Un’azienda capitalista è organizzata in modo collettivo, il lavoro di uno dipende dal lavoro di tutti gli altri, il prodotto che esce da un reparto entra a far parte del processo lavorativo di un altro reparto, il prodotto che esce da un’azienda entra a far parte di un altro processo produttivo, rendendo i lavoratori che li producono interdipendenti gli uni dagli altri (ad esempio la produzione di volanti per auto dipende dalla produzione di automobili). Lo sviluppo delle forze produttive (l’organizzazione del lavoro, la tecnologia, ecc.) rende possibile produrre in meno tempo, il “padrone” spesso non si occupa nemmeno più della sua azienda, ma delega altri a dirigere. Il nucleo produttivo dell’azienda capitalista con i suoi operai è il nucleo centrale della società moderna, il nucleo da cui provengono praticamente tutti i beni prodotti che tutti utilizziamo, il nucleo che determina lo sviluppo di tutta la società. Tutto questo rende evidente che, tolto il parassita che si intasca il plusvalore, è possibile mettere tutto questo meccanismo al servizio delle masse popolari, permettendo, ad esempio, la diminuzione del tempo dedicato alla produzione e aumentando quello per la formazione, la comprensione della realtà e del modo di dirigere la propria vita e la società, l’effettiva direzione della società, ecc. (le attività specificamente umane). Si può dire quindi che l’esperienza concreta della produzione capitalista pone la classe operaia alla testa del processo che sfocerà nel socialismo, la innalza a guida di tutto il proletariato e delle masse popolari.
Se tutto questo fosse chiaro, saremmo a posto. In realtà quelli che sono i rapporti reali, le prospettive rivoluzionarie e le soluzioni alle contraddizioni della società vengono celate (con un articolato sistema di formazione, controllo, menzogna, repressione e concessioni che chiamiamo regime di controrivoluzione preventiva – vedi Manifesto Programma del (n)PCI, pag. 46-56), alle masse popolari e agli operai in particolare. Qualunque sia la loro mansione o il settore in cui sono impiegati, e a fronte della disoccupazione che cresce, questi devono lavorare molte ore al giorno e a ritmi spesso infernali, vengono fiaccati moralmente e fisicamente, il tempo libero e i soldi a disposizione (entrambi sono sempre meno…) vengono incanalati dalla classe dominante verso lo spreco, il consumo e le futilità. La borghesia plasma la società secondo i suoi dettami e questi prevedono che l’operaio lavori, non che pensi. Ma la stessa mentalità della borghesia suggerisce all’operaio che può vendere la sua forza lavoro a un prezzo migliore, che chiedendo aumenti, diritti, ecc. (in sintesi, con la lotta rivendicativa) migliora la qualità della sua vita e la possibilità di avere accesso alle merci in vendita.
Quest’ultimo aspetto viene sempre meno con il procedere della crisi e quella che era la lotta per il salario e le riforme diventa sempre più la lotta per il lavoro e la sopravvivenza. Sempre più numerosi sono gli operai costretti alla lotta su questo fronte, che con coraggio e determinazione cercano di conservare il posto di lavoro. Gli esempi si sprecano, dagli operai Alcoa a quelli dell’Electrolux, da quelli della Jabil a quelli dell’Innse fino all’Irisbus: ce ne sono a decine in tutta Italia. A questi operai in lotta per il lavoro e contro la chiusura delle fabbriche si affiancano quelli in lotta per la difesa dei diritti conquistati con le lotte del passato e sempre più messi in discussione, contro il Jobs Act di Renzi e il Testo Unico sulla Rappresentanza di Susanna Camusso, oppure contro la legge sulle pensioni della Fornero. Tutte queste lotte, per quanto siano determinate e giuste, per quanto siano guidate da operai combattivi hanno un limite comune, quello di restare sul terreno rivendicativo.
Quindi spontaneamente (cioè senza l’intervento dei comunisti) la classe operaia arriva a concepire la necessità della lotta per migliorare le sue condizioni. Invece non arriva altrettanto spontaneamente a concepire la possibilità di scalzare la classe dominante e dirigere la società. Il fatto che questo processo non sia spontaneo è tanto più evidente oggi, in un periodo in cui le lotte rivendicative solitamente non portano a risultati duraturi e definitivi, nel migliore dei casi ottengono risultati parziali e contradditori. Porsi la questione di prendere in mano le redini della società strappandole alla borghesia è un tipo di approccio differente dal rivendicare alla borghesia salario, servizi e diritti, dal chiedere alla borghesia di provvedere ai bisogni delle masse popolari. Presuppone la consapevolezza che la borghesia è su una strada senza via d’uscita e non può che portarci alla rovina e presuppone la volontà di prendere in mano le sorti del paese. Questa consapevolezza, necessaria alla classe operaia per svolgere il ruolo che le compete è ostacolata dalla concezione borghese e clericale del mondo (“lei non è pagato per pensare”), dall’ignoranza e dall’abbrutimento che la borghesia sparge a piene mani, rovesciando sulle masse popolari, sulla classe operaia e sulla società intera la sua decadenza materiale e morale.
Ai comunisti il compito di affermare e promuovere la concezione comunista del mondo. Non è un gioco di parole, solo i comunisti possono promuovere la concezione comunista del mondo che è una filosofia, uno strumento di analisi della realtà e uno strumento per trasformarla. E’, cioè, la combinazione di idee (teoria) e azioni (pratica) che partono e hanno come obiettivo l’affermazione degli interessi collettivi su quelli privati e individuali, la gestione collettiva della società, la liberazione dell’umanità dall’oppressione della classe dominante.
Per essere comunisti non è necessario essere operai, ma visto il ruolo della classe operaia nella società capitalista e quello che avrà nella rivoluzione socialista e nella società socialista, è evidente l’importanza della formazione di operai comunisti per dare slancio alla rivoluzione.
Gli operai comunisti sono quelli che hanno fatto un passo in più rispetto agli operai combattivi. Gli operai comunisti compiono uno sforzo particolare per superare il senso comune: lo sforzo di elaborare l’esperienza pratica della loro classe per concepire un diverso modello di società basato sull’organizzazione razionale, partecipata e pianificata. Lo fanno attraverso lo studio, che è lettura, ragionamento, inchiesta, l’esperienza di organizzazione e di lotta e il bilancio nell’ambito di un collettivo legato al movimento comunista. Gli operai comunisti imparano a pensare e hanno un progetto, si pongono il compito di trovare soluzione ai problemi della collettività, anche al di fuori della propria azienda e dell’ambito strettamente lavorativo, cioè si pongono nell’ottica di conquistare il potere politico, operano con l’obiettivo di instaurare il socialismo.