La mobilitazione, la partecipazione, il protagonismo delle masse popolari sono il fattore decisivo per far fronte almeno in qualche misura, da subito, agli effetti più gravi della crisi e soprattutto per avanzare verso l’obiettivo di salvaguardare e ricostruire il nostro paese.
Tale mobilitazione esiste di suo, è inevitabile che esista: concretamente e in mille forme le masse popolari si attivano spontaneamente per fare fronte agli effetti della crisi. Che tale mobilitazione sia efficace (sia qualitativamente e quantitativamente adeguata) è questione che devono porsi tutti quelli che riflettono su come farla finita con questo sistema che alimenta sfruttamento, precarietà, devastazione ambientale, guerra fra poveri e guerra fra Stati.
Chi pensa che sia sufficiente una grande e dispiegata mobilitazione popolare per invertire il corso delle cose sbaglia, esattamente in modo speculare a come sbagliano coloro che non riconoscono nelle mobilitazioni che già oggi esistono le qualità positive e le potenzialità di sviluppo che portano con sé, l’esempio che offrono, l’entusiasmo che seminano, la spinta all’emulazione che alimentano.
Di fronte a ogni manifestazione della catastrofe che si abbatte sulle masse popolari, di fronte a ogni manifestazione della crisi generale, chiunque può concentrarsi sugli aspetti arretrati, sui limiti, sui problemi, sulle contraddizioni che il movimento delle masse popolari esprime. Chi lo fa per trovarvi una soluzione e innescare un processo positivo, per contribuire al suo sviluppo, ha un ruolo positivo. Chi lo fa per denigrare le masse popolari, per seminare disfattismo e rassegnazione, chi lo fa per affermare che “occorre ben altro” per combattere contro i padroni, fa perdere tempo e alimenta i tentativi di disgregazione promossi dalla borghesia e del clero.
In tutto il paese, in modo particolare da quando la crisi è entrata nella sua fase acuta e terminale, le fabbriche chiudono, la disoccupazione e la precarietà lavorativa aumentano a un ritmo più accelerato di prima. Possiamo concentrarci sulle debolezze della mobilitazione degli operai e denunciarle (sono isolate, si limitano alla semplice rivendicazione, non sono dirette in modo da diventare una questione di ordine pubblico, non sono coordinate con altre mobilitazioni popolari e neanche, spesso, con altre mobilitazioni operaie…), o invece possiamo (e dobbiamo) capire da dove nascono e curarle, superarle (imparando ad applicare, in ogni situazione concreta e specifica, la linea di “occupare le fabbriche e uscire dalle fabbriche”).
Alla mobilitazione sempre più diffusa e capillare per affermare il diritto alla casa con le occupazioni e le assegnazioni dal basso, si susseguono a ripetizione sgomberi da un capo all’altro del paese. Possiamo unirci al coro di quanti dicono che “occupare non serve, non risolve niente, non dà nessuna prospettiva stabile”, oppure possiamo e dobbiamo operare per rafforzare, allargare e consolidare tutte le mobilitazioni che passano dalla denuncia di quello che non funziona alla riappropriazione, all’affermazione pratica dei diritti e delle condizioni concrete che servono alle masse popolari per condurre una vita meno precaria e infame..
Alle mobilitazioni diffuse e a volte scomposte delle classi popolari non proletarie (Coordinamento 9 Dicembre, ad esempio), dobbiamo far valere quanto c’è, esiste, di unitario e di prospettiva nel legame con la mobilitazione della classe operaia e del resto masse popolari, consapevoli che le classi popolari non proletarie (lavoratori autonomi, artigiani, piccoli impresari) sono più di altre influenzate e influenzabili dalle concezioni proprie della borghesia e del clero.
Si potrebbe continuare a lungo, ma gli altri esempi ognuno può facilmente trovarli dalla propria esperienza, anche solo osservando quello che succede intorno. E osservando bene viene fuori che ci sono questioni che accomunano la lotta per difendere i posti di lavoro esistenti e crearne di nuovi, la lotta per il diritto alla casa, le mobilitazioni delle classe popolari non proletarie e in genere tutte le lotte e le mobilitazioni in questa fase storica.
La prima riguarda il fatto che di esperienza in esperienza, di forzatura in forzatura nel movimento popolare si è fatta strada, in particolare negli ultimi mesi, la consapevolezza che mobilitarsi sulla linea “lotta, lotta, lotta” non basta: cioè ci sono importanti ambiti di movimento popolare (importanti centri autorevoli della mobilitazione, alcuni esistenti da tempo e altri di recente sviluppo) che iniziano a organizzare praticamente e concretamente alcuni aspetti della vita delle masse popolari. Questa tendenza emerge con forza, ad esempio, nell’esperienza del movimento NO TAV e si sta allargando, con altrettanta evidenza, nel campo della mobilitazione per il diritto alla casa. E’ molto meno evidente (e molto meno sviluppata) nelle mobilitazioni della classe operaia per difendere i posti di lavoro esistenti e per crearne di nuovi.
