“L’umanità già da molto tempo, da molti secoli, anzi da millenni, sogna di far sparire ‘senz’altro’, d’un colpo solo, ogni forma di sfruttamento. Ma questi sogni sono rimasti sogni fino a quando milioni di sfruttati non hanno cominciato ad unirsi in tutto il mondo in una lotta coerente, tenace e multiforme per trasformare la società capitalista secondo la linea di sviluppo che le è propria. I sogni socialisti si sono trasformati in una lotta socialista di milioni di uomini solo quando il socialismo scientifico di Marx ha legato le aspirazioni di rinnovamento con la lotta di una determinata classe. Senza lotta di classe il socialismo si riduce a vuote chiacchiere o a un sogno ingenuo” (V.I. Lenin, Socialismo piccolo-borghese e socialismo proletario, 1905 – Opere complete, vol. 9 e sito www.nuovopci.it).
Una delle tesi fondanti del marxismo è che la classe operaia è la classe dirigente della trasformazione della società capitalista in società comunista. Non perché è la classe più sfruttata o la più numerosa, ma perché è la classe che impara dalla sua esperienza di oggi aspetti essenziali della società di domani. E’ la classe che dalla sua esperienza è spinta a organizzarsi, ad agire collettivamente, a comprendere che una parte (un lavoratore, un’azienda) della società funziona solo se funzionano anche le altre, che ogni azienda si avvale dell’opera organizzata e coordinata di decine, centinaia, migliaia, centinaia di migliaia di lavoratori, che ogni individuo è parte di un organismo collettivo. Per questo è la classe capace di assimilare più facilmente la concezione comunista del mondo e di farne lo strumento della sua lotta per emancipare se stessa e il resto delle masse popolari dallo sfruttamento, dall’oppressione e dall’arretratezza.
Solo quando smette di esistere la classe operaia produttrice di plusvalore cessa anche la società borghese, cioè la società che ha come cellula costitutiva l’azienda creata e gestita dal capitalista per valorizzare (accrescere) il proprio capitale. La classe operaia non è l’unica classe che per vivere deve vendere la propria forza-lavoro. Anche 1. “i dipendenti (esclusi i dirigenti) dell’Amministrazione pubblica centrale e locale e degli enti parastatali, 2. i lavoratori impiegati in aziende non capitaliste (aziende familiari, artigiane e altre aziende che i proprietari creano e gestiscono non per valorizzare un capitale, ma per ricavare un reddito), 3. i lavoratori addetti ai servizi personali (camerieri, autisti, giardinieri, ecc.)” (Manifesto – Programma del (n)PCI, Analisi di classe della società italiana), cioè le altre classi proletarie, hanno questa caratteristica.
La differenza di fondo, però, è che le altre classi proletarie non sono impiegate direttamente nella produzione di plusvalore, quindi il rovesciamento della loro posizione sociale (ad esempio la nazionalizzazione della sanità che trasforma i medici da liberi professionisti in salariati o la trasformazione inversa) non implica la fine della società borghese. E’ solo quando cessa di esistere la classe operaia produttrice di plusvalore che cessa anche la società borghese. Il comunismo è l’eliminazione della classe operaia in quanto tale, l’eliminazione della schiavitù salariata e questo non può che essere opera della classe operaia. Per questo la classe operaia è la protagonista principale e la forza dirigente della rivoluzione socialista, della trasformazione della società capitalista in società comunista.
Per anni alcuni intellettuali borghesi anche sedicenti marxisti (Toni Negri, Marco Revelli e altri) hanno cantato la “scomparsa della classe operaia” come soggetto politico in nome del fatto che “gli operai non lottano”. Dopo la battaglia aperta dagli operai di Pomigliano nel 2010 si sono riciclati dietro la tesi che la classe operaia oggi è frammentata e precaria e quindi incapace di azione politica. In realtà, per quanto i padroni chiudano e delocalizzino, sono ancora migliaia le aziende capitaliste abbastanza grandi (vedasi la tabella pubblicata qui accanto) perché gli operai possano assumere un ruolo sociale e politico, costituendo organismi che mobilitino i lavoratori per assicurare la continuità delle aziende (contro delocalizzazione, chiusura, riduzione dell’attività e dell’occupazione) e che organizzino e mobilitino le masse popolari per la rinascita di tutta la vita sociale, per il risanamento del paese, per la creazione di un nuovo sistema di relazioni sociali.
In totale in Italia a fine 2011 vi erano ancora 28.689 aziende capitaliste con più di 50 operai, tra esse 11.584 con più di 100 operai. Oggi gli operai sono in Italia ben più di quanti fossero nel 1945 e molti di più di quanti erano nel biennio rosso (1919-1920). La questione non è quanti sono gli operai, ma che gli operai diventano una forza politica solo se sono aggregati attorno al partito comunista. Era la corrosione e distruzione di un vero partito comunista ad opera dei revisionisti moderni (Togliatti, Berlinguer & C: Napolitano e D’Alema sono i vergognosi epigoni di questa dinastia) che aveva fatto scomparire la classe operaia come forza politica. Era il partito comunista che mancava in Italia, non gli operai!
La costruzione di organizzazioni operaie nelle aziende capitaliste è il primo passo verso la creazione di una nuova rete di istituzioni del governo del paese, del Governo di Blocco Popolare che il P.CARC promuove, seguendo la linea indicata dal (n)PCI.