Pubblichiamo quella che doveva essere un’intervista a un dirigente della lotta operaia nella bergamasca a inizio anni ‘70 e si è via via trasformata in un racconto fluente, ricco di ragionamenti, di riflessioni che riportiamo di seguito, sintetizzato, rielaborato e adattato nella forma, come un esempio. E’ un esempio non per ricordare i bei tempi che furono, perché non abbiamo nostalgie del passato. E’ un esempio che spiega cosa significa costruire nuove autorità popolari, a partire da quella storia che nel nostro paese la classe operaia e le masse popolari hanno già scritto e possono scrivere ancora, devono scriverla. Di questo racconto manca la fine, cioè rimangono in sospeso il motivo, le cause e il processo che hanno portato esperienze come quelle del Consiglio di Fabbrica della Philco (Brembate Sopra – Bergamo), di cui tratta questo articolo, ad esaurirsi. Lasciamo qui in sospeso questo aspetto, che in verità su Resistenza e sulle altre pubblicazioni trattiamo correntemente e in modo approfondito, dato che non è l’argomento principale che ci interessa affrontare. Basti in questo senso ricordare che per quanto la mobilitazione operaia e popolare abbia prodotto eroiche e gloriose esperienze, grandi e piccole, la storia del nostro paese sconta i limiti, gli errori, le deviazioni che hanno caratterizzato il movimento comunista e segnato in negativo la generosa lotta degli operai italiani.
Rimaniamo sul pezzo: costruire nuove autorità popolari, qui e ora, imparando dal passato senza rimpiangerlo, con l’atteggiamento e l’approccio di scienziati mossi sì, anche dalla nostalgia, benché non per il passato, ma per il futuro.
Con questa testimonianza di Giovanni Maj, l’operaio che ha avuto la capacità e l’onore di guidare una parte del movimento operaio italiano, parliamo ai tanti operai (sono ancora tanti, ma soprattutto il loro ruolo sociale e storico non è per nulla cambiato, alla faccia delle tante e inconsistenti letture della società contemporanea) che oggi subiscono in modo specifico la crisi e i suoi effetti e che hanno, più di tutti, la possibilità di organizzare e promuovere la riscossa, di costruire la rivoluzione.
Parliamo dell’esperienza del Consiglio di Fabbrica (CdF) della Philco, un organismo che ha assunto un ruolo particolare nella mobilitazione operaia e popolare nella bergamasca, a inizio anni ’70…
Sì, partiamo dal fatto che con le lotte del ’68 – ’69 dentro le fabbriche qualcosa è cambiato, le Commissioni Interne sono state sostituite dai CdF che permettevano una maggiore aggregazione degli operai e che svolgevano un ruolo sindacale, ma anche politico, dentro e fuori le aziende. Alla Philco il CdF aveva un delegato, di media, ogni 35 operai. Pensate che eravamo 2500 e i conti sono presto fatti. Ogni reparto e ogni gruppo omogeneo di lavoratori nominava il suo delegato. Ogni delegato, che poteva essere iscritto al sindacato o meno, era revocabile in qualunque momento, la cosa dipendeva da come si comportava, da quante responsabilità si assumeva e come, da quanto era deciso e convinto nel far valere le posizioni e gli interessi del collettivo di fabbrica, dei suoi rappresentati. Se uno non portava avanti le istanze degli operai, veniva sostituito. Nel CdF c’erano 2 coordinatori, entrambi distaccati dal lavoro in produzione a tempo pieno e che si dedicavano al funzionamento del collettivo. Io ero uno di questi due: mantenevo il contatto col sindacato e soprattutto vigilavo nei vari reparti per controllare e verificare che non ci fossero problemi. C’era poi un esecutivo che era un organismo più ristretto: 15 persone elette all’interno del CdF che si riunivano per prendere determinate decisioni più pratiche e di gestione corrente. In ogni caso le decisioni principali e importanti spettavano all’assemblea di tutto il CdF. Per avere un’idea più precisa del ruolo del CdF bisogna tenere presente che si trattava di un organismo che operava dentro la fabbrica, ma anche fuori: nei consigli di zona, che comprendevano tutte le fabbriche “dell’isola” (una zona ben definita che comprendeva il territorio di un tot di comuni). E a un livello superiore c’era un consiglio provinciale. La struttura era così: c’era il CdF, poi il consiglio di zona e poi quello provinciale, che si riuniva per avere una visione complessiva della situazione.
