Avanti Perino! Il movimento NO TAV ha fatto 30 e può fare 31!

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  • L’onda concentrica del cosiddetto “movimento dei forconi” smuove le acque e rende più aperta la partita tra mobilitazione rivoluzionarie e mobilitazione reazionaria
  • Nessuno escluso: agire ora! Formare da subito un Comitato di Salvezza Nazionale, cacciare il governo Letta-Napolitano e instaurare un governo d’emergenza popolare
  • Gli operai avanzatipossono e devono diventare il centro di aggregazione e organizzazione di tutte le forze popolari

L’intervista di Alberto Perino pubblicata su il manifesto del 18 dicembre, per quanto sintetica, indica (a chi la vuole vedere) la prospettiva che il denominato “movimento dei forconi” ha (im)posto all’ordine del giorno anche se in modo contraddittorio e confuso (e anche “rozzo”) e il compito di quanti hanno ascolto, prestigio e influenza tra le masse popolari se vogliono veramente farla finita con il disastro in cui i vertici della Repubblica Pontificia e i loro governi ci stanno risucchiando ogni giorno di più.

 

Ne riportiamo i passaggi salienti.

“Ovvia­mente, quando c’è rab­bia c’è egoi­smo e i ragio­na­menti sono molto ele­men­tari. E anche folli, come quello di un governo di tran­si­zione tenuto da militari. D’altra parte anche noi quando comin­ciammo la pro­te­sta all’inizio degli anni ’90 face­vamo discorsi tipi­ca­mente Nimby, quelli che la gente capi­sce di più. Ma oggi, a forza di par­lare e con­fron­tarci nelle piazze, siamo arri­vati tutti insieme alla cri­tica del modello di svi­luppo insostenibile

 

“In un nostro recente con­ve­gno ho detto che dovremmo scen­dere in piazza insieme a que­sta gente, così ete­ro­ge­nea, così disor­ga­niz­zata e per­ciò molto genuina. Per­ché se li lasciamo in mano alla destra fac­ciamo la fine della Gre­cia con Alba Dorata. (…)È chiaro che è dif­fi­cile gestire una cosa così, ma non per que­sto biso­gna rinun­ciarci. D’altronde in Bre­ta­gna abbiamo visto la pro­te­sta dei “baschi rossi” che non erano mica un movi­mento di destra eppure hanno fatto delle cose tre­mende, di una vio­lenza inau­dita: altro che bar­ri­cate! E in Bel­gio i pom­pieri si sono scon­trati dura­mente con la poli­zia. Voglio dire che la sini­stra fac­cia atten­zione a non rega­lare alle destre tutto ciò che non passa per le organizzazioni poli­ti­che o sindacali.

Que­sti movi­menti con­fluiti nel Coor­di­na­mento mi sem­brano auto­re­fe­ren­ziali: non hanno alcun con­tatto vero con la gente. Certo, i coor­di­na­tori hanno avuto la buona idea della mobi­li­ta­zione, hanno spinto le per­sone a spe­gnere le tele­vi­sioni e a scen­dere in piazza. E di que­sto dob­biamo essere con­tenti. Ma quando li ho visti e sen­titi a Torino, in piazza Castello, ho capito che non hanno una vera presa sulla gente, usano un lin­guag­gio che non arriva a tutti. D’altronde quando hai per­sone così eterogenee non puoi fare il capo­po­polo che cerca di con­vin­cere tutti. E infatti dopo giorni di pro­te­sta non hanno ancora visto alcun risul­tato. Le manifestazioni di que­sti giorni a Roma dove­vano farle prima”.

 

Il dibattito attorno alla mobilitazione iniziata il 9 dicembre ha il pregio di fare da spartiacque tra due tendenze, una avanzata (quella sintetizzata da Perino, ma non solo) e una arretrata (quelli che hanno scambiato la mobilitazione iniziata il 9 dicembre per la premessa di una nuova marcia su Roma, un golpe militare – ??!! – o che hanno liquidato le piazze e i presidi come “fascistume”).

