” che partono dalla consapevolezza che nella realtà non esiste in nessuna forma la situazione “perfetta”, già “bella e pronta”. Non esiste da nessuna parte l’organizzazione operaia che aspettava solo il via per occupare l’azienda e uscire dall’azienda e diventare nuova autorità.

Esistono organizzazioni operaie che hanno occupato l’azienda (cioè che hanno iniziato ad occuparsene, a partire dalle questioni sindacali e rivendicative), ma ancora sono timide e fragili le esperienze di quelle che escono dalle aziende. E fra quelle che ci sono, vigono ancora una serie di concezioni proprie della sinistra borghese che si possono riassumere nel fatto di tenere separata e distinta la loro lotta (rivendicativa) da quella per costruire la rivoluzione socialista, prendere il potere e ricostruire il paese.

Sappiamo che la trasformazione delle organizzazioni operaie in nuove autorità è difficile, ma sappiamo che dipende dai comunisti, dipende da noi. 

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