Per quanto (e come) possono restare in sella i vertici della Repubblica Pontificia italiana?

napolitano bergoglio

Gli avvenimenti politici delle scorse settimane sono, contemporaneamente, gli effetti dell’evoluzione della crisi politica dei vertici della Repubblica Pontificia e l’introduzione a una fase nuova e superiore della medesima crisi. Per fare una “fotografia” realistica della situazione, cosa difficile dato che tutto è in veloce mutamento, possiamo dire che le lotte fra le fazioni borghesi si sono sintetizzate in un groviglio che nessuna di esse può o riesce a districare. Riteniamo ampiamente dimostrato il fatto che non è possibile cambiare alcunché attraverso le elezioni “democratiche” e riteniamo dimostrato allo stesso modo che, anzi, le elezioni (quelle politiche del febbraio 2013, ma anche quelle amministrative e regionali del maggio successivo) sono state un elemento che ha alimentato e accelerato la crisi politica (e torniamo a indicare come un fattore decisivo “l’exploit” del M5S e il ruolo dei suoi numerosi deputati e senatori). Eppure ci sono ancora “sacche di resistenza” (in particolare ci riferiamo al campo dei partiti di sinistra e agli aggregati multiformi che ambiscono a dare un orientamento radicale al movimento popolare) a riconoscere il fatto che l’unica soluzione realistica e possibile per fare fronte alla crisi politica e agli effetti peggiori della crisi, è imporre ai vertici della Repubblica Pontificia un governo di emergenza popolare. Non si tratta di una “ambizione campata per aria” e vediamo perché.

Il groviglio. La situazione di stallo (e per stallo si intende l’impossibilità e l’incapacità di ognuna delle fazioni che compongono i vertici della Repubblica Pontificia – Vaticano, imperialisti europei (UE), Organizzazioni Criminali, imperialisti USA e sionisti – di imporre alle altre una “soluzione”) si è aggravata: il golpe bianco condotto da Napolitano si è rivelato un’operazione debole (per quanto eversiva) e il Vaticano ha dovuto mobilitare la sua Corte Pontificia per “disinnescare” momentaneamente Berlusconi. Ha mosso le sue pedine: pezzi di PdL e di Scelta Civica come Letta (zio), Formigoni, Alfano, Cicchitto, Schifani, Mauro (il ministro della difesa reduce dal tour per vendere armi made in Italy in Medio Oriente e Africa) e altri di secondo piano che insieme hanno assunto un ruolo determinante nel disinnesco della mina vagante che era Berlusconi per il governo Letta-Napolitano. Con questa operazione il Vaticano irrompe ancora più apertamente nella politica del paese e alimenta la dissoluzione del teatrino della politica borghese e della finzione dell’autonomia del governo ufficiale. Non è per nulla secondario che, parallelamente a questo, la Corte Costituzionale abbia decretato (dopo 8 anni, due elezioni politiche, due elezioni del presidente della Repubblica e della stessa Corte Costituzionale, ecc.) l’incostituzionalità della legge elettorale, il “Porcellum”, la porcata. Questo fatto getta nel caos i fautori della via elettorale alla governabilità del Paese (alla “stabilità”): non solo le elezioni non servono ad eleggere la maggioranza del Parlamento e quindi definire il governo del Paese (questo lo sapevamo e lo diciamo da tempo). Ma soprattutto è chiaro che non serviranno le prossime elezioni di cui “tutti” cianciano (e che Napolitano non vuole convocare…chissà perché?) a fare fronte alla crisi politica. Da considerare, inoltre, che lo tsunami dell’incostituzionalità della legge elettorale crea, a rigor di logica, una situazione in cui nessuna autorità o istituzione eletta ha alcuna legittimità. Da qui il ruolo di agitatori del M5S: “siamo tutti illegittimi” e una parte delle crescenti tensioni fra masse popolari (defraudate anche della messinscena delle elezioni) e classi dominanti. Se vogliamo fare una sintesi, sia per quanto riguarda la cause dell’ingovernabilità del paese “dall’alto” (ossia a causa delle lotte, degli scontri, dei regolamenti di conti nel campo dei vertici della Repubblica Pontificia), sia per quanto riguarda le cause dell’ingovernabilità dal basso (la mobilitazione sempre più diffusa della classe operaia e delle masse popolari, che con la sortita dei “forconi” coinvolge anche settori tradizionalmente poco inclini a mobilitarsi, a contestare e mettere in discussione l’ordine costituito), essa è: i vertici della Repubblica Pontificia stanno facendo di tutto per “restare a galla”, “restare in sella”.

In primavera ci saranno le elezioni amministrative (oltre il 50% dei Comuni sono chiamati a rinnovare l’Amministrazione, fra i quali Firenze) e a maggio le elezioni europee. Il “come ci arriviamo” e con quali prospettive è un problema che si pongono soprattutto gli “italiani che contano”, sono loro che stanno perdendo pezzi, terreno, influenza, coesione e che sono lacerati dalle contraddizioni. Per noi il come ci arriviamo e con quali prospettive, ha l’unico valore di definire il come le usiamo per avanzare in maniera combinata su due movimenti convergenti: alimentare l’ingovernabilità dall’alto e costruire la nuova governabilità ad opera delle masse popolari organizzate.

