A margine di una riunione per la costruzione di una manifestazione nazionale contro l’UE, uno dei partecipanti (membro di un’organizzazione che si distingue per il lavoro di mobilitazione e organizzazione delle masse popolari che svolge) ha detto a un nostro compagno: “guarda che se fare quello che dite, il Governo di Blocco Popolare, fosse possibile, lo avremmo già fatto senza che ce lo diceste!”.
Apriamo l’articolo principale di Resistenza dedicando spazio e argomenti all’atteggiamento spazientito (e un po’ supponente) di questo compagno, perché è un’efficace manifestazione dei lacci ideologici, morali e materiali che intralciano una parte ancora significativa di quei compagni che pure si definiscono comunisti. La risposta secca da dare a simile affermazione porterebbe via poco spazio, benché sia abbastanza chiara (sempre che la si voglia capire e non si faccia orecchie da mercante…): non è che i comunisti fanno quello che già sono capaci di fare; i comunisti imparano a fare quello che è necessario per raggiungere l’obiettivo. Altrimenti possiamo mettere i remi in barca!
Ma questo “scambio” di vedute merita un approfondimento, perché la certezza che sia impossibile costruire il Governo di Blocco Popolare include la certezza (e la rassegnazione) che pure sia impossibile fare dell’Italia un nuovo paese socialista. La cosa può anche suonare così: dato che non è possibile salire neppure il primo gradino, figuriamoci se riusciamo ad arrivare al piano superiore!
FOTO – La Prima Ondata della Rivoluzione Proletaria Mondiale ha portato l’umanità ad affacciarsi a un livello nuovo e fino ad allora sconosciuto del processo evolutivo. Tutt’oggi, chiunque faccia riferimento al concetto di “eguaglianza e giustizia”, per quanto inconsapevolmente, fa riferimento all’esperienza dei primi paesi socialisti.
Al piano terra c’è grande marasma. Tutti intuiscono che bisogna salire, ma vige il clima, la concezione, la morale e il dominio della classe dominante. C’è chi spinge contro le pareti e incita tutti gli altri a spingere forte, convinto che aprendo una breccia si trovi la via per salire al piano di sopra, senza salire la scala e neppure il primo gradino (sono quelli che “lotta lotta lotta, non smetter di lottare”, convinti che se siamo in tanti a pretendere di salire, una via si troverà… ma non curano la direzione che stanno dando a chi li segue, spinge e lotta). C’è chi è convinto che in tutto questo marasma, chiedendo ai padroni di casa di salire, ci faranno passare perché si renderanno conto che il marasma che vige al piano terra travolgerà anche loro (sono quelli delle riforme e della via elettorale, del rispetto delle regole dei padroni di casa, che chiedono permesso anche per andare in bagno). Dato che il marasma aumenta e le condizioni di vita peggiorano, fra chi spinge e chi lustra i pavimenti sperando di essere premiato, finisce che il marasma si conclude in un bagno di sangue: biondi contro mori, alti contro bassi, grassi contro magri… la guerra fra poveri, la mobilitazione reazionaria. Abbiamo un’altra strada, non oltre le pareti di contenimento ma sopra, al piano superiore, è un’evoluzione.
Il piano superiore. Il socialismo è quella fase di transizione che apre le porte a una nuova e superiore fase per l’umanità (il comunismo) perché mentre elimina la cause strutturali che provocano la crisi, contemporaneamente valorizza l’attività delle masse popolari tutte al fine del benessere collettivo (che è una cosa concreta, non astratta), in virtù del fatto che sono loro la classe dirigente della società.
