Occupare le fabbriche, Uscire dalle fabbriche

Una lunga scia di bagliori nel buio della crisi. Il 2013 si è chiuso, come gli altri 5 anni precedenti da quando è iniziata la fase acuta e irreversibile della crisi, con i conti scomposti, con i rapporti su occupazione e i dati sulla produzione che hanno continuato a sprofondare anche se l’informazione borghese ha spacciato per “l’inizio della ripresa” qualche percentuale di decimale “meno peggio” del previsto o dell’anno prima. Chi vuole vedere “il buio della crisi” ha di che trovare conferme che la situazione sprofonda. Chi ascolta le sirene della propaganda e dell’intossicazione dell’opinione pubblica avrà di che rassegnarsi: nessuna ripresa è possibile, nessuna luce fuori dal tunnel è possibile se non si mette mano con decisione e coraggio (a situazione di emergenza soluzioni di emergenza) alle misure necessarie per difendere i posti di lavoro esistenti e alla creazione di nuovi.

Noi del 2013 vediamo e vi chiamiamo a vedere prima di tutto i bagliori nel buio, cioè quelle tendenze, iniziative, lotte, esperienze che hanno significativamente illuminato il “mondo reale”, quello fatto di mobilitazione e resistenza, di lotte e solidarietà, non quello artificiale dei dati statistici della propaganda di regime. Poco, anzi nulla, hanno a che vedere, questi bagliori, con le politiche del governo golpista e illegittimo, con l’attività parlamentare e delle commissioni, con la politica economica, industriale e fiscale di una classe di parassiti e sanguisughe. Hanno invece a che vedere con la mobilitazione popolare e, in particolare, con la mobilitazione della classe operaia e dei lavoratori.

Gli esempi in questione sono tanti (lo sappiamo che c’è che dice che valgono quel che valgono, poco, o addirittura che “gli operai e i lavoratori non si mobilitano”) e il doverli scegliere e “selezionare” (per questioni di spazio, ma anche di conoscenza diretta) è già di per sé un dato significativo: non c’è stata solo una qualche sporadica “esperienza esemplare di lotta”, ma sono state molte, grandi e piccole, che da nord a sud hanno coinvolto e portato alla ribalta (protagonismo) operai e lavoratori.

C’è stata la vittoria delle lavoratrici e dei lavoratori del S. Raffaele di Milano, quella degli operai della Ginori di Firenze, c’è stato il consolidamento della RI-Maflow come esperienza di autogestione degli spazi di quella che era una fabbrica e di cui è rimasto il guscio (i capannoni) e l’anima (gli operai); ci sono state tante esperienze di autogestione della produzione (sono più di 50 le aziende recuperate e autogestite dagli operai). Ci sono le evoluzioni della battaglia per la riapertura dell’Irisbus di Valle Ufita e quella per l’ILVA di Taranto. E poi gli scioperi dei lavoratori del trasporto pubblico locale, prima a Bologna e poi, a fine 2013, a Genova (le gloriose 5 giornate) e infine a Firenze; le lote dei lavoratori della cooperative. Certo, per contro ci sono state anche tante esperienze di fabbriche chiuse e delocalizzate, che il semplice presidio di fronte ai cancelli non è bastato a salvarle. Ci sono stati tanti proclami dei sindacati di regime che poi non hanno sostenuto e orientato le RSU a portare fino in fondo la battaglia per difendere i posti di lavoro (e anzi hanno seminato rassegnazione, sfiducia e sconfitta). Ma è nostro compito, compito dei comunisti, guardare alle esperienze che potenzialmente, se elaborate, estese, generalizzate, possono aprire una strada su cui si incanalano non solo gli operai e i lavoratori della singola fabbrica o azienda, ma la parte avanzata e organizzata delle masse popolari.

Per loro natura i “bagliori nel buio” sono occasionali, estemporanei, appaiono ora qua e ora là, apparentemente senza un filo logico o un ordine. Per quanto possano essere tanti, dall’alto si manifestano come un brulicare confuso. Ecco, questo brulicare confuso può diventare e vogliamo farlo diventare una rete capillare che rischiara la situazione e i tempi che viviamo, la strada illuminata da percorrere che passo dopo passo porta alla vittoria, al traguardo, all’obiettivo.

Ogni gruppo o collettivo di operai e di lavoratori che ha illuminato il buio della crisi, che ha condotto lotte vincenti, che ha resistito alla chiusura, che ha strappato una conquista in questa fase della crisi, ha combinato, anche se inconsapevolmente e spontaneamente, due movimenti distinti: ha “occupato la fabbrica” ed è “uscito dalla fabbrica”

Occupare la fabbrica. Significa che attorno a una avanguardia di lotta si è costituito un gruppo più o meno vasto di operai e di lavoratori che ha iniziato a occuparsi direttamente del futuro della fabbrica, che ha iniziato ad essere punto di riferimento, voce e presenza alternativa e antagonista alla direzione ufficiale e “legale”, il padrone, e alla sua longa manus (le dirigenze nazionali e spesso anche locali dei sindacati di regime, o comunque di forze sindacali filo padronali).

Uscire dalla fabbrica. Significa che nella conduzione della specifica battaglia di fabbrica o d’azienda, il gruppo o il collettivo di operai che la dirige assume un ruolo politico anche al di fuori, fa valere l’orientamento della classe operaia, raccoglie e valorizza le forze e la capacità e la disponibilità a mobilitarsi del resto delle masse popolari, si coordina con altre organizzazioni operaie e organizzazioni popolari.