Andando per punti (e in alcuni casi dobbiamo ripetere cose già dette).

1. Di fronte a ogni movimento di massa, non bisogna partire dalle idee dei partecipanti e da chi sono i suoi leader, ma dalle classi che lo compongono, dal ruolo che svolge nel contesto generale e dal ruolo che possiamo fargli svolgere attraverso il nostro intervento. Il grosso di chi scende in piazza in questi giorni sono gente nostra, è gente che per vivere deve lavorare (a differenza dei Ligresti, dei Riva, dei Marchionne, dei banchieri e speculatori, dei cardinali, dei ministri, sottosegretari e dei politici di destra, centro e sinistra e di quanti vivono nel lusso anche senza lavorare o, se lavorano, non lo fanno per vivere ma per aumentare le loro ricchezze). I loro nemici sono gli stessi del movimento NO TAV, degli immigrati “disinfestati” nei nuovi campi di concentramento a Lampedusa, dei movimenti per la casa, degli studenti in lotta contro la distruzione della scuola pubblica, degli autoferrotranvieri di Genova e di Firenze, degli operai dell’Ilva e dei cittadini e lavoratori liberi e pensanti di Taranto, degli operai mobilitati contro la chiusura, la delocalizzazione o il ridimensionamento delle fabbriche, dei precari e dei disoccupati, del fiumeinpiena in Campania. Non vanno lasciati in mano alla destra solo perché “non passano per le organizzazioni politiche e sindacali”, dice giustamente Perino… non solo per le organizzazioni che collaborano apertamente con questo governo di predoni e criminali al servizio dei mercati finanziari, ma neanche per quelle organizzazioni combattive che però finora sono restate sul terreno della protesta, della rivendicazione, dell’opposizione.

2. Almeno alle sue origini (cioè all’avvio delle mobilitazioni, il 9 dicembre) il movimento detto “dei forconi” ha posto con chiarezza e senza mezzi termini la questione del governo del paese: via il governo Letta e via la classe politica e dirigente che negli ultimi decenni ha fatto solo gli interessi propri e quelli degli amici degli amici. Le proposte che vi hanno affiancato sono lo specchio della composizione di classe, della debolezza del movimento comunista, dei tentativi di infiltrazione di organizzazioni fasciste e di faccendieri politicanti… Chi pretendeva che indicassero come soluzione il socialismo, vive probabilmente in un altro periodo storico, chi si aspettava che indicassero un modello (social)democratico vive probabilmente in un altro pianeta. La confusione, l’approssimazione (inevitabile), la “grossolanità” e le tendenze reazionarie (una giunta militare di transizione) non intaccano il fatto che l’obiettivo di questa mobilitazione è più realistico (e quindi avanzato) delle tante piattaforme e rivendicazioni belle colorite da fare a questo o quel governo, questa o quella autorità della Repubblica Pontificia che non hanno nessuna intenzione di soddisfarle (non lo diciamo noi, sono i fatti che stanno lì a dimostrarlo). Quale governo instaurare al posto dell’attuale e come?

3. L’onda concentrica del cosiddetto “movimento dei forconi” smuove le acque e rende più aperta la partita tra mobilitazione rivoluzionaria e mobilitazione reazionaria. Saranno i comunisti, gli operai avanzati, i movimenti e gli organismi progressisti ad avviare un nuovo corso o nell’immediato prevarranno i promotori delle prove di fascismo? Questa la posta in gioco nell’immediato futuro.