A differenza dei sistemi produttivi e sociali che si sono succeduti finora nella storia, oggi, il comunismo è l’unico che può affermarsi soltanto se diventa, in qualche misura, aspirazione e progetto dei lavoratori e l’obiettivo perseguito da un movimento cosciente e organizzato. Fino ad oggi ogni sistema produttivo (e il relativo sistema sociale) si è affermato sul vecchio facendosi strada e soppiantandolo perché il motore di tale processo era la sostituzione di una nuova classe sfruttatrice che instaurava il proprio dominio (potere) sulla massa della popolazione. Il comunismo, e prima di esso il socialismo, è il potere delle masse popolari che dirigono la società: una cosa che nella storia non si era mai vista prima della vittoria della Rivoluzione d’Ottobre e della costruzione dei primi paesi socialisti. Ma, per quanto importante, storica, quella esperienza non è sufficiente, da sola, a infondere e diffondere fra le masse popolari una coscienza collettiva adeguata a trasformarle da carne da macello e da cannone in classe dirigente. Quella esperienza deve essere elaborata.
Da qui la prima essenziale caratteristica dei comunisti: sono quelli che più di tutti gli altri, prima di tutti gli altri e con più coscienza rispetto a tutti gli altri, si elevano dal marasma del piano terra per mettere la testa a quello superiore e per elaborare, dall’alto di quella visuale, le linee, i metodi, i principi necessari affinché le masse popolari diventino capaci di salire tutta la scala. Non è quindi possibile definirsi comunisti senza avere la consapevolezza che il piano superiore esista, sia raggiungibile, senza averci messo la testa e gli occhi, oltre che “il cuore” e le fantasie. Fra quanti si pongono la questione di salire al “piano superiore” solo quelli che ci mettono la testa e gli occhi hanno possibilità di indicare a tutti gli altri il percorso da seguire: così elaborano la strategia.
La Carovana del (n)PCI, di cui il P.CARC fa parte, una strategia l’ha elaborata. PEr farlo ci siamo spinti fino al più alto gradino raggiunto dall’umanità (la prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale e la costruzione dei primi paesi socialisti) per tirare un bilancio (delle sconfitte, ma soprattutto delle vittorie).
Con quanti si definiscono comunisti noi vogliamo trattare di strategia: quale è la loro strategia per costruire il socialismo in Italia? Il fatto che molti comunisti ritengono “impossibile” la costruzione del socialismo, li spinge ad arrovellarsi sulle questioni tattiche (elezioni sì, elezioni no, ad esempio), ma dato lo spirito, lo stato d’animo e l’atteggiamento decadente che si portano appresso, anche sulle questioni tattiche hanno di che deprimersi e deprimere le masse popolari. C’è la nebbia che offusca la vista: non vedono il piano superiore, non vedono il primo scalino (e per dirla tutta, spesso, non vedono oltre un palmo di naso…).
Chi non ha e non si pone un obiettivo strategico, finisce per disquisire di tattica che in ogni caso è finalizzata e prevede che l’evoluzione dell’umanità si fermi al piano terra. Si tratta di un limite storico del movimento comunista dei paesi imperialisti: ogni volta che il movimento comunista ha raggiunto una qualche forza, esso si è concentrato sul miglioramento delle condizioni di vita degli operai, dei proletari e delle masse popolari anziché sul condurli anzitutto a prendere il potere, ad assumere la direzione sulla propria vita e sulla società intera.
Quanto alla democrazia, il movimento comunista ha cercato di ampliare la partecipazione degli operai, dei proletari e delle masse popolari agli istituti della democrazia borghese (partiti, elezioni, assemblee rappresentative), di conquistare seguito, consensi, egemonia culturale e d’opinione, voti e quindi forza nelle istituzioni della democrazia borghese, come il suo partito più a sinistra. Tutto questo anziché mettere al centro la conquista del potere da parte della classe operaia e delle masse popolari organizzate (dittatura del proletariato). Per instaurare il socialismo nei paesi imperialisti, per contribuire all’instaurazione del socialismo nel nostro paese dobbiamo decisamente rompere con questa tradizione di sottomissione all’influenza del sistema di relazioni sociali borghesi.
