Risultati elettorali, contesto politico e prospettive. Altro che plebiscito
I risultati delle elezioni europee di domenica 25 maggio per quanto riguarda il nostro paese dicono fondamentalmente due cose. I risultati delle elezioni regionali e comunali a grandi linee le confermano, ma per ogni regione e comune le sezioni e le Federazioni del P.CARC prenderanno il tempo necessario per esaminarli con attenzione e tirarne altre lezioni, in particolare per le condizioni, le forme e i risultati dell’attuazione della linea “costruire Amministrazioni Locali d’Emergenza”. Le elezioni non servono a conquistare il potere, ma a noi comunisti in fase di campagna elettorale sono utili per mobilitare e organizzare e i loro risultati ci servono per capire orientamenti e stati d’animo di classi e gruppi delle masse popolari, la capacità di analisi e azione dei personaggi e organismi promotori del movimento delle masse popolari e degli esponenti della sinistra borghese, per capire le manovre delle classi dominanti. In particolare dopo le elezioni europee i vertici della Repubblica Pontificia stanno conducendo su larga scala una manovra di intossicazione delle masse popolari (la consacrazione di Renzi) che è di per se stessa un’operazione politica (acquisire alleati, scoraggiare avversari, seminare speranze e illusioni, indurre alla rassegnazione le masse popolari). Dobbiamo sfruttare questa manovra a nostro vantaggio. Riusciremo a farlo tanto meglio quanto meglio comprendiamo gli insegnamenti delle elezioni.
Per aiutare ogni lettore a ragionare con la sua testa, riportiamo le tabelle diffuse dal (n)PCI (nel Comunicato n. 21 del 27 maggio) sui risultati delle quattro elezioni generali che i vertici della Repubblica Pontificia hanno fatto svolgere da quando siamo entrati nella fase acuta e terminale della crisi generale del capitalismo e alcuni confronti tra di essi.
Il primo insegnamento delle elezioni europee è che la coalizione dei partiti abilitati dai vertici della Repubblica Pontificia a governare, la coalizione delle larghe intese, perde continuamente consenso tra le masse popolari (da 28.2 milioni di voti nel 2008 è scesa con continuità ai 17 milioni delle elezioni del 25 maggio). Nella coalizione la liquidazione della banda Berlusconi ha fatto il suo corso: dopo la defenestrazione di Ratzinger, la Corte Pontificia è stata energicamente presa in mano da Bergoglio supportato dalla potente congregazione dei Gesuiti e, per quanto riguarda l’Italia, ha puntato con decisione su Renzi e il suo PD e ha quindi spostato su di lui quanto poteva del pacchetto di voti che ancora controlla. Il PD oggi non solo è diventato lo strumento di potere della cricca Renzi, ma ha conquistato un solido primato tra i partiti della coalizione: 11.2 milioni di consensi elettorali sul totale di 17 milioni della coalizione. Il successo elettorale della cricca Renzi si combina con l’appoggio di Squinzi (Confindustria), di Camusso (CGIL) e di altri centri di potere. Berlusconi non è mai stato investito di tanto potere neanche nei momenti in cui godeva del pieno appoggio della Corte Pontificia.
La maggiore difficoltà a capire questo primo insegnamento dei risultati elettorali sta nella categoria coalizione delle larghe intese. I partiti che la compongono si presentano divisi e in competizione nelle elezioni, a livello nazionale e locale. Nei parlamenti e nei consigli regionali e comunali recitano ognuno una sua parte. La coalizione è effettivamente su molti terreni divisa in frazioni, cordate e gruppi (come lo è però anche ognuno dei suoi partiti). Formano realmente un’unica coalizione ai fini del movimento politico del paese?