 

4. La faccia pubblica e la testa di questo movimento detto “dei forconi” non poteva essere altro che quello che è, stante lo snobismo, il senso di sconfitta, l’abitudine a “volare basso”, la mancanza di prospettiva e la mancanza di decisione ad andare fino in fondo che caratterizza e qualifica la maggioranza dei portavoce e dei promotori del movimento popolare nel nostro paese (dirigenti dei sindacati di base, della sinistra sindacale, di organismi popolari, sinceri democratici e progressisti). Ha ragione Perino quando dice dei leader del movimento: “Que­sti movi­menti con­fluiti nel Coor­di­na­mento mi sem­brano auto­re­fe­ren­ziali. Quello che leggiamo in questa definizione va oltre le due righe in cui è sintetizzata. Significa che se questi leader sono autoreferenziali per sviluppare e orientare il movimento che hanno avuto il pregio (e per certi versi il coraggio) di promuovere, per svilupparlo, per raggiungere l’obiettivo di cacciare il governo Letta e la classe politica e dirigente (giusto, realizzabile, concreto, di prospettiva) ha bisogno di altri leader. Quali? Chi?

E’ nell’ordine delle cose che il movimento NO TAV abbia un ruolo centrale nel dare uno sbocco positivo e costruttivo alla situazione: in questi anni ha conquistato sul campo l’autorevolezza per mettersi alla testa della sollevazione che in tutte le piazze d’Italia sta raccogliendo settori ampi, variegati, plurali delle masse popolari, per far confluire i diversi settori delle masse popolari che protestano, si mobilitano e lottano in un unico grande movimento per ricostruire il nostro paese.
Perino e gli altri portavoce del movimento NO TAV sono nella posizione per essere quegli “altri leader”, per costituire quel centro autorevole che occorre non solo al movimento 9 dicembre, ma a tutto il movimento popolare contro la crisi, i suoi effetti e i suoi responsabili. Detto in altri termini, per formare da subito un Comitato di Salvezza Nazionale che chiami lavoratori dipendenti e autonomi, precari, disoccupati, studenti, pensionati e immigrati a organizzarsi e mobilitarsi senza tregua per cacciare questo governo illegale e illegittimo, per far fronte direttamente e in ogni modo agli effetti peggiori della crisi e per costituire un governo d’emergenza popolare. Questa è, oggi, la natura delle tante mobilitazioni che “la sinistra popolare e progressista” tiene ancorate a un’ottica rivendicativa (contrattare con il governo, chiedere al governo, pretendere dal governo) e a cui preclude la strada possibile (governare!).

 

Senza giri di parole e peli sulla lingua, le parole di Perino chiamano in causa i tanti autorevoli personaggi che possono assumere un ruolo ben superiore a quello che oggi possiamo assumere noi P.CARC. Da Maurizio Landini che in TV minaccia di occupare le fabbriche che chiudono o de localizzano e parla di piano per il lavoro a Guido Viale [link 1, 2], che ha più volte prospettato misure e provvedimenti concreti per far fronte agli effetti della crisi a Ugo Mattei, uno dei padri del referendum sul’acqua e i beni comuni, cioè di un nuovo concetto di cittadinanza attiva, protagonismo e morale collettiva; da Giulietto Chiesa, che tra i primi ha lanciato l’obiettivo di un nuovo Comitato di Liberazione Nazionale a Giorgio Cremaschi, che rappresenta quella parte di sindacato confederale che aspira a rimettere al centro dell’esistenza stessa della CGIL la conflittualità fra capitale e lavoro; da Leonardi e Tomaselli e tutti i dirigenti del sindacalismo di base a Di Vetta e Fagiano, gli animatori del movimento di lotta per casa e gli aggregati che sono stati protagonisti delle mobilitazioni d’autunno (Blocchi Precari Metropolitani e con loro tutto il circuito di Abitare nella crisi); da Accorinti e gli altri esponenti democratici delle amministrazioni locali e della società civile promotori de Le Città in Comune fino a quegli eletti e a quegli esponenti del M5S che hanno le radici piantate nel terreno della mobilitazione popolare (e a maggior ragione dopo le posizioni prese dal “garante del M5S”, Grillo, sul ruolo delle forze dell’ordine in questa fase).