Fra i due movimenti, “occupare la fabbrica” è il primo e principale, ma il secondo “uscire dalla fabbrica” è quello decisivo, è quello cioè che determina le possibilità di prospettiva e di vittoria. È quello che consolida il ruolo della classe operaia nella mobilitazione popolare, è quello che schiude e porte alla prospettiva, alla trasformazione della società. È quello che trasforma “un bagliore nel buio” in un punto di riferimento per altri operai, per altri lavoratori, per le masse popolari organizzate.

E’ un principio concreto e per niente astratto: è il percorso che hanno fatto gli operai dell’ILVA di Taranto, che sono il nocciolo della mobilitazione per un posto di lavoro utile e dignitoso, non nocivo, che va di pari passo con la mobilitazione delle masse popolari per il diritto a vivere in un ambiente sano, senza dover morire in nome del profitto della famiglia Riva e dello stuolo di corrotti che lo ha assistito e protetto per decenni. E’ il percorso che hanno fatto le lavoratrici e i lavoratori del S. Raffaele e della Ginori. È il percorso che stanno facendo, con le particolarità del caso, i lavoratori della RI-Maflow.

Se mettiamo le cose in questo modo, il periodo che abbiamo di fronte lo possiamo guardare armati di fiducia (nella forza e nelle possibilità della classe operaia e del movimento dei lavoratori) e coraggio (con il coraggio di voler imporre alle cose un corso preciso, che spontaneamente non si impone).

Sono tante, tantissime, le organizzazioni operaie che hanno “occupato la fabbrica”. Lo hanno fatto e lo fanno gli operai della SAME di Treviglio (i “ribelli della SAME”), quelli della Piaggio a Pontedera, della Ferrari a Modena… ma un elenco completo non si può fare. A loro il compito e la responsabilità di fare il secondo passo: uscire dalle fabbriche. Per quanto possa sembrare difficile è ciò di cui tutte le masse popolari hanno bisogno, ed è ciò di cui hanno bisogno anche loro per spingere avanti la specifica lotta che conducono, per inserirla e inquadrarla nella mobilitazione generale, per costruire la nuova governabilità del paese ad opera delle masse popolari organizzate.

Oggi sono i padroni a occuparsi e preoccuparsi del futuro delle aziende (cioè della società intera), in relazione e nella misura in cui quel futuro è conveniente per loro e per come è conveniente per loro: per ricavare più soldi dalla fabbrica vendendola, delocalizzandola, facendo crescere il corso (il prezzo) delle azioni con la distribuzione di utili agli azionisti (a scapito dei salari, degli investimenti in ricerca e sviluppo, della sicurezza e dell’ambiente, ecc.), facendo circolare voci e con altre manovre. Nel socialismo sono la classe operaia e le masse popolari che si occupano e si preoccupano del futuro delle aziende, ma in modo diverso da come fanno i padroni nel capitalismo.

Gli operai comunisti non sono “quelli che si mobilitano, protestano, lottano”, ma sono soprattutto e precisamente quelli che operano sulla base di un progetto più ampio di trasformazione della società e che dalla fabbrica portano all’esterno il ruolo, l’organizzazione e l’autorevolezza della classe operaia per orientare il resto delle masse popolari. Detto in altri termini sono quelli che alle condizioni attuali e a partire dalle contraddizioni specifiche della fabbrica o dell’azienda in cui lavorano, si pongono l’obiettivo di combinare la mobilitazione delle organizzazioni operaie e delle organizzazioni popolari per affermare i loro interessi immediati (difendere i posti di lavoro esistenti, fare fronte agli effetti della crisi in modo organizzato, costruttivo e collettivo) con quella per affermare e conquistare i loro interessi strategici e generali (emancipazione collettiva, liberazione dalla proprietà privata, gestione collettiva dei beni e della “cosa pubblica”… la costruzione del socialismo).

Se il 2014 sarà l’anno della svolta dipende da noi, dai comunisti, dagli operai che diventano comunisti. Ma, se il 2014 sarà l’anno della svolta, non dipende da un susseguirsi di esplosioni di lotta, di “sollevazioni” e “ribellioni”, ma dal percorso che collettivamente saremo capaci di compiere, passo dopo passo, nella costruzione del Governo di Blocco Popolare. “Promuoviamo e sosteniamo la creazione di una rete di operai legati al movimento comunista, che si coordinano tra loro ed “escono dalla fabbrica”, nel senso che svolgono direttamente e in maniera autonoma dai sindacalisti di regime un’azione di orientamento, mobilitazione e direzione su altri operai e lavoratori, su altri settori delle masse popolari, sulle amministrazioni locali, sulle principali questioni locali e nazionali, “danno la linea” alle loro organizzazioni sindacali, fanno crescere nella mente e nel cuore degli altri operai e del resto delle masse popolari la volontà di battersi contro i capitalisti e le loro autorità e la fiducia che senza i capitalisti possono fare tutto. La classe operaia è la forza dirigente della trasformazione della società capitalista in società comunista, ha un ruolo particolare nella società borghese, per la sua condizione sociale è predisposta a recepire la concezione comunista del mondo (è educata dalle relazioni che vive nella società borghese ad alcuni aspetti della concezione comunista del mondo), quindi ha un ruolo di traino all’interno della società borghese nella lotta per instaurare il socialismo” (dalle Tesi approvate dal Terzo Congresso del P.CARC – n. 41).

carc

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