Prendete le acciaierie di Piombino: producevano dell’ottimo acciaio, necessario per binari e altre applicazioni. L’altoforno è in via di spegnimento, la fabbrica (5 mila operai con l’indotto) in agonia. Il governo Renzi, dopo che il Papa ha espresso la sua commozione per la sorte degli operai, ha avviato la fabbrica a morte lenta: ha promesso un intervento per un nuovo insediamento industriale che entrerà in funzione tra cinque anni, bla, bla … la storia già vista a Termini Imerese. Ma a Termini Imerese, obietterà qualcuno, si producevano auto e di auto in Italia se ne producono più di quelle che vengono vendute anche senza Termini Imerese. Certo, in questo i due stabilimenti sono diversi: un caso come ce ne sono tanti in Italia e in ogni paese imperialista. Una fabbrica chiude e il pretesto è che suoi prodotti non servono più. Un’altra chiude anche se i suoi prodotti servono, ma il padrone guadagna di più a produrli altrove e comunque i suoi clienti li trovano a prezzi minori da altri. Gli operai comunque vengono gettati sul lastrico (con qualche ammortizzatore sociale) e i giovani non trovano più niente.
Un anno fa un pezzo dell’Emilia è sprofondato perché alcune aziende estraevano gas a manetta dal sottosuolo, altre (o le stesse) continuano a fare lo stesso nell’Adriatico. Perché? Perché con il gas si guadagna: gli USA non hanno forse tamponato la crisi (almeno si dice) lanciando in grande l’estrazione di gas di scisti? E quando sarà approvato il TTIP (Transatlantic Trade and Investmet Partnership) il governo italiano se lo vieterà sarà chiamato a risarcire le ditte che volevano estrarlo!
Potremmo continuare con una serie lunga di fabbriche che chiudono per un motivo o l’altro (dalla Vinyls già defunta, all’Electrolux o la Piaggio sulla via per esserlo), un’altra serie di opere (dall’Expo 2015 a Milano al TAV della Val di Susa) che sono in corso e di cui non c’è affatto bisogno o addirittura mettono in pericolo la vita, di opere incominciate e lasciate a metà, di lavori necessari mai fatti, di malati non curati e di bambini all’abbandono. La ragione unificante di questi casi diversissimi è che nel nostro paese le attività economiche sono i capitalisti a deciderle e i capitalisti le fanno se servono e finché servono ad aumentare i loro soldi. Sembra assurdo, ma è reale: è il capitalismo. E’ assurdo nel senso che il capitalismo non corrisponde più alle necessità degli uomini, anzi le calpesta.
Per secoli in Europa il capitalista è stato un personaggio positivo, crudele certo ma crudeli erano anche i suoi predecessori, di cui prendeva il posto: i preti e i feudatari, gli agrari che spremevano il sangue e il sudore dei contadini. Il capitalista, a differenza di questi ultimi, portava progresso: i vecchi prodotti più a buon mercato e nuovi prodotti e per il suo interesse spronava lo sviluppo delle scienze, delle ricerche, delle conoscenze, dell’istruzione e perfino dell’assistenza sanitaria. L’Europa è uscita dal buio del Medioevo ed è diventata il continente alla testa alla civiltà umana grazie alla borghesia. Tra guerre, distruzioni, sangue e lacrime, sofferenze e crudeltà di ogni genere. Ma in questo la borghesia non si distingueva che in meglio dalle vecchie classi dominanti. Solo che le forze di distruzione crescevano man mano che crescevano le forze di produzione. L’assurdità della situazione attuale è che oggi le prime sopravanzano le seconde. Quel processo doloroso ma che aveva anche un lato positivo (sotto la sferza dei capitalisti gli uomini aumentavano le forze produttive di cui disponevano e miglioravano le condizioni su cui si basava la loro sopravvivenza e il progresso della civiltà), non è più necessario, gli uomini possono porvi fine, è diventato necessario porvi fine perché per aumentare la massa del proprio denaro i capitalisti stanno saccheggiando e devastando il mondo con attività insensate, stanno facendo produrre cose che non servono che ad essere vendute per fare denaro, stanno riducendo alla miseria e all’abbrutimento la massa della popolazione.
Il socialismo è l’avvio della fine del dominio della borghesia. La sua base consiste nel togliere alle azienda capitaliste la produzione dei beni e dei servizi e affidarla ad aziende pubbliche, come negli anni passati per un certo periodo lo erano ospedali, scuole e altre aziende di produzione e di servizi gestite dalle pubbliche autorità. Ovviamente per instaurare questa base è necessario che il governo della società sia in mano a chi vuole instaurarla e che i lavoratori non compiano più la loro opera perché costretti dalla miseria: oggi lavora solo chi non può farne a meno, il lavoro è una condanna per i proletari, e guai a non essere condannati!