Il primo gradino. Costruire il Governo di Blocco Popolare è il primo gradino che dobbiamo salire. E’ un obiettivo tattico tutt’altro che facile, ma possibile. Soprattutto se concepito, appunto, come passaggio per un obiettivo superiore. Gli effetti della crisi investono e spingono tutti i settori delle masse popolari a mobilitarsi, per milioni di persone è all’ordine del giorno la domanda “che fare?”. Di questa domanda, stante la debolezza del movimento comunista, possiamo limitarci al lamento che “i comunisti sono pochi e la gente non sa che fare” o farne un punto di forza, cioè valorizzare per salire il primo gradino (costruire il Governo di Blocco Popolare) anche la mobilitazione per trovare una soluzione agli effetti della crisi di quanti non vedono, non hanno, non vogliono e non condividono l’obiettivo strategico dei comunisti. A salire il primo gradino della scala, cioè, non sono e non devono essere solo i comunisti o chi si definisce tale, ma sono, spinti dalla condizioni materiali e dall’opera dei comunisti, tutti i settori delle masse popolari che cercano soluzioni agli effetti della crisi.
Che il primo gradino sia “quello giusto e decisivo” per proseguire nella salita della scala, lo può sapere, coscientemente, soltanto chi ha una visione strategica e si pone l’obiettivo di raggiungere il piano superiore. Per tutti gli altri, magari, si tratta di un passo come un altro, tutt’altro che “decisivo”.
Per salire il primo gradino, quindi, occorre creare le condizioni materiali e morali, cioè occorre orientare tutti quelli che si mobilitano e indicare loro i passi da compiere verso un obiettivo unitario. Il fatto che la situazione generale sia contraddittoria, che il marasma cresca, che la mobilitazione popolare aumenti e coinvolga settori diversi fra loro (che hanno quindi aspettative e interessi particolari diversi e in certi casi contrastanti) determina la necessità di avere una tattica flessibile in funzione della strategia. La tattica non è lineare, non per forza è coerente e anzi è contraddittoria: si deve adattare alla condizione concreta in cui si applica. Quello che conta è la fermezza e la coerenza della strategia.
Usciamo dalle metafore. Promuovere la partecipazione alle elezioni europee con coalizioni “di sinistra” capaci di condizionare le politiche della troika e tutti i tatticismi collegati a questo scopo rispondono a un’analisi, a una tattica e a una strategia diversa e opposta rispetto al promuovere la partecipazione alle elezioni europee da parte delle masse popolari organizzate in modo da alimentare il percorso di coordinamento fra di esse, il loro rafforzamento ideologico e organizzativo per costruire un governo d’emergenza che rompe con i circoli della finanza internazionale. Come vedete in entrambi i casi compare “partecipare alle elezioni europee”, ma sono opposti gli obiettivi tattici e soprattutto quelli strategici.
Partecipare al congresso della CGIL con l’obiettivo di costruire una minoranza di rappresentanza in un apparato di vertici sempre più filo padronali o partecipare al congresso per organizzare la sinistra sindacale e spingerla ad assumere un ruolo nelle mobilitazioni dei lavoratori e degli operai, per orientarli ad assumere un ruolo attivo e propositivo in quel percorso “occupare le fabbriche e uscire dalle fabbriche” necessario a trasformare le organizzazioni operaie in centri del nuovo potere popolare.
Più si scende nel concreto e maggiore è la necessità di elaborare la tattica sulle condizioni specifiche: nella lotta per costruire Amministrazioni locali di emergenza, nella lotta contro la chiusura di una fabbrica, nella lotta per conquistare l’assegnazione e/o la riappropriazione di alloggi e case, nella condotta in una manifestazione. Per quanto le tattiche possano sembrare (e anche effettivamente essere) contraddittorie, la loro coerenza è data dalla funzionalità con cui concorrono al raggiungimento dell’obiettivo strategico.
