Sono oramai passati più di due mesi da quando il 12 febbraio la destra interna e la comunità internazionale dei gruppi imperialisti americani, europei e sionisti hanno lanciato contro il governo Maduro e il movimento bolivariano un colpo di Stato strisciante: nel linguaggio dello stratega dell’imperialismo USA Zbigniev Brzezinski, assurto a ruoli governativi al tempo di Carter, si chiama “guerra di bassa intensità”. L’obiettivo era eliminare il presidente Nicolas Maduro e il suo governo, soffocare le organizzazioni popolari chaviste e installare un governo sottomesso alla comunità internazionale. Si trattava anzitutto di creare nel paese un clima di caos, di insicurezza, di paura rendendo precari il rifornimento di beni e la prestazione di servizi essenziali, diffondendo nel paese attività violente e criminali, ampliando la corruzione, alimentando in ogni modo la sfiducia nella capacità del governo di venire a capo dei problemi della popolazione e di difendere le conquiste realizzate (da qui ad esempio l’importanza politica di distruggere gli ambulatori e le scuole). Volevano così creare il clima adatto a un intervento dei militari ostili allo chavismo. Chavez ha ribattezzato Forze Armate Nazionali Bolivariane le vecchie forze armate venezuelane da cui egli stesso proveniva, ma l’epurazione e la rieducazione sono arrivate solo fino a un certo punto; le forze armate sono ancora divise tra due poli, uno progressista e uno reazionario, come lo erano in Brasile nel 1964, in Cile nel 1973 e in Venezuela nel 2002 quando ci fu in effetti un colpo di Stato (Chavez venne sequestrato benché non eliminato e fu liberato solo dopo due giorni di fronte alla sollevazione generalizzata nel paese). I militari golpisti sarebbero stati sostenuti sia dall’interno dai gruppi paramilitari formati dalla destra e addestrati in Colombia, in Messico e altrove da agenti USA o israeliani e da mercenari delle tante società militari private (contractors), sia dall’estero: dalla Colombia, dalle basi militari ufficiali e clandestine USA in America Latina, dalla 4° Flotta USA riattivata nel 2008 che pattuglia le acque dell’America Latina anche se uno sbarco di Marines USA in Venezuela sarebbe un’operazione ben più complessa che le invasioni di Grenada (1983) e di Panama (1989).
Il governo Maduro e le organizzazioni popolari che lo sostengono hanno fatto grandi operazioni, e finora con successo, per evitare di arrivare allo scontro armato in cui la destra e gli agenti dei gruppi imperialisti li vogliono trascinare (non sappiamo se per guadagnare tempo o nell’illusione di evitare lo scontro armato). Più di 40 morti in larga parte chavisti e agenti della polizia governativa e molte distruzioni sono il prezzo pagato. Ma uno dopo l’altro alcuni dei cospiratori sono venuti allo scoperto personalmente con attività platealmente illegali tali che la magistratura, anch’essa solo in parte acquisita alla rivoluzione bolivariana, li ha privati in tutto o in parte della possibilità di nuocere. Leopoldo López, un personaggio che aveva partecipato già al colpo di Stato del 2002, capo del partito reazionario Voluntad Popular, è in prigione per aver diretto personalmente azioni violente, anche se gode ancora di molta libertà d’azione politica (comunque meno del condannato Berlusconi in Italia). María Corina Machado, una delle animatrici delle violenze dei gruppi paramilitari e dei gruppi fiancheggiatori che sono parte sostanziale del colpo di Stato strisciante, è stata espulsa dal Parlamento venezuelano per infrazione alla Costituzione: era intervenuta a titolo di rappresentante ufficiale del governo proUSA di Panama alla conferenza dell’OSA – Organizzazione degli Stati Americani dominata dagli USA – per proporre un aiuto militare internazionale (un “intervento umanitario”) contro il governo Maduro che in tutto il mondo, compresa l’Italia, l’apparato di distrazione, confusione e intossicazione di massa presenta come un feroce regime repressivo. Henrique Capriles Radonski, il candidato alla Presidenza battuto di misura (appena 200 mila voti di differenza) da Nicolas Maduro alle elezioni del 14 aprile 2013 (vedere in proposito il Comunicato del (n)PCI del 18 aprile 2013:
www.nuovopci.it/voce/comunicati/com2013/com.13.04.18.htm), è addivenuto a più miti consigli e ora partecipa alla Conferenza di Pace promossa dal governo Maduro. Tra la fine di marzo e l’inizio di aprile tre generali dell’Aviazione, un capitano in pensione della polizia militare (Guardia Nazionale Bolivariana) e una trentina di ufficiali sono stati arrestati e messi sotto processo da una corte militare per cospirazione, a conferma della lotta sorda in corso nelle forze armate. Il governo Maduro ha chiesto e ottenuto che l’UNASUR (Unione delle Nazioni Sudamericane fondata nel 2008 come contraltare dell’OSA: nel 2008 fece fallire il colpo di Stato della destra appoggiata dagli USA e dall’UE contro Evo Morales in Bolivia, ma non è riuscita a fare altrettanto in Honduras e in Paraguay) e il Vaticano intervenissero ufficialmente come mediatori tra il governo stesso e i partiti d’opposizione: cosa che rafforza il ruolo politico dei partiti d’opposizione, ma frena la partecipazione di una parte di essi al colpo di Stato e soprattutto indebolisce l’appoggio al colpo di Stato della potente Conferenza Episcopale della Chiesa Cattolica. Pietro Parolin, l’attuale segretario di Stato di Bergoglio, è stato nunzio apostolico in Venezuela dal 2009 fino alla sua nomina in Vaticano alla fine di agosto 2013: ora è ufficialmente mediatore tra governo e opposizione. Anche Federcàmaras (la Confindustria venezuelana che ebbe una parte di primo piano nel colpo di Stato del 2002) ora partecipa alla Conferenza di Pace, un piede dentro e un piede fuori, perché il sabotaggio economico (blocco della distribuzione, disorganizzazione dei trasporti e del commercio, chiusura di aziende: l’Iveco Fiat in marzo ha chiuso la fabbrica di camion e telai per autobus che aveva nella città di La Victoria e in cui lavoravano 400 operai), il contrabbando e il mercato nero delle valute sono aspetti importanti del colpo di Stato strisciante.
Concludendo, non è affatto detto che la comunità internazionale riesca a vincere e tanto meno a ripetere imprese come l’aggressione alla Libia del 2012. Il governo Maduro e il fronte di forze popolari che lo appoggiano stanno manovrando, come aveva manovrato Chavez, per impedire che la destra interna e i gruppi imperialisti riescano a creare nel paese le condizioni per un’offensiva su grande scala. Certamente la difesa dal tentativo di colpo di Stato finora è stata un successo. Ma non si vince restando eternamente sulla difensiva, anche se le guerre di classe sono guerre di lunga durata: in Cina la vittoria del PCC contro il Kuomintang richiese più di vent’anni di guerra aperta. Ma la rivoluzione bolivariana non ha le caratteristiche di una guerra di contadini: per alcuni aspetti è una rivoluzione dall’alto che cerca di mobilitare e organizzare le masse popolari.
Quanto all’offensiva per approfittare dell’attacco imperialista e della collusione dell’opposizione con l’imperialismo e far avanzare la mobilitazione e l’organizzazione delle masse popolari, conquistare il cuore e la mente delle masse popolari, la situazione sembra ancora incerta. Il movimento chavista ha finora usato su grande scala l’enorme rendita petrolifera (che fino al 1999 finiva nelle mani delle multinazionali e di alcuni profittatori venezuelani) per migliorare le condizioni delle masse venezuelane oltre che per mobilitare e rafforzare le forze antimperialiste del Sud America e di altri continenti. In questo ha ottenuto grandi risultati in tutti i campi. Ma non ha ancora vinto la battaglia per la creazione di un diffuso e capillare sistema di potere formato dalle masse popolari organizzate, per la creazione di un sistema di rifornimento regolare della popolazione in beni e servizi, per lo sviluppo dell’economia nazionale nei vari settori produttivi, per il pieno impiego e l’eliminazione della piccola criminalità, contro la speculazione tra il cambio nero e il cambio ufficiale dei dollari in cui il governo incassa la rendita petrolifera, contro la corruzione nell’apparato statale, contro il sabotaggio e il boicottaggio dei ricchi, del clero e degli altri gruppi sociali privilegiati del vecchio sistema. Tutti campi in cui il successo può venire solo da una vasta, capillare e combattiva mobilitazione e organizzazione delle masse popolari orientata da un movimento comunista (quale che sia il nome) all’altezza della situazione. Questo è una questione non di buona volontà, ma di concezione del mondo e di linea; è quindi un terreno in cui l’attività popolare soffre dei limiti del movimento comunista venezuelano e internazionale, della lentezza della rinascita in corso.