Quindi il socialismo comporta determinate condizioni politiche, morali e culturali: in breve un intero sistema di relazioni sociali diverso dall’attuale. Ma un sistema di cui si conosce tutto, potremmo dire, salvo che i capitalisti, la borghesia (e la Chiesa Cattolica, che della borghesia è diventata un’alleata per difendere le sue proprietà e i suoi privilegi che inizialmente la stessa borghesia aveva intaccato), ne ostacolano con ogni mezzo l’instaurazione. E’ impossibile comprendere il filo conduttore della storia mondiale degli ultimi 150 anni se non si comprende che alla sua base vi è la lotta delle masse popolari e in particolare della classe operaia per instaurare il socialismo (la via al comunismo), la lotta dei popoli oppressi dalla borghesia imperialista per liberarsi dal suo dominio, la lotta della borghesia per sbarrare la strada alle masse popolari sia dei paesi imperialisti sia dei paesi oppressi, la lotta dei gruppi capitalisti tra loro perché ognuno deve anzitutto aumentare il suo capitale. Lo confermano le privazioni atroci e le aggressioni a cui hanno dovuto far fronte i primi paesi socialisti lungo tutto il secolo scorso, prima per l’aggressione delle potenze dell’Intesa, poi per l’aggressione nazifascista e infine per la “guerra fredda” scatenata nel 1946 da Churchill (Inghilterra) e da Truman (USA) e condotta con particolare ferocia e astuzia a livello mondiale. Anche se i primi paesi socialisti sono infine crollati, non c’è altra via d’uscita dalla nuova crisi generale del capitalismo e dalla catastrofe che fanno gravare sull’umanità le manovre della borghesia e del clero per conservare i loro privilegi nonostante la crisi generale del sistema di relazioni sociali e internazionali di cui essi sono l’espressione.
Il socialismo non solo è necessario, ma è possibile. In generale il socialismo è possibile perché non è più necessario che la massa della popolazione dedichi il grosso del suo tempo e della sua energia alla produzione di beni e servizi: la divisione dell’umanità in classi è “storicamente superata”. Da sempre la lotta per strappare alla natura quanto necessario per vivere è stata l’attività fondamentale dell’umanità. I pochi che non lavoravano, vivevano alle spalle delle masse che lavoravano fino allo sfinimento. Ma quei pochi che non lavoravano svolgevano (hanno svolto) anche un ruolo determinante ai fini dello sviluppo generale della civiltà: il patrimonio culturale dell’umanità era loro riserva di caccia. Oggi questo non è più necessario. Oggi possiamo produrre tanto quanto vogliamo. Proprio per questo dobbiamo regolare consapevolmente, a ragion veduta, cosa e quanto produrre (oltre a come produrre). La quantità fa qualità.
Il socialismo oggi in Italia non è “tutti a lavorare per otto ore per produrre più beni e servizi possibile”. Il socialismo non è la crescita della produzione di beni e servizi. Il socialismo è riorganizzare la società in modo che la massa della popolazione partecipi alla gestione della società e al resto delle attività specificamente umane (quelle che differenziano gli uomini dagli altri animali: la progettazione e la ricerca, le relazioni sociali, le attività artistiche e culturali, ecc.), oltre a fare tutti e ognuno la propria parte nella produzione di beni e servizi socialmente decisa: cosa produrre, quanto produrre, come produrre.
Nel ’45, alla fine della Seconda guerra mondiale, era all’ordine del giorno la ricostruzione del paese. Se il PCI avesse fatto delle fabbriche (che i partigiani avevano in mano) i centri di organizzazione dei lavoratori e avesse quindi assunto tutti gli adulti disponibili, avrebbe posto solide basi per la presa del potere. Allora il compito era la produzione di cibo, vestiario e affini e la ricostruzione del paese.
Oggi non è più questo il nostro problema. Questa è la parte di verità che c’è nelle obiezioni di chi ci dice che l’Italia non è come la Cina o la Russia del secolo scorso. Oggi in Italia come negli altri paesi imperialisti non si tratta di far lavorare a pieno ritmo le fabbriche che ci sono, ma di riorganizzare l’intera attività della popolazione: sviluppare i settori d’attività carenti, creare i nuovi di cui c’è bisogno, ridurre quelli che hanno potenzialità che eccedono il fabbisogno nostro e degli utenti (solidarietà, collaborazione, scambio) internazionali. Non si tratta di far funzionare le fabbriche a pieno ritmo, ma ci sono tuttavia anche attività che invece vanno fatte funzionare a pieno regime (sanità, prevenzione, istruzione, educazione degli adulti per svolgere la funzione dei genitori, ecc.). E’ un processo di scelte da fare alla luce delle conoscenze che abbiamo e dell’interesse di tutti, dato che c’è posto per tutti.
Il socialismo è l’avvio di questo percorso. Una cosa così può essere fatta solo da un governo autorevole che combatte in modo risoluto la controrivoluzione e spinge in avanti chi è più indietro, promuove in ogni modo la partecipazione alla gestione della vita sociale e l’accesso al patrimonio culturale della società, nella misura massima di cui ognuno è capace. Perché le persone non è che di colpo sanno gestire, sanno partecipare, sanno usare la libertà (oggi uno che di colpo si trova che basta lavori due ore al giorno, cosa fa del resto del suo tempo? Molte persone quando vengono poste in pensione e non vanno più a lavorare, cadono in depressione perché è il lavoro che li socializza, li fa essere e sentire componenti di in gruppo; senza lavoro si suicidano, si danno al bere, ecc.), sanno pensare (la scuola oggi non insegna a pensare, le persone sono ridotte a ragionare a sms, botta e risposta senza pensare). E’ una trasformazione che non avviene di colpo. Per cambiare il mondo bisogna avanzare nella scuola della lotta di classe di cui il partito comunista è promotore.
In Italia come negli altri paesi imperialisti si tratta di impegnare tutti gli uomini e le donne, ognuno al massimo delle sue possibilità e capacità, a costruire un nuovo mondo, nel quale la produzione assorbe una parte piccola e decrescente del tempo di ognuno. Andremo così verso quella “associazione in cui il libero sviluppo di ognuno è la condizione del libero sviluppo di tutti”, per dirla con la frase con cui Marx ed Engels indicarono i tratti principali della società comunista che succederà al capitalismo.