Questo articolo è lo stralcio di una lettera a un compagno che da alcuni anni è uscito dal PRC e che, nonostante collabori alle attività di una sezione del P.CARC, non è deciso a diventare membro del Partito. Con lui è in corso un dibattito vivace che riguarda il modo con cui si concepisce la militanza politica dei comunisti e per i comunisti, un dibattito ricco che rendiamo (in parte) pubblico dato che interessa non solo lui e non solo i compagni e le compagne “esterni al Partito”, ma riguarda tutti coloro che si definiscono comunisti.
Caro Paolo,
(…) è chiaro che i motivi che ti hanno spinto a uscire dal PRC per cercare “percorsi e forme più incisivi della lotta di classe” sono anche quelli che ti portano oggi, proprio perché non li hai elaborati fino in fondo, a “deviare” su una visione unilaterale del ruolo dei comunisti e del movimento comunista. Mi spiego meglio: l’aspetto della promozione e dell’organizzazione della “guerra ai padroni, al capitalismo, allo sfruttamento” è un aspetto fondamentale dell’opera dei comunisti. Mentre costruiamo le condizioni soggettive (è una questione di avanzamento un passo dopo l’altro per farla davvero la guerra) in quel senso, dobbiamo contemporaneamente costruire le condizioni, le basi e i pilastri per la nuova società. Questa è la difficoltà dei nostri compiti ed è anche la grande differenza che passa fra i “ribelli” e i comunisti. Compito principale dei comunisti oggi non è promuovere la ribellione delle masse popolari: settori sempre più ampi di masse popolari si mobilitano e sono spinti a ribellarsi dall’incalzare della crisi e dalle misure di “austerità” delle autorità. Il nostro compito principale è dare un orientamento e una direzione a questa mobilitazione affinché sia compiutamente il movimento concreto che cambia lo stato di cose presenti (…), le mobilitazioni e le ribellioni senza un orientamento avanzato e di prospettiva e un obiettivo positivo possono portare, alla lunga, al risultato opposto, alla mobilitazione reazionaria. E’ specifico compito nostro promuovere la costruzione del nuovo potere, le forme pratiche con cui le masse popolari organizzate iniziano (imparano e via via sviluppano) a dirigere parti crescenti della società. Dato che la prima ondata del movimento comunista non è riuscita a instaurare il socialismo in nessun paese imperialista, la nostra opera è qualcosa di unico nella storia e innovativo. Per questo ti invito a ragionare sul dibattito che abbiamo iniziato modificando il centro della questione: i comunisti sono i combattenti d’avanguardia della lotta di classe se diventano gli scienziati della lotta di classe, della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata attraverso cui la classe operaia e il resto delle masse popolari arriveranno a conquistare il potere. (…)
Concepisciti in questo modo e in questi “panni” fai un bilancio della tua esperienza dentro e fuori il PRC e traccia le coordinate del futuro, del tuo futuro e del futuro del movimento comunista. Ti dico cosa vedo io per te (e per noi), credo che potrai condividerlo, a patto che ti liberi dalle vesti (e dalle aspirazioni) di ribelle sociale e indossi gli attrezzi di lavoro dello scienziato. Di questo parliamo.
Un comunista si distingue (cioè si qualifica) per come si approccia alla realtà, per come “la legge” e per come opera per trasformarla. Deve essere un infaticabile ricercatore. La pigrizia intellettuale, che affonda le sue radici nel dogmatismo (“tutto è stato già detto e scritto nei classici”) e nel movimentismo (“non bisogna perdere tempo con lo studio, quello che conta è l’azione!”), va contrastata senza alcuna esitazione nelle nostre fila: essa contribuisce infatti a far perdurare al nostro interno posizioni, analisi e concezioni non scientifiche, errate e arretrate, da senso comune e in quanto tali nocive e dannose per lo sviluppo della nostra impresa. Un comunista deve operare come uno scienziato animato dall’obiettivo di raggiungere una comprensione superiore delle condizioni, dei risultati e delle forme con cui si sviluppa la lotta di classe nel nostro paese, delle tendenze che l’attraversano e la muovono sulla spinta potente della seconda crisi generale del capitalismo (che sconvolge il nostro paese e il resto del mondo dalla metà degli anni ‘70) e della connessa situazione rivoluzionaria in sviluppo. E deve essere un infaticabile sperimentatore che con pazienza e metodo elabora insegnamenti, criteri, principi, linee generali e particolari, metodi e strumenti di lavoro sempre più raffinati e sempre più efficaci per incidere positivamente sulla lotta di classe e avanzare nella lotta per l’instaurazione del socialismo.
Dunque un comunista non si accontenta di comprendere il mondo, di contemplarlo, di essere spettatore più o meno dotto alla finestra della storia. Il mondo vogliamo trasformarlo!
(…) Altro aspetto per cui un comunista si qualifica e si distingue è il fatto di concepirsi sì come scienziato, ma che opera in un collettivo. Occorre mettersi nell’ottica di scienziati che concorrono collettivamente alla riuscita di una ricerca comune il cui risultato finale è dato dal lavoro di tutti. Non bisogna essere accecati dalla brama di “fare per primi il giusto esperimento”, di prevalere gli uni sugli altri e di affermarsi individualmente (individualismo). Ciò è altamente nocivo per la ricerca collettiva, per due motivi: logora il singolo scienziato (tanto più esso è attivo e d’iniziativa) il quale in ogni fallimento vedrà una sua sconfitta personale e via via perderà slancio e motivazione nel condurre la ricerca, con l’estrema facilità di giungere a conclusioni sbagliate e, se persiste nel non correggersi, disfattiste (abbandono della ricerca stessa, abbandono del campo); non contribuisce allo sviluppo del lavoro che l’insieme del collettivo conduce, lo ostacola e, nei fatti, lo sabota. Non bisogna dunque fare della “realizzazione dell’esperimento giusto” una questione di cui va la propria validità personale, ma imparare dall’esperimento: questo è spirito scientifico. Nei laboratori scientifici non si pretende di fare esperimenti giusti ma di giungere a dei giusti risultati finali: si sperimenta prima su scala semi-industriale (su una scala pilota su cui si testa l’esperimento). Quando si è scoperta una verità e l’impianto pilota funziona, si testano i risultati giusti per verificarli in relazione a tutte le connessioni con aspetti della realtà.
(…) Adesso, Paolo, mi aspetto che sia tu a rilanciare. A partire dal fatto che non esistono immaginarie organizzazioni “belle e pronte” che operano in condizioni “precise, perfette e stabilite”. L’elaborazione della Carovana del (n)PCI e a cui la Carovana si è dedicata per molti anni è una elaborazione scientifica che va calata nella pratica con spirito scientifico e sperimentale. A questo ti chiamiamo a concorrere con il tuo entusiasmo, la tua intelligenza e creatività e la tua disponibilità a trasformarti per trasformare il mondo.
A pungo chiuso – P.