Movimento no tav fra repressione e solidarietà

 

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Il 10 maggio migliaia di persone (per la questura 5 mila…. realisticamente più di 20 mila) sono scese in piazza a Torino per la liberazione di Mattia, Chiara, Claudio e Niccolò, detenuti da mesi in regime “speciale” in quanto imputati di terrorismo a seguito dell’accusa di aver partecipato a un’incursione in un cantiere del TAV e aver danneggiato un compressore.

Il loro processo nelle intenzioni delle autorità vorrebbe essere una “grande occasione” di rappresaglia contro il movimento NO TAV, che il processo a loro carico si svolga “serenamente” (cioè che le autorità giudiziarie facciano di loro quello che vogliono) è tutto un altro discorso, per cause oggettive e soggettive.

Le cause soggettive sono quelle determinanti: innanzitutto colpire compagni che hanno strutturata un’adesione alla causa, che sono già attivi nel movimento popolare e nella solidarietà di classe, ha in certi casi l’effetto opposto a quello che gli inquisitori puntavano ad avere. E’ questo il caso, in quanto prigionieri i compagni hanno assunto un ruolo che alimenta la mobilitazione dentro e fuori il carcere, che alimenta l’attivismo dei famigliari, degli amici, dei compagni più vicini e di tutta la rete di solidali con il movimento NO TAV. Poi nelle cause soggettive facciamo rientrare il fatto che per quanto colpito da più parti e in modo continuativo, il movimento NO TAV si conferma essere un baluardo di resistenza alle manovre di divisione, criminalizzazione e diversione che le autorità della Repubblica Pontificia promuovono per dividere il movimento: il 10 maggio è stata una grande dimostrazione di forza, nessun altro movimento del paese ha oggi l’autorevolezza e la forza di organizzare, promuovere e realizzare una manifestazione popolare così partecipata in solidarietà di imputati per “terrorismo” (e badate che non c’è nulla di scontato, basta vedere la difficoltà con cui prosegue la mobilitazione per la liberazione degli imputati per gli scontri del 15 ottobre 2011 a Roma). In ultimo, fra gli aspetti soggettivi, la combinazione del primo con il secondo aspetto: il movimento NO TAV ha (e mantiene e sviluppa) il ruolo di alimentare l’identità (l’appartenenza) di classe, di affermare in termini complessivi gli interessi delle masse popolari e di contrapporli a quelli della classe dominante.

Gli aspetti soggettivi sono l’aspetto determinante, dicevamo. Sono quelli che influenzano anche quelli oggettivi (che comunque esistevano a prescindere). Parliamo della divisione nel campo delle autorità della Repubblica Pontificia e dello scontro fra quella parte più risoluta a “sbrigare le questioni” con le maniere forti e quella meno convinta a farlo e più propensa a “rispettare i codici”. Senza la mobilitazione popolare il TAV sarebbe cosa già fatta e senza la mobilitazione contro la repressione e per la solidarietà di classe i Tribunali lavorerebbero senza impicci, fabbrica di condanne.

Adesso (non è certo solo il corteo del 10 maggio, ma di certo ha contribuito) l’accusa di terrorismo a carico dei 4 compagni è decaduta (ecco come gli aspetti soggettivi determinano quelli oggettivi, il corso delle cose) e il processo, che procede comunque, è destinato a sgonfiarsi. O meglio, la mobilitazione popolare può sgonfiare il processo. E per dirla tutta può anche renderlo vano. Cioè tutto finirà come se nulla fosse successo? No, questo è impossibile. Ma è nella dialettica delle cose che man mano aumenta il ruolo delle masse popolari sul contesto politico, man mano entra nel merito dei “fatti e dei misfatti” della classe dominante, e meno agevole è per la classe dominante formulare accuse, teoremi, fabbricare montature, portarle a termine e renderle esecutive.

Oggi non possiamo dire quando e come finirà il processo a carico dei compagni. Ma al di là dei tempi “tecnici” del processo giudiziario è il processo che loro, assieme a decine di migliaia di persone, hanno avviato grazie a come concepiscono il loro ruolo (dentro e fuori il carcere) da accusati ad accusatori, da “devastatori e terroristi” a costruttori di un paese nuovo. Non è retorica. Lo abbiamo visto a Torino e lo hanno visto centinaia di migliaia di occhi.

 

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