A maggio, oltre alle elezioni europee, si terrà una tornata di elezioni amministrative che coinvolge più di 17 milioni di cittadini sparsi in più di 4.000 comuni. Fra questi ci sono 26 capoluoghi: Firenze, Prato, Bergamo, Cremona, Pavia, Padova, Ferrara, Modena, Reggio Emilia, Livorno e Perugia sono solo alcuni di essi. Ci saranno inoltre le elezioni regionali in Abruzzo e in Piemonte. Ovviamente la risposta alla domanda che poniamo nel titolo non sta nell’indicazione di voto, che le nostre sezioni e federazioni sui territori daranno a seconda delle specifiche condizioni in cui operano e intervengono. L’indicazione di voto è solo un aspetto, e neanche il principale, di una campagna elettorale condotta da un partito di comunisti che interviene nella lotta politica borghese. In questa fase, l’aspetto principale è utilizzare anche le elezioni e la campagna elettorale per creare le condizioni affinché le organizzazioni operaie e popolari costituiscano un proprio governo d’emergenza.
Da qualche anno la Carovana del (n)PCI ha indicato la linea particolare della creazione di Amministrazioni Comunali (e Locali) d’Emergenza (ACE/ALE), ovvero di amministrazioni locali che, sottoposte alla pressione delle masse popolari e sostenute dalla loro mobilitazione, sviluppano sul terreno economico, finanziario, dell’ordine pubblico, ecc. iniziative autonome dal governo centrale, prima di tutto per realizzare la parola d’ordine “un lavoro utile e dignitoso per tutti”.
La creazione di ACE/ALE alimenta da una parte l’ingovernabilità del paese e dall’altra la costruzione della nuova governabilità ad opera delle masse popolari organizzate, a livello locale e nazionale.
Fino ad ora non siamo riusciti a costruire nessuna ACE, non abbiamo ancora un’esperienza concreta e compiuta, pratica, da portare come esempio e modello. Con le esperienze fin qui accumulate siamo riusciti a definire le concezioni sbagliate da contrastare e alcuni errori da correggere, ma non ancora i passi concreti per raggiungere l’obiettivo. E’ necessario sperimentare con coraggio, creatività e intelligenza, facendo analisi della situazione concreta di luogo in luogo e di fase in fase.
Uno dei limiti che dobbiamo superare fino in fondo è ragionare e agire nell’ottica della costruzione di ACE/ALE quasi esclusivamente durante le campagne elettorali, seguendo i riti e i ritmi dettati dalle autorità della classe dominante piuttosto che i nostri piani. Abbiamo relativamente chiaro che alla costruzione di ACE/ALE non arriviamo attraverso le elezioni, ma attraverso un percorso di mobilitazione delle organizzazioni operaie e popolari e sfruttando le contraddizioni nel campo nemico. Le elezioni amministrative sono una tappa di questo percorso che va sviluppato prima, durante e dopo le elezioni.
Ciò che non siamo ancora riusciti a fare è innestare la mobilitazione delle organizzazioni operaie e popolari sulla contraddizione aperta (e che si acuisce) fra gli enti locali (comuni, province, regioni) e il governo centrale. Con il procedere della crisi e la riduzione sempre più pronunciata delle amministrazioni locali a esattrici di tasse per conto del governo centrale, questa contraddizione diviene sempre più stridente: questo è il contesto (e la condizione) della lotta per costruire ACE/ALE.
Alcuni avvenimenti recenti in due grandi città (Roma e Napoli) in modo differente ci danno conferma che questa strada è giusta e realistica. La sfida lanciata dal sindaco di Roma e ciò che ha determinato. “Che ne fosse consapevole o meno, Ignazio Marino, sfidando il governo Renzi-Berlusconi, dichiarando pubblicamente che ‘in marzo non ci saranno più i soldi per pagare i dipendenti, per il gasolio dei bus, per gli asili nido, per i rifiuti e neppure per le santificazioni dei due Papi. Se si dovessero licenziare 4 mila dipendenti, vendere Acea, liberalizzare [privatizzare, ma Marino non osa chiamare pane il pane, ndr] trasporti e rifiuti se ne occuperebbe un commissario liquidatore, non io’, ha mostrato la strada agli altri sindaci. Ha incitato tutte le organizzazioni operaie e popolari a non accontentarsi di chiacchiere e dichiarazioni. In particolare ha anche incoraggiato i lavoratori addetti alla pulizia delle scuole, già in agitazione in tutto il paese, a non accontentarsi delle parole dei ministri e dei loro leccapiedi. (…) Ignazio Marino ha pubblicamente minacciato di bloccare la macchina amministrativa del Comune di Roma, di interrompere l’attività che svolge al servizio del Vaticano e della Corte Pontificia e di dimettersi e il governo Renzi-Berlusconi ha dichiarato prontamente che farà macchina indietro, che gli darà i soldi che vuole! Non sono ancora soldi, per ora sono solo ancora parole: ma mostrano una via di cui ogni amministrazione comunale può approfittare, di cui le masse popolari organizzate devono approfittare. Non occorre aspettare le elezioni europee e le amministrative di maggio per mettersi all’opera. Anzi, proprio l’opera di oggi mostra le vere intenzioni e la capacità anche di quelli che si candidano per le europee e le amministrative! Grazie a Ignazio Marino abbiamo avuto anche la dimostrazione plateale che la minaccia del commissariamento, agitata da vari sindaci, non ultimo De Magistris a Napoli, Pisapia a Milano e Pizzarotti a Parma, per giustificare la loro sottomissione al governo, è solo un pretesto” (dal Comunicato del (n)PCI n. 8, 28.02.14). Con questo “ricatto” Marino ha ottenuto il decreto “salva Roma” e ci ha fornito un esempio prezioso. Chiaramente Roma non è per questo diventata un’amministrazione locale d’emergenza, anzi: avuti i soldi, Marino è ritornato nell’alveo dei riti e consuetudini della politica borghese, accettando con quel decreto anche un piano di rientro del debito che si dovrebbe tradurre in tagli ai servizi, tagli ai posti di lavoro, svendita di patrimonio pubblico. Diciamo “dovrebbe” perché la partita è aperta, un ruolo importante possono e devono ancora assumerlo le organizzazioni operaie e popolari. Lo dimostrano le prese di posizione e i segnali lanciati da Marino in occasione degli sgomberi del centro sociale Angelo Mai e di alcune importanti e radicate esperienze di occupazioni abitative e le dichiarazioni sulla necessità di “superare i vincoli imposti dal Patto di Stabilità” (seppur ancora inquadrate nell’ottica di chiedere al governo “una proficua interlocuzione” sul tema piuttosto che ripercorrere la strada della disobbedienza, violando il Patto).