Gli adepti del cretinismo parlamentare lo negano fermamente: la loro natura infatti consiste nel non distinguere la recita svolta sulla scena del teatrino della politica borghese (dove domina la divisione e i protagonisti si danno botte da orbi e soprattutto si dicono di tutto) e il reale governo del paese. Ma a chi guarda al reale corso delle cose dietro le apparenze del teatrino è chiaro che i partiti e gli uomini politici della coalizione hanno sistematicamente e per lunghi anni seguito lo stesso programma di governo, il programma comune della borghesia imperialista: su questo terreno i governi Berlusconi, Prodi, Monti, Letta hanno lavorato come un solo governo. Dalla svolta degli anni ’90 in qua i partiti della coalizione hanno insieme tramato e fatto affari con i banchieri, gli industriali, gli speculatori e la malavita organizzata. Si sono reciprocamente sostenuti nelle trame e negli affari loschi. Alcuni esponenti di spicco si sono anche lasciati andare a dichiarazioni compromettenti in proposito: Violante, D’Alema, Napolitano sono quelli che hanno fatto più clamore. Ovviamente non si tratta di una compagnia di buoni amici e di chierichetti. Si tratta di una combinazione di trafficanti e criminali, di portavoce ognuno del suo gruppo d’interesse, ognuno dei quali nell’ambito della comune attività della coalizione persegue il suo interesse personale e di gruppo. Si tratta di una coalizione quale ci può essere nella società borghese nella quale il capitale è diviso in parti contrapposte ognuna delle quali deve valorizzare se stessa. Ognuno sta nella compagnia proprio perché è capace di perseguire l’interesse suo proprio (come dice Berlusconi: “a chi affidereste i vostri soldi?”) e nello stesso tempo quello comune di fronte ad avversari e nemici, in primo luogo e principalmente di fronte alle masse popolari.
Una volta accettato che esiste una coalizione delle larghe intese, si pongono in proposito due questioni: è stabile il nuovo assetto della coalizione? In che cosa grazie al nuovo assetto la coalizione può modificare il corso delle cose?
L’ebbrezza del “plebiscito” per il governo Renzi, tanto decantato da giornalisti e opinionisti, finirà in poco tempo. L’esito del voto per le europee è destinato ad alimentare contraddizioni e lotte fra le fazioni dei vertici della Repubblica Pontificia e, in definitiva, ad alimentare l’ingovernabilità del paese. La politica che il governo Renzi praticherà sarà dettata dalla crisi generale del capitalismo e dalla sua soggezione alla comunità internazionale degli imperialisti europei, americani e sionisti (più agli imperialisti USA e sionisti che a quelli europei). Essa susciterà non solo l’opposizione crescente delle masse popolari, ma anche molti mal di pancia nei notabili ed esponenti del PD che perderanno seguito, consensi e clientele.
Il voto alle europee “consacra” Renzi come matador, ma crea alcuni problemi di ordine e gestione fra le fila del governo. Il 40 % raccolto dal PD (2.2 milioni di voti in più rispetto alle politiche dell’anno scorso) è solo una piccola parte del dissanguamento degli eredi dell’UDC di Casini, di Monti e Scelta Civica, di Alfano e Nuovo Centro Destra, di Forza Italia. Questo saccheggio di voti a danno degli altri partiti della coalizione, di cui però il PD continua ad avere bisogno, rischia di complicare le cose alla stabilità e all’operatività del governo italiano. Qualche esempio? Supponendo che i risultati delle europee vengano presi come metro di misura in vista delle prossime elezioni politiche, quali sono gli attuali alleati di Renzi che voterebbero una legge elettorale che li rende del tutto superflui, se non una zavorra? Discorso analogo per le “riforme costituzionali” o le misure contro i grandi burocrati o il taglio delle spesa pubblica (la principale fonte per affaristi e mafie). In un contesto in cui i sopravvissuti della banda Berlusconi sono falcidiati da inchieste, arresti, latitanze, collaborazioni di giustizia e infamate reciproche e il destino dello stesso Berlusconi dipende dalle sorti dei regolamenti di conti, si affiderà Berlusconi armi e bagagli (e aziende, patrimonio e rendite) nelle mani di uno che ha già incassato l’investitura dagli stessi poteri che lo hanno trombato solo un anno e mezzo fa? La guerra per bande è destinata ad allargarsi, in una selva di inchieste e procedimenti incrociati (nel contesto dell’ulteriore sviluppo della crisi economica e finanziaria generale e dell’aumento dello scontro aperto e irrisolvibile diplomaticamente fra USA e UE). Renzi non ha futuro di fronte all’unica forza che ha il preciso interesse e le potenziali capacità per buttare all’aria tutto il teatrino della Repubblica Pontificia, burattini compresi: la classe operaia e le masse popolari.