In questo senso e per questo motivo, noi parliamo, discutiamo e ci confrontiamo principalmente o esclusivamente sulla tattica con quanti non hanno, non vogliono oppure oggi non possono condividere un percorso di unità e di lotta (unità nella lotta ideologica) sulle questioni strategiche.
Si tratta di un principio che ha a che vedere con l’assunzione di responsabilità su cui i comunisti devono avanzare per farsi carico del percorso complessivo che spinge, guida, orienta l’insieme delle masse popolari (con uno specifico e particolare ruolo – appunto strategico – della classe operaia) a diventare classe dirigente della società.
Concludiamo riprendendo il discorso inziale: quanto più si è deboli nella strategia, tanto più si è deboli nella tattica e tanto più le tattiche diventano un palliativo per tentare di curare ed eludere i limiti ideologici. Questo alimenta quel famoso “realismo più realista del re” che genera analisi della situazione caricaturali e grottesche. Ad esempio quelle in cui si dibatte chi scambia una cosa difficile per una impossibile.
Noi non abbiamo formule magiche o scorciatoie. Siamo decisi a imparare a fare quello che è necessario per raggiungere l’obiettivo. Senza dogmi e senza culti. E senza, soprattutto, rassegnazione, che il “piano terra” del capitalismo è l’unico dei mondi possibili.
Il capitale accumulato è diventato talmente grande che, se nelle condizioni sociali esistenti, i capitalisti impiegassero nella produzione tutto il capitale accumulato, la massa del profitto sarebbe diminuita. L’accumulazione di capitale non può più proseguire nell’ambito degli ordinamenti interni e internazionali esistenti. Di conseguenza il processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza dell’intera società è sconvolto ora in un punto ora nell’altro in misura via via più profonda e sempre più diffusamente. Sovrapproduzione di capitale significa sovrapproduzione di tutte le cose in cui il capitale si materializza: sovrapproduzione di mezzi di produzione, sovrabbondanza di materie prime, sovrapproduzione di beni di consumo, sovrabbondanza di forza-lavoro (disoccupazione cronica, esuberi), sovrabbondanza di denaro. Apparentemente i capitalisti sono alle prese ora con l’inflazione e la stagnazione, ora con l’oscillazione violenta dei cambi tra le monete; qui con l’ingigantirsi dei debiti pubblici, là con la difficoltà di trovare mercati con le merci prodotte; un momento con la crisi e il boom delle Borse e un altro momento con la sofferenza dei debiti esteri e la disoccupazione di massa. La sovrapproduzione di capitale produce i suoi effetti anche se i capitalisti non la riconoscono e gli intellettuali, il cui orizzonte non va oltre il capitalismo, non ne hanno coscienza. I contrasti economici tra i gruppi imperialisti diventano antagonisti: la torta da dividere non aumenta quanto necessario per valorizzare tutto il capitale accumulato e ogni gruppo può crescere solo a danno degli altri. Nei paesi imperialisti i contrasti tra la borghesia e le masse popolari sono diventati apertamente antagonisti: la borghesia sta eliminando una dopo l’altra le conquiste che le masse avevano strappato. O le abroga (scala mobile, stabilità del posto di lavoro, CCNL, ecc.) o lascia andare in malora le istituzioni in cui essi si attuavano (scuola di massa, istituti previdenziali, sistemi sanitari, industrie pubbliche, edilizia pubblica, servizi pubblici, ecc.). La parola d’ordine della borghesia è in ogni paese la “flessibilità” dei lavoratori, cioè la libertà per i capitalisti di sfruttare senza limiti i lavoratori.
Da qui la lotta tra i gruppi capitalisti perché ognuno vuole valorizzare il suo capitale.
Da qui la guerra interimperialista e la mobilitazione reazionaria delle masse popolari: la rovina del “propri” capitalisti trascina con sé nella rovina l’attività economica della massa della popolazione e il suo modo di vita e ne compromette persino la sopravvivenza in ogni paese, finché il suo ordinamento sociale resta borghese
Dal Manifesto Programma del (n)PCI