A Bergamo c’erano anche i consigli di quartiere, nei quali intervenivano anche i delegati del CdF, portando la loro esperienza. In questo modo si era creato un giro di lotte importante che faceva tremare la borghesia, lì a Bergamo, perché eravamo noi operai a dirigere le lotte anche fuori dalla fabbrica, in tutta la zona. Avevamo capito che la lotta non doveva fermarsi ai cancelli delle fabbriche, perché i problemi da affrontare erano anche all’esterno. Gli operai dove vivono? Nel quartiere, hanno figli che vanno a scuola. Un operaio non smette di essere una persona fuori dalla fabbrica, è un cittadino: dentro e fuori dalla fabbrica l’operaio è anche un cittadino. Diciamo quindi che il CdF era il modo per uscire dalla fabbrica: i consigli di quartiere sono nati dopo i CdF. Si può dire che sotto l’influenza dei CdF si sono formati altri organismi fuori della fabbrica: il CdF promuoveva la formazione di altre organizzazioni popolari fuori dalla fabbrica. Se c’erano problemi con gli amministratori di condominio il CdF interveniva e dava manforte nei consigli di quartiere… Si era creato il consiglio anche nell’ospedale… Ci si occupava di tutti i problemi delle masse popolari.
Questo dava fastidio al sindacato, la posizione era che la lotta in fabbrica doveva essere solo di difesa, mentre il CdF voleva farla diventare una lotta d’attacco.
In questo quadro il CdF della Philco ha avuto un ruolo molto “forte” in tutta al provincia di Bergamo.
Prima di proseguire ci dici che fabbrica era la vostra?
La Philco era un’azienda di proprietà della Ford che produceva frigoriferi e che avrebbe dovuto diventare nel tempo una fabbrica di auto. A questo progetto si oppose Agnelli, che non voleva concorrenza in Italia, e difatti il governo non autorizzò mai il cambio di produzione. Per questo la Philco passò nel corso del tempo fra le proprietà della Bosch e la Ford se ne andò. Dal punto di vista del movimento operaio, da noi come ovunque le mobilitazioni del ’68-’69 furono importanti: partecipammo attivamente e iniziammo a toccare con mano, collettivamente, che i problemi nostri erano i problemi di tutti gli operai, erano i problemi del proletariato. Quella presa di coscienza è alla base del percorso che dalla costruzione portò il CdF ad assumere il ruolo che ha assunto…
E che ruolo ha assunto?
Riassumere il tutto in poche parole non è semplice… dal punto di vista delle lotte rivendicative, alla Philco siamo sempre stati attivi e il CdF si è consolidato in quel percorso lì. Nel ’71 abbiamo fatto la nostra prima “uscita dalla fabbrica” montando una tenda di fronte al centrale hotel San Marco. Di per sé con quella tenda non abbiamo ottenuto granché in termini concreti, ma è stata l’iniziativa che ci ha proiettato ad assumere un ruolo politico cittadino e provinciale, dato che attraverso la tenda iniziavamo a diventare un punto di riferimento per tutti i settori popolari che si mobilitavano sulle più disparate questioni: trasporti, carovita, scuola, servizi, ecc. Il salto di qualità fu fatto tre anni dopo, nel ’74.
In quel caso, il motivo alla base della mobilitazione era la lotta contro 62 licenziamenti annunciati dalla direzione. Eravamo in un periodo pre elettorale e nel CdF capimmo che avremmo potuto sfruttare la cosa per nostri scopi. Abbiamo occupato la fabbrica, materialmente, e siamo usciti dalla fabbrica, nel senso che abbiamo montato nuovamente la tenda. Sapendo che ci sarebbero state le elezioni, volevamo piazzarla in Piazza Vittorio Veneto, dove solitamente si svolgevano i comizi politici elettorali. Ma ce lo volevano impedire, cioè venivano da noi i vigili a implorarci di fare i bravi, che lì non era possibile. Volevano impedire il disturbo al rituale dei comizi, ma noi volevamo piazzarci lì proprio per quello, anche per impedire che certa gente, i fascisti, MSI e compagnia, venisse a parlare lì.