Siamo consapevoli che ognuno degli autorevoli soggetti che abbiamo nominato, compresi quelli che abbiamo tralasciato, che ognuno degli aggregati che abbiamo chiamato in causa sono diversi, hanno caratteristiche, analisi e sensibilità proprie. Ma oggi, con la questione del governo del paese portata nelle piazze e nelle strade da un aggregato di leader contraddittori e “autoreferenziali”, con le manovre concrete per promuovere la mobilitazione reazionaria (dire che non sono tutti fascisti non equivale a dire che non ci siano tentativi di infiltrazione, sdoganamento, camuffamenti vari da parte delle organizzazioni fasciste…), a tutti coloro che chiamiamo in causa è richiesto un passo avanti, è richiesto di fare il passo di costituirsi in Comitato di Salvezza Nazionale e portare così a un livello più avanzato la lotta delle masse popolari organizzate per governare il Paese.

La forza decisiva
La confluenza dei lavoratori autonomi in un unico grande movimento per ricostruire il paese e, in definitiva, anche il fatto che i personaggi già oggi autorevoli prendano l’iniziativa di formare un Comitato di Salvezza Nazionale marcia sulle gambe e sulla spinta delle organizzazioni e dei coordinamenti operai. A partire dagli operai che hanno “occupato la fabbrica”: si sono organizzati e hanno iniziato a occuparsi direttamente del futuro della fabbrica, a essere punto di riferimento, voce e presenza alternativa e antagonista alla direzione ufficiale e “legale”, il padrone, e alla sua longa manus (le dirigenze nazionali e spesso anche locali dei sindacati di regime, o comunque di forze sindacali filo padronali). Lo hanno fatto e lo fanno gli operai della SAME di Treviglio (i “ribelli della SAME”), quelli della Piaggio a Pontedera, della Ferrari a Modena… ma un elenco completo non si può fare. A loro il compito e la responsabilità di fare il secondo passo: uscire dalle fabbriche. Per quanto possa sembrare difficile è ciò di cui tutte le masse popolari hanno bisogno, ed è ciò di cui hanno bisogno anche loro per spingere avanti la specifica lotta che conducono, per inserirla e inquadrarla nella mobilitazione generale per costruire la nuova governabilità del paese ad opera delle masse popolari organizzate. Tre piccoli esempi nel grande mare della mobilitazione e del conflitto in corso.

 

Un appello dai lavoratori alle forze sindacali conflittuali e di base: solleviamoci!

Milano, 17 dicembre 2012

Noi siamo un gruppo di lavoratori della grande distribuzione in lotta da anni contro lo smantellamento dei diritti e delle conquiste e in lotta in questi mesi contro il super sfruttamento (e la truffa) delle aperture domenicali dei grandi centri commerciali e dei supermercati.

In queste ultime settimane di un drammatico 2013, caratterizzato da un esponenziale inasprimento del dissenso di lavoratori, disoccupati e studenti, che in Italia come in Europa hanno infranto come cristallo, il “Truman Show” buonista costruito ad arte dai Catto-Finanzieri che da 50 anni stanno spolpando lo Stato Sociale, la Costituzione e le conquiste che i lavoratori e gli studenti si sono conquistati dalla fine della guerra agli anni ’70.

Lo stesso buonismo che negli ultimi 40 anni ha preteso di seppellire l’ascia di guerra (o se preferite la falce e martello) con la complicità dei sindacati mafiosi e conniventi che con il camaleontico e revisionista Pci/Pds/Ds/Pd hanno convinto le masse popolari (lavoratori compresi) che la pace sociale e la strenua difesa dei diritti conquistati con morti, lacrime e sangue, ci avrebbe protetto dalla protervia dei padroni e dei finanzieri che dettano leggi e agenda politica.

Ma purtroppo per il Governo delle sporche intese e per la triade mafiosa (CGIL, CISL e UIL) che ha appena declamato l’inutilità dello sciopero (sancito da Costituzione e Leggi) nonché la fine di ogni conflitto, sono scesi in piazza gli agricoltori, i lavoratori autonomi e chi ha un azienda agricola, ma che, per colpa di un sistema bancario e finanziario degni del peggior usuraio non riescono più a portare avanti le loro aziende,schiacciate dai debiti, dalle finanziarie e dalle banche che prestano denaro a strozzo.

