[volantino per l’8 marzo]
Dalla prima Conferenza Nazionale delle Donne del P.CARC (novembre 2013), abbiamo avviato un lavoro che ci ha portato a conoscere, collaborare, discutere, con tanti organismi, collettivi, realtà di base che si mobilitano, anche in forme molto diverse fra loro, per l’emancipazione delle donne. Abbiamo toccato con mano la vastità, la ricchezza e le potenzialità di quella “metà del cielo” che subisce la duplice oppressione (di classe e di genere) e che è tutt’altro che succube, rassegnata, dispersa e fragile. Abbiamo conosciuto le donne della Val susa e della Terra dei Fuochi, le lavoratrici della sanità e le operaie che hanno occupato le fabbriche, abbiamo discusso e lottiamo insieme alle donne che affermano il diritto alla maternità consapevole e si ribellano al ruolo del Vaticano (non solo “della religione”) nel nostro paese. Abbiamo imparato da ognuna qualcosa, abbiamo imparato da tutte che non serve e non basta più difendersi, parare i colpi, “resistere”; è necessario far valere la forza delle donne, la nostra forza, e passare all’attacco.
Chi vuole trasformare la società, deve porsi la questione di costruirne una nuova. Le donne delle masse popolari sono un motore della trasformazione della società, sia per la condizione in cui viviamo (la duplice oppressione), sia perchè sono già protagoniste delle mobilitazioni per fare fonte agli effetti della crisi.
Quello che il movimento delle donne può portare, da subito, alla lotta per costruire una società nuova è la rete, capillare e variegata, delle relazioni che già esistono: dobbiamo estenderle e dobbiamo costruirne di nuove: superare gli steccati e i settarismi. E’ una misura concreta per avanzare in un percorso inclusivo, plurale e capace di valorizzare quello che la parte organizzata delle donne sta promuovendo per unire l’autodeterminazione delle donne alla difesa dei diritti: il lavoro, la sanità, l’istruzione, la casa, la vita in un ambiente sano.
E’ una questione politica: mettere al centro i beni comuni e gli interessi collettivi, senza limitarsi a “difendere” (i beni comuni, la Costituzione…), ma passare all’attacco: applicare e tradurre in pratica le misure necessarie a garantire una vita dignitosa alle milioni di persone che sempre più e sempre peggio sono oppresse dalla povertà e dalla precarietà, dalla discriminazione e dall’isolamento, dal sessismo e dall’oscurantismo.
E’ una questione di governo del paese: occorre che la rete delle organizzazioni operaie e popolari che mobilita la parte sana, costruttiva, combattiva del paese punti a governare, dal basso, un paese che in nome di interessi privati, di lobby, di comitati d’affari, di speculazioni, dall’alto non è più governabile. E’ allo sbando. E’ allo sfascio.
Dobbiamo volare alto, non serve e non basta più limitarsi a protestare, a chiedere, a “pretendere” che chi governa affronti o risolva i problemi causati dagli effetti della crisi. Chi ci governa è parte del problema. Dobbiamo costruire un nostro governo, un governo di emergenza popolare imposto con la mobilitazione ai “poteri forti”, sostenuto dalle donne e dagli uomini delle masse popolari organizzate e composto dagli esponenti che godono della loro fiducia. Un governo che operi per far fronte agli effetti più devastanti di questa crisi e che avvii la ricostruzione del paese, a partire da un lavoro utile e dignitoso per tutti!
Prima e dopo l’8 marzo. Le donne hanno da portare tanto di contenuti, di esperienza, di prospettive, di entusiasmo e di coraggio alle mobilitazione che nei mesi scorsi hanno scosso il paese. A quelle del 18 e 19 ottobre, per il diritto al lavoro e all’abitare, quelle in solidarietà ai NO TAV arrestati del 22 febbraio, quelle dei NO MUOS, contro gli abusi in divisa, quella dei migranti del 1 Marzo, quella contro le discariche in Campania, contro la chiusura delle fabbriche e per la difesa dei posti di lavoro, come anche la mobilitazione del prossimo 12 aprile contro i diktat dell’UE.
C’è un sommovimento che attraversa tutto il paese, c’è una parte sana e combattiva delle masse popolari che non vuole abbassare la testa. Le sorti del nostro paese dipendono da quanto le masse popolari organizzate si coordineranno per mettersi alla testa della costruzione dell’alternativa politica di cui abbiamo bisogno e di quanto il movimento delle donne sarà promotore di questo coordinamento e della costruzione dell’alternativa stessa.
Giornata Internazionale della donna: la mimosa è simbolo di rivoluzione
La Giornata Internazionale della Donna è la forma con cui il primo movimento comunista volle che fosse ricordato e celebrato nel tempo il contributo che le donne delle masse popolari diedero alla rivoluzione sovietica e che fosse, contemporaneamente, la celebrazione delle lotte che in tutto il mondo le donne stavano conducendo per l’autodeterminazione e la costruzione di una società nuova.
Nel 1946, sulla scorta delle celebrazioni mondiali della Giornata Internazionale della Donna, in Italia, ad opera di storiche dirigenti comuniste come Teresa Noce, fu introdotta la mimosa come simbolo della giornata, un simbolo di riscossa che ancora negli anni ‘50 era considerato una manifestazione “atta a turbare l’ordine pubblico”.
La partecipazione delle donne alla Resistenza e alle lotte dei decenni a seguire furono fondamentali per la conquista del diritto al divorzio, ad una maternità assistita e consapevole, all’istruzione, alla casa, ad un lavoro in sicurezza e retribuito.
Decenni di revisionismo e di diversione ci lasciano oggi in eredità tanto fumo e tanta nebbia su quale sia stato il ruolo, il contributo e la portata della mobilitazione delle donne nell’emancipazione dell’umanità.
A noi sta ricordare, valorizzare, a noi sta non dimenticare, a noi sta emulare e portare un gradino più in alto il contributo di tante donne. A noi sta combattere e vincere.