Il secondo insegnamento delle elezioni europee ci riguarda più da vicino: sono i risultati elettorali di Grillo e del M5S. Il centro di “aggregazione della protesta delle masse popolari secondo il senso comune” si è formato nel corso della fase acuta e terminale della crisi generale del capitalismo e ha avuto la sua prima prova elettorale nelle elezione politiche del 2013 e la seconda nelle europee del 25 maggio. Ha raccolto 8.7 milioni di voti nel 2013 e solo 5.8 domenica scorsa, solo un anno dopo. Cosa significano e insegnano la grande ascesa e il calo repentino?
La grande ascesa è contemporanea allo sviluppo della fase terminale della crisi, alla crescita delle astensioni e alla scomparsa del centro di raccolta della protesta antiregime che lo ha preceduto, l’Italia dei Valori di Di Pietro. Il declino repentino avviene dopo le prove che Grillo e il M5S hanno dato di sé nel corso di poco più di un anno e mentre le astensioni continuano invece a crescere.
In un contesto di sommovimento generale, il pensiero che il M5S avrebbe potuto vivere a lungo di rendita dei “vaffanculo”, della restituzione degli stipendi dei parlamentari, del diavolo a quattro in Camera e Senato che ha costretto la Boldrini (SEL) a levare la maschera di democrazia al Parlamento facendo ricorso alla “ghigliottina”, era un pensiero arretrato, cioè che non stava al passo con i tempi e le forme della crisi politica in corso.
Le masse popolari e i lavoratori di questo paese non se ne fanno niente della scossa legalitaria, moralista, radicale che il M5S ha dato al teatrino della politica borghese. Non se ne fanno niente delle esortazioni a “fare di più e meglio” che il M5S ha continuato a promuovere (rivendicando un ruolo propositivo nei confronti di chi affama e devasta un paese per mantenere in vita un sistema al collasso). Non se ne fanno niente di una “sana e robusta opposizione parlamentare”. Non se ne fanno niente dei milioni di euro restituiti che tornano nelle casse dello Stato (al sistema degli stessi parassiti e ladri che dicono di voler cacciare) e non sui conti correnti degli operai che resistono alla chiusura delle aziende o in quelli delle aziende autogestite dagli operai. Quello che fu chiaro il 20 aprile del 2013, quando a seguito del golpe bianco pilotato da Napolitano, prima Grillo chiamò ad assediare il Parlamento e poi ritrattò per “evitare strumentalizzazioni e che la situazione degenerasse”, quella mancanza di capacità o coraggio ad andare fino in fondo, fino alle estreme conseguenze, ha sedimentato, ha prolificato, è riemersa silenziosamente nella forma di una emorragia di voti che ha punito il M5S e il suo limite di tenere i piedi in due staffe, di non voler realmente governare il paese.
La lezione che ne traiamo è che o Grillo e M5S passeranno decisamente e su grande scala a svolgere il ruolo di centro di aggregazione dell’opposizione al regime, quindi il ruolo di Comitato di Salvezza Nazionale che usa forze e risorse per promuovere la mobilitazione e organizzazione delle masse popolari perché costituiscano un loro proprio governo d’emergenza, oppure Grillo e M5S sono condannati a sparire (al modo dell’IdV e di Di Pietro).