L’aspetto positivo del “caso Marino” sta principalmente nella dimostrazione di come sia possibile per un sindaco ribellarsi al ruolo di esattore e commissario liquidatore per conto del governo centrale e che per il governo la soluzione del commissariamento non è poi così semplice da attuare.
E’ il passo necessario e mai compiuto a Napoli dall’amministrazione De Magistris, un’amministrazione che, sulla carta, aveva tutte le possibilità di diventare un’ACE (la spinta delle organizzazioni operaie e popolari che sostennero attivamente De Magistris durante la campagna elettorale, la presenza di vari personaggi legati ad esse e alla sinistra borghese). La mancanza di quel passo, la paura di rompere decisamente coi vertici della Repubblica Pontificia, ha portato man mano la Giunta a sfaldarsi e a perdere anche l’appoggio popolare di cui godeva. Il rispetto delle prassi e delle regole imposte dai circoli della grande finanza e dai vertici della Repubblica Pontificia ha aggravato la situazione di dissesto finanziario del Comune di Napoli. Un dissesto finora affrontato con aumenti di tasse e altre misure antipopolari che De Magistris ha dichiarato (bontà sua) di “non condividere”. Ovviamente questi lamenti non hanno sortito effetto: la Corte dei Conti ha bocciato il piano di rientro decennale della Giunta De Magistris, ponendo apertamente la questione del fallimento e del commissariamento del Comune di Napoli. La soggezione dimostrata nei confronti dei vertici della Repubblica Pontificia ha favorito questo attacco diretto alla giunta.
Questa situazione ha portato alcune organizzazioni sindacali e politiche (affette dalla sindrome del “governo amico”) ad adottare la linea di “sostenere De Magistris perché se cadrebbe sarebbe peggio”. Ma le proteste affinché la Corte dei Conti ritiri la bocciatura non serviranno, se queste non verranno accompagnate dalla spinta verso la Giunta comunale perché si decida a porsi in aperta rottura con le imposizioni del governo centrale. Non si tratta di fare da stampella all’amministrazione De Magistris, ma di spingerla verso l’utilizzo del “Comune come strumento di lotta” perché “non potrà salvarsi inseguendo sponde ed accordi politici con chi vuole affossarlo, ma dovrà continuare sul terreno della contrapposizione al governo” (dal comunicato “Allarme rosso per il dissesto del Comune”, Ross@ – Napoli, 29.01.14). Questa è la tendenza positiva da favorire e sviluppare.
Sicuramente si può obiettare che Roma è particolare e unica: è la capitale del paese ed è la sede del Corte Pontificia (e un ruolo nella vicenda del “salva Roma” e nella sua soluzione lo ha sicuramente svolto la minaccia di smettere di contribuire alle spese della Corte Pontificia). Napoli non ha le stesse caratteristiche, d’accordo, ma commissariare Napoli in ogni caso non sarebbe come commissariare un paese di 1.000 abitanti, Napoli è la terza città d’Italia e capitale del Mezzogiorno, è attraversata da forti contraddizioni (ambiente, lavoro, smantellamento dei servizi, emergenza casa, ecc.), numerosi sono i conflitti (anche se scollegati tra loro) e numerosi sono gli organismi popolari. Il commissariamento non risolverebbe i problemi, non pacificherebbe la situazione, non azzererebbe la lotta di classe. Al contrario agire come se si fosse commissariati per evitare il commissariamento è una politica suicida e insensata.
“Non bisogna aver paura del commissariamento! È più un problema per il governo che per i sindaci. Che il governo dei vertici della Repubblica Pontificia (RP) assuma apertamente in proprio, con suoi commissari, l’amministrazione di centinaia di città e paesi, perché le amministrazioni locali rifiutano di fare gli esattori per conto del Fisco, delle banche e delle finanziarie, perché rifiutano di privatizzare servizi e beni demaniali, perché usano strutture, mezzi e risorse per attuare il diritto di ogni adulto a un lavoro utile e dignitoso, di ogni famiglia a una casa decente, di ogni persona a servizi pubblici di buona qualità, perché si fanno promotrici della mobilitazione e dell’organizzazione delle masse popolari per affrontare con misure concrete, sia pure provvisorie, gli effetti della crisi generale del capitalismo che devasta il nostro paese e sconvolge la società!
Le masse popolari organizzate devono indurre con le buone o con le cattive le amministrazione comunali a diventare Amministrazioni Comunali d’Emergenza che sfidano il governo della RP anche su questo terreno! Che il governo della RP osi commissariare le ACE e le masse popolari italiane avranno fatto un passo da gigante verso la costituzione del Governo di Blocco Popolare, un primo passo verso l’instaurazione del socialismo” (dal Comunicato del (n)PCI, n. 8 28.02.14).