Alla fine decidemmo noi di cambiare piazza, ma mica per le pressioni dei vigili… La tenda l’abbiamo poi montata dove c’è il monumento, di fronte al Teatro Donizetti, zona centrale di Bergamo. Ricordo che andammo in due, senza alcun permesso o autorizzazione… questo per dire che bastavano poche persone, due rappresentanti mandati dal CdF, per potere mettere in piedi un’iniziativa di questo genere. Poi, certo, venivano lì anche i vigili a protestare, ma se ne andavano perché capivano che era inutile.
Noi dicevamo ai lavoratori che essendo sotto elezioni non dovevamo temere nulla, perché nessun partito sotto le elezioni si sarebbe preso la responsabilità di attaccarci, dovevamo temere il dopo. Infatti due giorni dopo le elezioni sono venuti a distruggere la tenda… Ma il pomeriggio stesso c’erano in piazza 4000 persone a protestare contro il Comune e la polizia, la sede della polizia è stata distrutta … bastava poco e c’era la gente in piazza, bastava un fischio del CdF e la gente veniva. La gente si fidava del CdF, perché aveva capito il ruolo importante che aveva, che non raccontava balle … Andiamo con ordine però …
Abbiamo messo questa tenda, dicevo. E’ diventata subito un punto di ritrovo, di organizzazione e di aggregazione anche per gli operai delle altre fabbriche, venivano lì e si discuteva delle varie problematiche. Venivano lì tutti, anche altra gente che non lavorava in fabbrica: pensionati, studenti, ecc. Si organizzavano anche discussioni all’interno dei bar e i gestori ci ospitavano volentieri. Il bar vicino al teatro Donizetti era diventato un punto di ritrovo e tale è rimasto anche dopo. In effetti avevamo fatto accordi con i gestori dei bar e locali nei dintorni per trovare dei sostegni concreti: per esempio c’era una pizzeria che ci dava le pizze gratis, nei bar non ci facevano pagare il caffè…. non era paura, non ci temevano, noi facevamo solo propaganda sulla nostra lotta e null’altro.
Quella tenda lì è durata 4 mesi e nel frattempo avevamo occupato la fabbrica, come dicevo.
Parlaci della fabbrica occupata…
La fabbrica era aperta, la gente andava e veniva, si organizzavano spettacoli e iniziative in sala mensa, venivano gli artisti, ecc. Gli unici posti vietati ai visitatori e agli esterni erano i reparti, per questioni di sicurezza. Temevamo sabotaggi da parte di provocatori… Erano aperte le portinerie e la sala mensa, che era molto grande. La produzione durante l’occupazione era ferma, non c’erano neanche le guardie, avevamo cacciato i dirigenti. Avevamo organizzato i turni e facevamo noi direttamente la vigilanza nei reparti di notte. Ci tenevamo a proteggere la nostra fabbrica, a far vedere che sapevamo gestire le cose meglio che col padrone. Per esempio nei periodi normali capitava che avvenissero dei furti, parliamo di camion pieni di frigoriferi. Nei periodi di occupazione operaia queste cose non avvenivano assolutamente.
Infine dopo 4 mesi iniziavano ad esserci un po’ di problemi perché la gente cominciava ad aver letteralmente fame e avevamo deciso di metterci a vendere i prodotti in magazzino, ma non abbiamo fatto in tempo, subito dopo sono state chiuse le trattative e la protesta è rientrata. L’idea era di venderli in piazza con dei prezzi epurati dal profitto del padrone… tipo se un frigo costava 100 mila lire pensavamo di venderlo a metà, a 50 mila, levando il guadagno del padrone. Era una cosa seria: gli impiegati dell’ufficio vendite erano con noi e avevamo fatto i conti esatti sui costi di produzione.
Quindi l’occupazione della fabbrica si è conclusa con una vittoria?