Governo del paese. Ci sono tanti motivi per cui i vertici della Repubblica Pontificia non riescono e non possono formare un governo stabile, duraturo, credibile. Sono motivi che riguardano la situazione nazionale (politica, storica, economica) e quella internazionale. Non è nella natura e nelle capacità della borghesia imperialista riuscire a governare le contraddizioni e gli stravolgimenti che la crisi generale del suo sistema produce (non è un caso che nella blasonata Germania, solo a tre mesi dalle elezioni i capi dei gruppi imperialisti europei sono riusciti a formare un governo). Sono gli stessi motivi per cui soltanto le masse popolari organizzate possono farlo. Tocca a loro prendere le rovine della società e avviare il cammino per ricostruire il paese e trasformare la società.

“Al movimento dei Forconi alcuni hanno rinfacciato di non avanzare rivendicazioni, di non fare richieste precise, di non indicare obiettivi: di non aver presentato la loro piattaforma rivendicativa. Tra quelli che hanno assunto un simile atteggiamento di superiorità risalta, per l’importante ruolo politico che ricopre, Maurizio Landini, il segretario della FIOM, reduce dall’udienza che i ministri Enrico Giovannini (Lavoro) e Flavio Zanonato (Sviluppo) hanno accordato a lui e alla delegazione che lo accompagnava (Landini aveva annunciato udienza da Enrico Letta, ma costui non si è neppure degnato di riceverlo e ha delegato i due ministri a fare le sue funzioni e a ripetere generiche promesse).

A prima vista la critica può sembrare ragionevole: effettivamente i Forconi non hanno fatto alcuna richiesta al governo Letta, a Napolitano, al Parlamento (e neppure alla Corte Pontificia). Hanno solo detto che il governo Letta, Napolitano e il Parlamento se ne devono andare. Questa non è né una rivendicazione né una richiesta, ma è un obiettivo. Non sembra tale a personaggi come Landini e simili: solo perché sono abituati ad avanzare rivendicazioni o, più umilmente, richieste ad autorità che non si sognano di soddisfarle, occupate come sono a spremere gli operai e le altre classi delle masse popolari a beneficio dei caporioni e delle istituzioni del capitale finanziario. Landini e simili chiamano i lavoratori in piazza a protestare e poi si fregiano del prestigio della “manifestazione riuscita” e vanno a presentare le loro richieste alle autorità, se queste reputano conveniente riceverli. Un po’ come Paolo Di Vetta e Luca Fagiano, autorevoli promotori del movimento per la casa, che dopo la manifestazione del 19 ottobre, invece di organizzare la difesa delle occupazioni ed estenderle, il 22 ottobre se ne sono andati dal ministro Maurizio Lupi e dal sindaco Ignazio Marino a presentare, forti del loro prestigio, le richieste della “grande manifestazione”: e il risultato sono gli sfratti che a Roma continuano e buttano in strada gli occupanti delle case dei Caltagirone e della Chiesa (in barba alle belle prediche di papa Francesco).

In realtà il movimento dei Forconi si è posto, ha posto e ha indicato l’obiettivo decisivo, preliminare a ogni altro in questo periodo: costituire un governo d’emergenza che rompa con il sistema del capitale finanziario che spreme le masse popolari e devasta e saccheggia il paese. Sperare che le autorità della Repubblica Pontificia, responsabili del disastro e complici della Comunità Internazionale (CI) dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti, facciano una politica diversa da quella che fanno, è come sperare che le volpi si mettano a proteggere le galline.

Che poi tutti o alcuni dei promotori del Coordinamento 9 dicembre dicano o pensino che il governo d’emergenza deve essere fatto da esponenti dei Carabinieri, della Polizia, della Guardie di Finanza e delle Forze Armate (come da tempo va predicando l’ex generale dei CC e attuale dirigente del SUPU (Sindacato Unitario del Personale in Uniforme), Antonio Pappalardo, vicino ad alcuni dirigenti del Coordinamento 9 dicembre se non membro egli stesso del Coordinamento) questo è un’altra questione. Un’aspirazione certamente non aliena alla ristretta mentalità di bottegai abituati ad individuare nelle “forze dell’ordine” (dell’ordine che opprime le masse popolari italiane e devasta l’Italia al servizio della CI) i difensori della loro proprietà. Questa è una delle contraddizioni della situazione e su di essa fanno leva quelli che, al servizio dell’ordine costituito, gridano al populismo e al fascismo di quelli che si ribellano.

In realtà, quando c’è un ordine sociale ingiusto, inevitabilmente il disordine è il primo passo verso un ordine sociale giusto. Concezione che certamente è con difficoltà che si fa strada nella testa di proprietari sia pur piccoli, travolti dalla crisi del capitale da cui senza che loro lo sapessero dipendevano le loro fortune e abituati a vedere nelle “forze dell’ordine” la difesa della loro proprietà che ora sono le autorità, Equitalia, le banche e il mercato (tutelati dalle “forze dell’ordine”) a portargli via” (dal Comunicato del (n)PCI n. 43- 14.12.13).

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