Questo è il dilemma di fronte al quale si trovano Grillo, eletti, amministratori e attivisti del M5S. Noi non siamo ovviamente in grado di decidere per loro. Useremo tutte le forze e i mezzi che abbiamo per mostrare il ruolo che possono svolgere, la natura di questo ruolo, le possibilità di successo e il triste destino che li attende se non lo assumeranno. Mobiliteremo tutte le masse popolari organizzate presso le quali abbiamo già una qualche influenza, mobiliteremo i personaggi e gruppi promotori del Controsemestre Popolare, gli altri personaggi e gruppi autorevoli candidabili a costituire il Comitato di Salvezza Nazionale, i promotori e gli attivisti della lista L’Altra Europa con Tsipras e in genere gli esponenti della sinistra borghese non accecati dal loro anticomunismo, gli amministratori ed esponenti democratici della società civile, perché convincano con le parole e con l’esempio Grillo e M5S ad assumere il ruolo storico e decisivo che possono svolgere.
“Che ingenui, il M5S non è un movimento rivoluzionario, che vi aspettavate?”. Ce lo chiedono in tanti, senza capire, o prima di capire, che il M5S non è certamente un movimento rivoluzionario, ma è, nel panorama istituzionale e parlamentare della Repubblica Pontificia, il movimento più grande che ha le radici piantate nella pancia delle masse popolari, negli umori e nelle aspettative di milioni di persone. Sono le masse popolari che fanno la rivoluzione, non il M5S o questo o quel partito, questo o quel personaggio che partecipa (e lasciamo perdere il risultato) o meno al teatrino della politica borghese a seconda di come gli gira la fortuna o di come si accorda con altri padrini e padroni. Ma il successo del M5S avrebbe creato panico tra i vertici della Repubblica Pontificia e nelle masse popolari avrebbe contribuito a rompere la cappa di rassegnazione e di sottomissione alimentata dai partiti della sinistra borghese. Il declino elettorale del M5S ci indica, ancora una volta, che il percorso per costruire la nuova governabilità dipende principalmente dalle masse popolari organizzate, da quanto noi comunisti saremo capaci di “andare fino in fondo” nel perseguire gli obiettivi che ci diamo, da quanto saremo capaci di valorizzare le aspirazioni e le ambizioni della grande maggioranza della popolazione: le astensioni indicano il loro stato d’animo.
La sconfitta del M5S è salutare vista alla luce del nostro piano di azione. In definitiva è il campanello, uno dei campanelli, che indica che l’unica strada realistica e possibile per rompere con la borghesia imperialista e il suo sistema è costruire il governo di emergenza delle organizzazioni operaie e popolari. I tempi delle anime belle, dei principi illuministi, i tempi della rivoluzione democratica, delle riforme per una politica pulita e per un governo trasparente sono finiti.
Per vent’anni la sinistra borghese e radicale ha profuso lamenti e invettive contro tutto e tutti e in sostanza ha proposto zero e ha finito per fare la stampella ai governi Prodi e D’Alema. Ed è finita come è finita, aggrappata ai sogni di un 4% che aveva il sapore dell’ultimo treno per non finire nel dimenticatoio. Lo hanno preso ma la sinistra borghese conterà quanto contava prima: già alcuni suoi esponenti vanno a bussare da Renzi perché li accolga nella sua ciurma.
Le forme che il movimento popolare assumerà nella lotta contro il governo Renzi, contro la UE e contro gli USA, hanno e avranno tante varianti, alcune già abbozzate nelle contestazioni a Renzi durante la campagna elettorale. Il Controsemestre Popolare, la lotta per il diritto alla casa, la lotta contro il Jobs Act, la lotta contro il razzismo di stato… sono tutte battaglie in cui si possono e si devono combinare il protagonismo delle organizzazioni operaie e popolari con la valorizzazione di quegli eletti del M5S che non si arrendono all’elettoralismo e che osano immaginare un ruolo del M5S diverso da quello che impone il buon senso (comune). E osano assumerlo.
Questa è oggi, e lo sarà in modo crescente nei prossimi mesi, la linea del fronte oltre la quale, visto che la protesta si rivelerà sempre meno efficace, si costruisce l’alternativa politica al governo Renzi, ai vertici della Repubblica Pontificia e alla loro comunità internazionale: si costruisce il Governo di Blocco Popolare.