Tieni presente che una lotta sindacale è più che altro una lotta di difesa, non si vince mai al 100%, si fanno dei compromessi. Per esempio la lotta sui 62 licenziamenti: in ogni caso poi la Philco, attraverso incentivi, prepensionamenti ecc. è riuscita a mandare via quel numero di persone. Certo non quelle che inizialmente aveva elencato, ma comunque è riuscita a diminuire il personale. La lotta sindacale va bene per difendersi. Col CDF si stava sviluppando una lotta più di attacco, quel tipo di organismo lo permetteva.
Cioè?
Ad esempio se una qualunque autorità, anche il Prefetto oltre che il sindaco, si facevano promotori di ordinanze ostili alle masse popolari andavamo noi, come CdF, a dire: “No, queste cose qua non te le permetto”! Siamo intervenuti in vari consigli comunali e abbiamo occupato anche la Prefettura. Tante cose che in teoria erano decretate anche dallo Stato, se il CdF non le approvava, non venivano rispettate. Per esempio un aumento della benzina: se aumentava di una lira, il giorno dopo c’era lo sciopero generale! O lo dichiaravano i sindacati, sennò lo facevano i CdF. Sapendolo i sindacati si sbrigavano a proclamare gli scioperi, per non farsi scavalcare. Stessa cosa se aumentava il pane. Bastava un fischio. Il CdF era fatto di gente attiva, che si mobilitava, non ci sfuggiva nulla. Venivano gli operai a segnalare le cose che non andavano, dicendo ai delegati che era loro dovere fare qualcosa. Se gli aumenti non erano più che giustificati c’era subito lo sciopero generale.
Il CdF della Philco era famoso in tutta la provincia di Bergamo per le sue lotte, era all’avanguardia. A rigor di logica all’avanguardia avrebbe dovuto esserci per esempio la Dalmine, che impiegava 7000 persone, ma lì c’era un CdF più debole. Noi cercavamo di discutere con loro per aiutarli a fare passi avanti, ma evidentemente non riuscivano ad organizzarsi bene. O forse avevano un po’ più di paura, non siamo tutti uguali; però l’operaio deve sapere che il padrone non deve fare paura, perché è lui che ha paura quando vede uno di noi! Il padrone lo sa che senza gli operai è niente. A volte gli operai non si rendono conto che senza il padrone sarebbe meglio, ma il padrone invece lo sa che senza l’operaio sarebbe niente: per andare avanti dovrebbe essere lui a scendere in officina ad accendere e far girare il tornio, ma allora non sarebbe già più padrone, ma operaio anche lui! Mentre se gli operai dirigono la fabbrica, il dirigente esegue quello che chi fa girare il tornio gli dice di fare, altrimenti lo si caccia e se ne mette un altro… un po’ come il CdF, il delegato restava finché aveva la fiducia degli altri lavoratori. Quando non faceva più il suo dovere in modo adeguato lo si mandava via e il giorno dopo se ne eleggeva un altro.
Alla Philco invece eravamo riusciti a creare un’ottima aggregazione. Mi ricordo per esempio in occasione della strage di Piazza della Loggia a Brescia, chiamammo alla lotta gli operai della catena dove lavoravo io e poi abbiamo girato tutta la fabbrica e infine eravamo fuori in più di mille nel piazzale. Abbiamo buttato fuori la CISNAL dalla fabbrica, perché avevamo anche questi fascisti all’interno della fabbrica. Era quello che oggi è l’UGL. Li buttammo fuori prendendo le loro scartoffie e portandole in direzione. Noi le avevamo portate lì, ma dopo gli operai ci dissero: “no, con questa gente i problemi si risolvono così!” e hanno preso le scartoffie e gli hanno dato fuoco! I dirigenti poi dicevano di andare a prendere gli estintori e gli operai andavano, li vuotavano prima, poi arrivavano dicendo che non funzionavano, che erano già vuoti, prendendo in giro la direzione e dicendo che non erano neanche capaci di organizzare l’antincendio. Sotto l’influenza del CdF si riuscivano a fare queste azioni.