Piccoli imprenditori e artigiani che hanno dissotterrato l’ascia di guerra e hanno bloccato autostrade e tangenziali, arrivando nelle piazze sostenuti da lavoratori e studenti, scesi in piazza cavalcando l’onda come abili surfisti.

Il malcontento e l’odio verso la classe politica manifestata in modo palese da persone della piccola borghesia caduta in disgrazia che hanno dato il voto per decenni agli stessi strozzini che ora combattono.

Lavoratori e studenti che sono e saranno ancora nelle piazze nonostante la prevedibile e “NON GRADITA” partecipazione di frange di nazisti e fascisti di Forza Nuova e Casa Pound, che in Italia come in Europa, sono scesi in piazza con il Popolo arrabbiato e indignato per cavalcare il malcontento e per rifarsi una credibilità che non hanno mai avuto,che permetta loro di conquistare le masse meno preparate e poco politicamente istruite.

Ed è per questo motivo che anche i lavoratori della Grande Distribuzione Organizzata, stanchi di vivere nell’indifferenza e di essere considerati invisibili, chiedono ai sindacati di base e combattivi di rovesciare finalmente ogni tavolo apparecchiato di pietanze indigeste e venefiche e di unirsi alla lotta dei lavoratori autonomi, agli studenti e ai lavoratori salariati e precari che, con le loro molteplici diversità, chiedono ad alta voce che la casta mafiosa costituita da politici conniventi e incapaci e da sindacalisti e sindacati che hanno svenduto i lavoratori per guadagnarsi un posto nel paradiso dei potenti, per spazzare via la feccia purulenta da questo paese.

Non lasciamo nelle mani della destra e dei fascisti la gente che si ribella, uniamoci e uniamola alla lotta che conduciamo da decenni i diritti, il lavoro, l’istruzione, il sapere e per un futuro dignitoso per TUTTI.

Un gruppo di lavoratori della grande distribuzione organizzata di Milano

 

Stiamo vivendo tempi densi di rivolgimenti

Viareggio, 17.12.13

Partecipando ai presidi dei cosiddetti forconi (ma non vogliono essere etichettati così ma piuttosto Coordinamento 9 Dicembre) ho potuto discutere con diversi giovani operai combattivi i quali mi hanno accolto molto bene dicendomi “Se tutti i sindacalisti fossero come te non saremmo in queste condizioni”. Il movimento almeno a Viareggio ha una forte autonomia anche dai vari capipopolo nazionali dei quali mi dicono “anche loro ci usano per i loro scopi ed una volta che li hanno ottenuti ci rimandano tutti a casa, dobbiamo contare sulle nostre forze e continuare la nostra battaglia e  con o senza di loro, le cose devono cambiare”.

Stiamo vivendo tempi densi di rivolgimenti che non vengono molte volte nella vita. Presidi al freddo con veri appartenenti alle masse popolari, con le loro contraddizioni, con le loro speranze di una vita dignitosa, assemblee sindacali con interventi pieni di vuota retorica, aggressioni verbali da parte di compagni di movimento che ti accusano di partecipare a movimenti pieni di fascisti. E’ una dura lotta per me in questo momento perche la stanchezza fisica si fa sentire. Ma non si illudano capiranno presto di che pasta sono fatti i comunisti. Stanco sì, domo mai!

il segretario della sezione

 

Bisogna diventare il centro di aggregazione e organizzazione di tutte le forze disponibili, anche di quelle che apparentemente sono più lontane da noi

Quello che stiamo vedendo in questi giorni mi fa pensare all’esperienza di lotta alla Trigano del 2003-2004. La lotta è cominciata come lotta degli iscritti e simpatizzanti FIOM, contro la firma del contratto nazionale dei metalmeccanici ad opera di FIM e UILM (le categorie metalmeccaniche di CISL e UIL): contratto che recepiva la legge 30 (detta anche legge Biagi), che apriva le porte definitivamente e in modo selvaggio alla precarietà nel mondo del lavoro.

