L’accordo FIAT – Chrysler e il gioco delle tre carte di Marchionne

aaafcaL’acquisto del 100% di Chrysler da parte della FIAT è un altro passo dell’operazione per liquidare le fabbriche FIAT, i diritti dei lavoratori e i sindacati non asserviti e far diventare (finalmente avrebbe detto il non compianto Umberto Agnelli!) la FIAT una società finanziaria internazionale, non più né industriale né particolarmente italiana (vedi Resistenza 10-2012, “Dossier FIAT: insegnamenti e prospettive della lotta contro il piano Marchionne”). Per spiazzare le organizzazioni sindacali che denunciano il “film già visto” e isolare gli operai e i delegati che lanciano l’allarme, Marchionne annuncia un grande piano di rilancio della produzione – delle auto di lusso!- negli stabilimenti italiani (“nel polo Mirafiori-Grugliasco si faranno le Maserati, a Melfi la 500 X e la piccola Jeep, a Pomigliano la Panda e forse una seconda vettura, Cassino è il più adatto al rilancio Alfa Romeo…quando il piano sarà a regime la rete industriale italiana sarà piena, naturalmente mercato permettendo”) e promette che gli operai in cassaintegrazione “rientreranno tutti, se se non crolla un’altra volta il mercato”. Anche nel 2010 aveva garantito che FIAT avrebbe triplicato la produzione (Fabbrica Italia). Abbiamo visto come è andata a finire. Termini Imerese e l’Irisbus sono ancora chiuse, il grosso degli stabilimenti viaggiano a CIG e a Melfi succede questo: “voglio denunciare quanto sta accadendo negli ultimi mesi, forse anno, all’interno dello stabilimento FIAT di San Nicola di Melfi. Con la scusa della crisi e con le voci che si sono sussurrate ‘ad alta voce’ su una eventuale comunicazione di esuberi, obbligano operai e impiegati ad andare a lavorare senza timbrare e in regime di cassa integrazione straordinaria, nascondendosi dietro la formazione ‘come previsto per legge ai dipendenti di aziende in cigs’. Peccato che chi venga chiamato e scende in azienda, invece di fare formazione lavora normalmente, come un giorno normale, si dedica al lavoro quotidiano. Peccato che non timbra e lo paga la cigs. Ancora un’ultima cosa, scendono a lavorare anche di sabato e di domenica, sempre senza timbrare l’ingresso… non oso immaginare cosa racconterebbero se in quei due giorni qualcuno ci lasciasse le penne, forse lo sotterrerebbero tra le fondazioni dei pali dei nuovi capannoni? Date voce a chi ha paura, sperando in un risveglio collettivo e motivato – un operaio” (dal sito di Operai Contro).

Per adesso Marchionne fa brillare le praterie che l’acquisto di Chrysler (“siamo il settimo gruppo automobilistico mondiale”) apre agli stabilimenti italiani, ma possiamo stare certi che a breve tornerà alla carica con quello che nel 2010 era stato il suo cavallo di battaglia: il costo del lavoro non concorrenziale dovuto a diritti sorpassati, leggi antiquate e sindacati “ideologici”. Non c’è esponente della troika e delle altre istituzioni del sistema imperialista che non lo indichi come “nemico numero uno”: “c’è bisogno di riforme per migliorare la competitività. Bisogna intensificare le riforme sul lavoro e ridurre i costi unitari del lavoro”, parola di Olli Rehn, vice presidente della Commissione Europea, al Forum dell’economia mondiale che si è chiuso il 25 gennaio a Davos. Non c’è capitalista che non tiri in ballo il costo del lavoro quando chiude, ridimensiona o delocalizza: è quello che sta facendo l’Electrolux in questi giorni.

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