Uno può chiedersi come mai alla Dalmine invece non si facevano le stesse cose, dello stesso livello come da noi. Ci vuole un po’ di gente con coscienza politica e che non abbia paura del padrone. Per esempio ha visto alla “Gabbia” (la trasmissione su LA7 – ndr) gente che interveniva mascherata per paura delle ritorsioni del padrone che li paga 3 euro lordi all’ora…. Perché avere paura? Se non mi paga nemmeno il minimo sindacale…. quando c’era il CdF queste cose erano impensabili! Anche nelle piccole fabbriche si interveniva, quando c’erano gli scioperi si bloccavano le strade e si facevano le ronde anticrumiri. Anche nelle officine più piccole.
Si può quindi dire che il CdF era diventato un’autorità, nel senso che l’influenza del CdF era riconosciuta e rispettata e le sue indicazioni venivano seguite?
Diciamo che erano gli altri operai e anche la gente fuori che ci cercavano, che richiedevano un orientamento, ci prendevano come riferimento. Si rendevano conto che la realtà che vivevano era quella che effettivamente dicevamo noi.
Ovviamente nel portare avanti le cose ci voleva anche un po’ di polso. Quando ero coordinatore del CdF, se c’era un problema andavo dal dirigente della fabbrica e dicevo: “là c’è questo problema, se intendete risolverlo va bene, sennò sapete già quello che succede!”. Ancora prima che uscissi io dall’ufficio lo vedevi partire spedito a risolvere la situazione! Eravamo a un punto che gli operai ti seguivano perché credevano in quello che dicevamo.
Ma il CdF organizzava anche scioperi di tipo fiscale o delle bollette? A Napoli c’è l’esempio di un CdF che timbrava le bollette, ponendosi come autorità che ne decretava la riduzione…
No, qui da noi non si era arrivati ancora a cose di questo genere. Può darsi in altre parti d’Italia, ma nella bergamasca che sappia io no. A Napoli lo credo, perché là già allora c’era una situazione più disastrata. E’ possibile perché coi CdF non c’erano più né sindaci, né sindachini, né sindaconi che potevano fare il bello e il cattivo tempo. Neppure le Questure si mettevano in mezzo, noi entravamo dappertutto, occupavamo subito.
Tu dici che il CdF metteva paura alla borghesia e ai padroni, da quello che racconti se ne capisce bene anche il motivo …
Allora, guarda … lo sgombero della tenda è avvenuto così: vennero i vigili alle 5 del mattino e distrussero la tenda. Io gliela giurai e dissi: “questa la pagate!”. Infatti poi alle 16 c’erano più di 4000 persone in piazza, per dimostrare che non ci facevamo mettere i piedi in testa! Vennero anche tanti impiegati, lottavano con noi e come noi. Ma soprattutto furono le masse popolari a sostenerci, a mobilitarsi: non è bastata la polizia di Bergamo, hanno dovuto fare arrivare la polizia da Como e da Milano, poi hanno chiamato anche i fascisti con le loro moto. E gli operai gli mettevano letteralmente i bastoni fra le ruote! Dalle case venivano buttate giù bottiglie e piatti contro la polizia. E’ arrivata anche la “mala” con le pistole e sparava contro la polizia. Era una mala popolare, i rubagalline per intenderci, gente dei quartieri popolari che subiva anch’essa l’influenza del CdF. Ovviamente non quelli che rubano sul serio, ma i poveracci di cui anche oggi le galere sono piene.
I vigili nei giorni seguenti minacciavano, dicevano che l’avevamo fatta grossa… Ma di fatto per un periodo erano loro ad avere paura e non volevano più farsi vedere in giro in due come al solito, ma li vedevi per strada come minimo in quattro, perché avevano paura di prenderle! A Bergamo la polizia se la ricorda ancora la mobilitazione in solidarietà con la tenda operaia…
E il PCI che ruolo svolgeva in questo contesto?
