La teoria della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata
Nel nostro paese (ma anche a livello internazionale) oggi tra i comunisti si scontrano due linee sul “come fare la rivoluzione”. La prima, che è quella che va per la maggiore tra le organizzazioni e i partiti che si richiamano al comunismo, è la linea della “rivoluzione che scoppia”: una rivolta, un’insurrezione popolare di cui i comunisti si preparano a prendere la direzione facendo propaganda del socialismo, denunciando il cattivo presente e promuovendo lotte rivendicative. La seconda, sostenuta e promossa dal (n)PCI, è che “la rivoluzione si costruisce”: è una guerra nel corso della quale le masse popolari si organizzano in una rete di organismi di forza crescente e aggregati intorno al partito comunista, attaccano in più punti le forze e le istituzioni delle classi dominanti fino a paralizzarle o disgregarle, organizzano autonomamente parti via via maggiori della propria vita sociale e dell’attività produttiva (in sintesi: creano un “nuovo potere” che si contrappone al potere delle vecchie classi dominanti, lo erode e lo disgrega fino a rovesciare i rapporti di forza ed eliminarlo).
Ne abbiamo già parlato sul nostro giornale. Con questo articolo vogliamo mostrare ai nostri lettori, in particolare a quelli di loro che sinceramente vogliono arrivare a instaurare il socialismo nel nostro paese e che si rifanno al marxismo, al leninismo e, alcuni di loro, anche al maoismo, che la “rivoluzione si costruisce” è la linea che i principali dirigenti del movimento comunista sono venuti elaborando per tappe successive, sulla base del bilancio degli “assalti al cielo” compiuti dalla classe operaia e dal resto delle masse popolari.
F. Engels è stato il primo a occuparsi di come la classe operaia arriva a instaurare il proprio potere, tirando il bilancio dei tentativi fino ad allora compiuti (in Francia, nel 1848-50 e con la Comune di Parigi nel 1871, e in Germania con la partecipazione alle elezioni politiche). Nella sua Introduzione del 1895 a Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 di Marx, egli riconobbe che lui e Marx avevano sbagliato perché le loro concezioni erano “fortemente colorite dai ricordi dei modelli del 1789-1830” in cui una classe dominante (la borghesia) ne soppiantava un’altra ed espresse chiaramente la tesi che “la rivoluzione proletaria non ha la forma di un’insurrezione delle masse popolari che rovescia il governo esistente e nel corso della quale i comunisti, che partecipano ad essa assieme agli altri partiti, prendono il potere”. Ma, invece, l’esercito proletario “deve progredire, lentamente, di posizione in posizione, con una lotta dura e tenace, ciò dimostra una volta per sempre come fosse impossibile conquistare la trasformazione sociale del 1848 con un semplice colpo di sorpresa”. O, detto in altri termini, la classe operaia deve preparare fino ad un certo punto “già all’interno della società borghese gli strumenti e le condizioni del suo potere”.
V.I. Lenin e G. Stalin applicarono le concezioni di Engels, nelle forme adatte alle condizioni economiche, culturali e politiche russe (che erano molto diverse da quelle dei paesi imperialisti europei e degli USA). Alcuni presentano la rivoluzione russa del 1917 come un’insurrezione popolare (“assalto al Palazzo d’Inverno”) nel corso della quale i bolscevichi hanno preso il potere. In realtà l’instaurazione del governo sovietico nel novembre del 1917 è stata preceduta da un lavoro sistematico condotto dal partito di Lenin per accumulare forze rivoluzionarie attorno al partito comunista (che a partire dal 1903 si era costituito come forza politica libera dal controllo delle classi dominanti e che operava con continuità in vista della conquista del potere) ed è stata seguita da una guerra civile contro le armate bianche e contro l’aggressione imperialista conclusasi nel 1921. Anche se non elaborò in forma compiuta la linea che “la rivoluzione si costruisce”, Lenin durante la Prima guerra mondiale criticò ripetutamente e apertamente (vedasi ad esempio Posizioni di principio sul problema della guerra, 1916) i partiti socialdemocratici europei di non avere una strategia per fare la rivoluzione socialista, spiegò (La guerra e la rivoluzione, 1917) che le rivoluzioni borghesi avvenute nei paesi europei avevano dato vita a nuovi governi ma non avevano creato una rete di organizzazioni delle masse popolari capillarmente diffuse nel paese come i soviet, indicò che la rivoluzione russa del 1905 non aveva vinto proprio perché aveva avuto più la forma di un’esplosione popolare (Rapporto sulla rivoluzione del 1905, 1917).
A. Gramsci è stato l’unico dirigente comunista che ha riflettuto sulla forma della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti e ha elaborato (Quaderni del carcere 7 (par. 16), 10(I) (par. 9), 13 (par. 7) e altri) la teoria della “guerra di posizione” che, fuori dal linguaggio imposto dalla censura del carcere fascista, oggi chiameremmo guerra popolare rivoluzionaria. Ecco cosa diceva di quelli che “la rivoluzione scoppia”: “Chi presume di irrompere in campo nemico, di seminare nelle truppe avversarie panico e confusione irreversibile, di organizzare le proprie truppe all’improvviso, di creare altrettanto all’improvviso i quadri o di mettere i quadri esistenti in posti di direzione immediatamente riconosciuti da una popolazione in rivolta, di unire immediatamente questa popolazione verso un obiettivo comune, è un mistico”.
E’ stato Mao Tse-tung (Problemi strategici della guerra partigiana antigiapponese, Sulla guerra di lunga durata, Problemi della guerra e della strategia, tutti del 1938) a dare forma compiuta a quanto gli altri dirigenti del movimento comunista avevano intuito, anticipato e, nel caso di Lenin e Stalin, messo in pratica pur essendone solo relativamente consapevoli. Facendo il bilancio della prima ondata della rivoluzione proletaria in Cina e nel resto del mondo, ha formulato la teoria della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata come forma universale della rivoluzione socialista. E ha anche indicato le fasi attraverso cui essa si sviluppa: “La prima è la fase dell’offensiva strategica del nemico e della nostra difensiva strategica. La seconda sarà la fase del consolidamento strategico del nemico e della nostra preparazione alla controffensiva. La terza sarà la fase della nostra controffensiva strategica e della ritirata strategica del nemico”. A quelli che (ieri come oggi) contestavano questa teoria, risponde: “Il risultato è che essi commettono errori, grandi e piccoli e anche in questo caso la causa del male sono il soggettivismo e l’unilateralità. Questi amici sono pieni di buone intenzioni e sono anch’essi degli onesti patrioti; ma, per quanto le aspirazioni di questi gentiluomini siano elevate, le loro vedute sono errate e se noi agissimo secondo il loro punto di vista batteremmo la testa contro il muro”.
Qui ha le radici la rinascita del movimento comunista. Da qui ripartiamo.