Dalla primavera del 2003, noi come delegati FIOM abbiamo cominciato a indire una gran quantità di scioperi, aderendo alla mobilitazione lanciata dalla FIOM nazionale per costringere Confindustria a rimettere mano al contratto e riaprire il tavolo della trattativa. La parola d’ordine era far firmare alle aziende i pre-contratti FIOM (chiamati così perché dovevano essere il preludio della firma di un nuovo contratto) che mettessero in discussione quello appena firmato da FIM e UILM.

Da notare però che la mobilitazione era stata lanciata dalla FIOM con poca convinzione: in pratica fu poco più che una sparata.

Alla Trigano però l’abbiamo presa sul serio. Il delegato più autorevole della fabbrica (un compagno del PRC e dell’area Lavoro e Società della CGIL) si diceva determinato a contrastare la legge 30 e alla firma separata di FIM e UILM.

Io allora ho cominciato a fare pressione perchè si passasse ai fatti e non ci si limitasse al lamento.

Gli scioperi andarono avanti dal giugno 2003 fino a febbraio 2004: ogni settimana si facevano 4, 8, oppure anche 16 ore di sciopero. L’adesione andava dal 60% al 30% (bisogna pensare che aderivano solo gli operai che facevano riferimento alla FIOM). Anche se l’adesione a volte era bassa, avevamo adottato un sistema che creava molti problemi all’azienda: scioperi improvvisi o alternando i vari reparti, scioperi a singhiozzo. Gli scioperi così non erano più le semplici passeggiate che servono a ben poco, ma volevano creare le condizioni per la resa dell’azienda e contribuire a livello nazionale a bloccare il contratto illegittimo.

Intanto però l’azienda non cedeva e da parte sua cominciava a minacciare, anche attraverso l’intervento diretto del socio di maggioranza della multinazionale, di delocalizzare in Abruzzo o in Romania.

Per gli operai che partecipavano regolarmente agli scioperi l’impegno cominciò a diventare insostenibile: alcuni erano gli unici in famiglia a lavorare, avevano figli e lo stipendio era fortemente ridotto con tutte quelle ore di lavoro mancanti.

Ho deciso quindi di aprire nella RSU FIOM e tra i lavoratori un dibattito sulla necessità di rompere gli indugi e dare una nuova forma alla nostra mobilitazione, per arrivare alla vittoria e non tirarla più per le lunghe: uno sciopero ad oltranza con presidio. Ho dovuto dare battaglia contro gli opportunisti presenti dentro la RSU, in particolare quei soggetti che erano orientati dal funzionario provinciale. Sono riuscito a mobilitare la parte più sana e combattiva dei lavoratori, che hanno cominciato a fare pressione: alla fine la linea dello sciopero ad oltranza è passata. Tutto questo è partito a metà febbraio 2004.

Abbiamo cominciato a fare il presidio fuori dalla fabbrica e da subito si è creata una grande aggregazione: si stava tutto il giorno insieme (avevamo modo di stare tutto il giorno insieme anche con i lavoratori degli altri reparti), la gente che passava per la strada ci salutava e ci portava la sua solidarietà, si rilasciavano interviste e si cuocevano le salsicce sul fuoco.

Quello della Trigano era diventato un caso a livello regionale. Noi ci si teneva a contatto anche con le altre fabbriche, che però all’inizio non se la sono sentita di mobilitarsi al nostro fianco.

Abbiamo messo in campo dei blocchi delle merci (i carabinieri, presenti da subito hanno cominciato a minacciarci di denuncia). Da notare che ai blocchi parteciparono anche persone che non avevano nessuna esperienza di lotta e che in quella situazione misero in mostra un grande slancio.