Io ero iscritto al PC Marxista Leninista, ma il PCI faceva le cose perché era spinto a rincorrere la sinistra rivoluzionaria di allora, non le faceva spontaneamente. Lo stesso meccanismo col sindacato, che faceva le lotte per non essere scavalcato dai CdF, che facevano le lotte anche senza l’avallo dei sindacati. Per esempio ci organizzammo per andare alla manifestazione per la strage di Piazza della Loggia a Brescia, senza il sindacato. Il sindacato si è aggiunto dopo per forza, per non perdere seguito fra gli operai. Le facevano perché erano obbligati a farle per non perdere seguito e venire scavalcati a sinistra, e così anche il PCI. Nelle elezioni del ‘75 il PCI aveva il 35% e la DC il 36%: voleva dire che il PCI, volendo, poteva andare a governare, ma questo cosa avrebbe significato per Berlinguer? Che invece di privatizzare bisognava socializzare…
Tornando al CdF della Philco, sappiamo che una volta il PCML organizzò un seminario o una scuola quadri a San Pellegrino e in quell’occasione il prete del posto mobilitò parte della popolazione contro i comunisti….
Sì, lì intervenne il prete cercando di diffamare i comunisti, sullo stile dei “comunisti che mangiano i bambini” e simili… la popolazione del posto, conoscendo direttamente alcuni dei partecipanti, non credeva molto alle parole del prete, a dire il vero. Il seminario continuò, ovviamente. Un po’ di persone del posto si erano mobilitate contro i comunisti a seguito del prete, ma non più di tanto. Il CdF della Philco non ha avuto un grande ruolo in questa storia se non per il fatto che io ero fra i partecipanti al seminario, poi c’erano alcuni operai lavoratori della Philco che abitavano a S. Pellegrino e che si può dire che ci spalleggiavano nello smontare le assurde accuse del prete. La cosa è stata smontata facilmente e il seminario non s’è fermato.
Bergamo è sempre stata una provincia nella quale la Chiesa aveva un grande peso. Che rapporto e approccio c’era verso i CdF?
Grazie ai CdF diminuiva il consenso verso la DC e la Curia. I CdF smascheravano il velo di falsità e di illusione nella società. Partecipavamo anche alle iniziative dei preti. Intervenivamo nelle loro assemblee. Una volta ho assistito a una critica verso una donna incinta che nonostante questo continuava a lavorare nei campi, per aiutare il marito e gli altri figli. Il prete la accusava di non preoccuparsi del figlio che portava in grembo, invece che criticare chi la costringeva a dover andare a lavorare anche se incinta, i signori che per il loro guadagno la mantenevano in quello stato servile. Avevamo organizzato anche un gruppo di persone con cui si discuteva di cose del genere e il prete faceva di quelle prediche in chiesa! Diceva che si era costituita una specie di setta satanica!
Ma è vero che, ai tempi dell’occupazione della fabbrica, il prete andava a dire che si facevano le orge in fabbrica e cose di questo genere?
Sì, certo, ma le nostre mogli erano lì con noi, c’erano tutte le famiglie, figurarsi! Erano cose ridicole che venivano smascherate subito!
Non pensi che, così come sono nati a quei tempi, anche ora si potrebbe far rinascere degli organismi simili?
Certo che si può, anzi si deve, gli operai lo devono fare se vogliono andare avanti in questa situazione! E’ quello che ci vuole per non dovere andare più in TV mascherati per la paura che il padrone ti licenzi. Col CdF stai sicuro che il padrone non schiaccia più nessuno!
Nel CdF bisogna assumersi le responsabilità del proprio ruolo, sapere che si ha la forza che ti danno gli altri lavoratori che rappresenti. La forza dei lavoratori veniva dalla consapevolezza delle cose reali che io portavo a loro e loro mi rendevano forte e capace con la forza del loro appoggio.
Se gli operai voglio ancora contare qualcosa devo ricominciare ad organizzare i CdF, non accettare più gente nominata dall’alto come le Commissioni Interne. Le RSU rispondono al sindacato, i CdF rispondevano ai lavoratori. Pensa all’episodio della tenda, non chiedevamo permesso, il permesso ce lo prendevamo noi e basta!
Oggi sembra che le fabbriche siano dei padroni. Un governo serio a un Marchionne che dice “voglio andare via” dovrebbe dire “vattene pure, ma la fabbrica viene statalizzata e data agli operai!”.