Numerosi sono i gruppi di oppositori “da sinistra” al governo Maduro (e al governo Chavez prima della sua morte prematura il 5 marzo 2013), al movimento bolivariano e al PSUV (Partito Socialista Unificato del Venezuela) che è alla testa del fronte che appoggia e promuove il movimento bolivariano. Gruppi che si dichiarano comunisti criticano il governo Maduro, il movimento bolivariano e il PSUV per la gradualità della loro azione, li accusano di riformismo e di illusioni pacifiste. Alcuni di questi gruppi si atteggiano in qualche modo a seguaci del Partito di Lenin nella sua opposizione al governo provvisorio tra il febbraio e l’ottobre 1917 o a seguaci del Partito di Mao nella sua opposizione al Kuomintang nel periodo tra il 1927 e il 1949. Ma non risulta che si siano finora distinti in generale nella lotta contro la destra e l’aggressione imperialista e in particolare nella lotta contro il colpo di Stato, come invece si distinsero i leninisti che nell’agosto del 1917 ebbero un ruolo determinante nella sconfitta del generale Kornilov (che marciava su Pietroburgo contro il governo provvisorio per restaurare il potere zarista), come si distinsero i comunisti cinesi nella lotta contro l’aggressione giapponese.
Noi comunisti italiani non siamo comunque in grado né ci assumiamo il compito di valutare le ragioni degli uni e degli altri. Non si tratta infatti di capire noi chi in Venezuela interpreta meglio il mondo in generale, ma che i compagni venezuelani abbiano una comprensione più avanzata delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe concretamente in corso in Venezuela e quindi trasformino il paese guidando le masse popolari a prendere il potere e sconfiggere le vecchie classi dominanti e la comunità internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti. Noi siamo in un altro paese e il nostro compito è la rivoluzione socialista in Italia. Per adempiere a questo compito traiamo il massimo profitto che siamo capaci di trarre anche dalla lotta che il governo Maduro conduce contro la comunità internazionale. Condurre la rivoluzione socialista in Italia è il maggiore contributo che a nostra volta possiamo dare alla lotta delle masse popolari venezuelane e alla rinascita del movimento comunista in Venezuela e nel mondo. Oggi i legami tra gruppi e partiti comunisti non sono ancora tali da essere noi in condizioni di contribuire direttamente all’orientamento del movimento comunista venezuelano e di imparare direttamente dalla sua azione. Cerchiamo di imparare dalla lotta antimperialista in corso in Venezuela e in America Latina, di farla conoscere nel nostro paese per infondere fiducia nelle masse popolari mostrando che la lotta contro la borghesia imperialista prosegue in tutto il mondo e per imparare quanto possibile nonostante la grande diversità di composizione di classe, di storia e di relazioni internazionali. La lotta per la costituzione del Governo di Blocco Popolare, per la creazione delle condizioni della sua costituzione non potrà che giovarsi della conoscenza della lotta antimperialista in corso in Venezuela.
Siamo invece assolutamente contrari a fare i tifosi inerti e ininfluenti, a scimmiottare la condotta dei compagni che combattono la loro battaglia e ancora più a dare lezioni, come fanno vari strateghi da Roma, da Parigi e da altri centri, ai compagni venezuelani che devono trasformare il Venezuela, avanzare e vincere facendo i conti con le loro concrete condizioni di lotta ed elaborandone le forme alla luce della concezione comunista del mondo, il cui possesso quegli strateghi devono verificare essi stessi anzitutto nel guidare la rivoluzione socialista nel loro paese.