Quella forma di lotta determinata e vincente fece scattare una molla nei lavoratori. La percentuale dell’adesione allo sciopero, invece che diminuire (qualcuno diceva che si sarebbe finiti male perchè si stavano perdendo troppi soldi) aumentava, arrivando fino al 70%, e a noi si aggiunsero anche alcuni operai che avevano la tessera della CISL. Questi non riuscivano a rimanere dentro, mentre fuori c’era tutta quella unione e si lottava per un contratto che poi avrebbe interessato tutti. E ci raccontavano che dentro c’era un clima molto teso, anche se l’azienda li teneva anche senza fare praticamente niente.

Durante lo sciopero ad oltranza, che in tutto è durato 6 giorni, abbiamo fatto due manifestazioni cittadine. La prima completamente senza interpellare la dirigenza della FIOM (che è dovuta venire di corsa per non perdere la faccia), con blocco stradale che ha intasato il traffico da Poggibonsi a Siena. Durante il blocco stradale ci sono stati momenti di tensione con gli automobilisti che volevano passare e un accenno di rissa con un camionista. Ci sono stati però anche molti che hanno espresso solidarietà.

In occasione della seconda manifestazione la FIOM ha dovuto muovere il culo e mobilitare gli operai di altre fabbriche della zona: ne è venuto fuori un corteo meno combattivo (meno rallentamenti del traffico), ma significativo di una mobilitazione che si stava allargando. Durante questo corteo il Presidente della Provincia ci ha convocati insieme alla dirigenza dell’azienda e a Confindustria per trattare.

Così la mobilitazione si è spostata a Siena, con un presidio davanti al palazzo della Provincia.

Alla fine l’azienda ha dovuto cedere e firmare un accordo con: aumento salariale (aumento della paga oraria) con criterio inverso a quello usato di solito (aumento maggiore per i livelli inferiori e a calare verso i livelli superiori), una cifra “una tantum” come risarcimento per le ore perse con lo sciopero e limitazioni all’applicazione della legge 30.

Gli insegnamenti che ho tratto da questa esperienza e che sono utili al lavoro che abbiamo di fronte sono due.

1) Bisogna lottare per vincere. Le masse popolari non hanno tempo per occuparsi di battaglie perse in partenza, che non hanno prospettive. Per la battaglia che ho raccontato qui la svolta è avvenuta quando ci siamo decisi (il centro promotore si è deciso) a cominciare lo sciopero ad oltranza e uscire dalla fabbrica, sia fisicamente, che con la nostra propaganda e il nostro lavoro di relazioni con gli altri lavoratori. Se non è deciso ad andare fino in fondo e a raggiungere l’obbiettivo chi promuove la lotta si va da poche parti. Per fare questo bisogna avere bene in mente obbiettivi e linea.

2) Bisogna diventare il centro di aggregazione e organizzazione di tutte le forze disponibili, anche di quelle che apparentemente sono più lontane da noi. E questo vuol dire un operaio che ha in tasca la tessera del sindacato che ha firmato un contratto infame, un operaio che non si è mai interessato di quello che succede in fabbrica, oppure un operaio che si dice fascista. Noi non dobbiamo fermarci a quello che ogni singolo soggetto dice di essere, ma vedere quello che può diventare e il contributo che può dare alla causa. Io alla Trigano ho visto diventare degli operai, che di solito parlano solo di calcio, dei combattenti contro la precarietà, per la difesa del contratto collettivo di lavoro e per il futuro dei giovani (la stragrande maggioranza degli operai che hanno partecipato alla lotta aveva il contratto a tempo indeterminato, mentre il nostro obbiettivo principale era quello di fermare la precarietà nel contratto dei metalmeccanici). Alla faccia di chi dice che gli operai lottano solo per questioni terra-terra.

Questi insegnamenti cosa significano per il nostro lavoro?

Noi dobbiamo intervenire in ogni campo in cui siamo capaci, per far prevalere le tendenze che portano alla vittoria e contrastare le vie che non portano da nessuna parte.

il segretario della Federazione Toscana

 

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