La seconda riguarda il fatto che l’evoluzione in corso nel movimento popolare (il passaggio dalla denuncia e dalla rivendicazione al movimento per la riappropriazione e per l’organizzazione della vita delle masse popolari) è positiva, ma da sola non basta a trasformare la società. E non basta per due motivi: il primo è la concezione che ancora guida chi la promuove, una concezione che fa rientrare la riappropriazione nel campo delle mobilitazioni che chiedono (o comunque aspettandosi) alle Autorità esistenti interventi e misure che migliorano la vita delle masse popolari (un esempio su tutti è la linea tenuta dai promotori della “sollevazione” del 19 ottobre 2013 quando hanno incontrato il sindaco di Roma e il Ministro alle infrastrutture per chiedere interventi straordinari per il diritto alla casa); il secondo è la concezione da “intervento su piccola scala” che chi la promuove dà alla mobilitazione per la riappropriazione: viene ancora prevalentemente concepita come strumento per creare “piccole nicchie” alternative al sistema decadente anziché come innesco di un processo più generale di costruzione di nuove autorità popolari.
Infatti, la terza questione riguarda il risultato della combinazione fra la prima e la seconda delle questioni importanti. Le masse popolari non avanzano nella costruzione della rivoluzione (cioè non elevano la coscienza, non imparano a fare a meno dei padroni, non imparano dalla pratica a combattere i padroni per essere loro stesse classe dirigente della società) in virtù del fatto che “siamo tanti e siamo incazzati” nelle richieste e nelle pretese ai vertici della Repubblica Pontificia. Le masse popolari imparano a lottare, imparano a vincere, se e nella misura in cui le loro organizzazioni più prossime, le organizzazioni operaie e popolari, avanzano nell’assunzione del ruolo che storicamente sono chiamate ad assumere e ad assolvere: trasformarsi da “centri autorevoli dell’organizzazione e della mobilitazione popolare” in “nuove autorità popolari” che indicano caso per caso quali sono le misure da adottare su questo o quell’ambito e chiamano alla mobilitazione per realizzarle. Devono cioè competere con le autorità della Repubblica Pontifica nell’orientamento e ella mobilitazione delle masse popolari. Se le organizzazioni operaie e popolari lo faranno, per quanto sembri difficile, impareranno a farlo meglio, impareranno a coordinarsi per farlo in ambiti via via più vasti, impareranno ad alimentare quel processo di mobilitazione che porta alla costruzione di nuove organizzazioni operaie e popolari per intervenire e dirigere ambiti della vita sociale, politica, economica che oggi sono monopolio delle autorità della Repubblica Pontificia. Questa è la lotta rivoluzionaria, che si nutre della lotta rivendicativa e della lotta per appropriarsi direttamente e subito di quello di cui abbiamo bisogno, le rilancia, le eleva, ma soprattutto le completa e le rende efficaci come e quanto da sole non potrebbero essere.
Un esempio per tutti. Che il movimento di lotta per la casa si ponga la questione di assegnare per vie proprie e dal basso le case che comuni ed enti pubblici non assegnano è un primo, significativo, passo verso la costruzione di autorità popolari. Se approfondiamo il discorso rimane in sospeso il motivo per cui, ad esempio, il movimento di lotta per la casa non dovrebbe provvedere a far valere la legalità dal basso, ad esempio liberando ad uso delle famiglie senza casa i palazzi e le ville dei ricchi e delle Congregazioni religiose, edifici poco o per niente abitati, sgomberando e sfrattando dalle case pubbliche le centinaia di assegnatari (amici degli amici), che ne godono senza titolo, in virtù di legami con questo o quel politicante o faccendiere. Concretamente, procedere con assegnazioni dal basso e anche con sgomberi dal basso. Una autorità popolare potrebbe (deve) inoltre porsi la questione di organizzare disoccupati e cassintegrati per ristrutturare le case che non sono abitabili e mobilitarsi per costringere (con le buone o con le cattive maniere) le banche a fare i crediti per acquistare i materiali che occorrono per le ristrutturazioni e per pagare chi le fa; aprire le strutture “liberate” a comitati, associazioni, altri organismi popolari come sede per trovarsi e per svolgere le loro attività, sviluppare il coordinamento, ecc… Deve cioè allargare il proprio raggio di azione, di intervento, di influenza.
Quando le componenti del movimento di lotta per la casa avranno imparato a farlo saranno, più compiutamente di oggi, autorità popolari. Ma per imparare a farlo e riuscire a farlo, occorre che chi le anima e le dirige lo concepisca.
Il ruolo dei comunisti nella costruzione delle nuove autorità popolari. Noi sappiamo e diciamo che la storia la fanno le masse popolari organizzate. Noi sappiamo che dove e quando l’orientamento e il ruolo dei comunisti non è all’altezza di orientare, formare, organizzare la parte sana, avanzata delle masse popolari, sarà la borghesia a mobilitare, organizzare e armare la parte più arretrata e abbrutita. Il destino del nostro paese, ma è bene inquadrare la cosa nel destino dell’umanità intera, dipende da quanto e da come il movimento comunista sa o impara a orientare le organizzazioni operaie e popolari per portarle a compiere quei passi necessari, in concatenazione, che trasformano la società e la fanno avanzare, progredire. E’ un processo di lotta di classe e solo chi lo concepisce come tale può contribuire a svilupparlo e portarlo alla vittoria. Sono ancora mille le resistenze, i distinguo, le incertezze che le organizzazioni operaie e popolari oppongono all’assunzione del ruolo che storicamente loro compete, ma è essenzialmente una la prospettiva che possono percorrere, uno è il ruolo che possono assumere, uno è l’obiettivo a cui possono concorrere. Lo faranno se i comunisti imparano a mettere al centro del loro lavoro la costruzione della rivoluzione socialista.