La lotta contro la chiusura della Bekaert diventa un caso politico (e un esempio)

Figline Valdarno (FI). La Bekaert è quanto rimane dello storico stabilimento Pirelli aperto nel 1959 per produrre corda di acciaio per pneumatici e venduto 4 anni fa dai padroni italiani al concorrente belga. La fabbrica è il principale centro economico della zona con i suoi 318 operai, più un centinaio dell’indotto, e negli anni ’70 contava più di mille dipendenti. La crisi del sistema capitalista però ha inevitabilmente colpito anche questo stabilimento di eccellenza (vi si trova il centro di ricerca della multinazionale), avviandolo alla morte lenta.

Il 22 giugno scorso i padroni belgi si sono presentati in fabbrica a comunicare la chiusura dello stabilimento per poi fuggire scortati dai carabinieri, comportandosi da criminali. Definirli criminali non è un giudizio morale: hanno abbandonato a sé stessi macchinari in funzione su lavorazioni pericolose (come fusioni di piombo e alluminio), con il pericolo di gravi incidenti scongiurati solo dagli operai che, nonostante i licenziamenti, hanno provveduto a metterli in sicurezza, salvaguardando la popolazione, oltre che loro stessi.

Lo sconcerto iniziale, soltanto la settimana prima i padroni avevano rinnovato il contratto integrativo e il mese precedente al MISE avevano rassicurato sindacati e governo sulle prospettive industriali, è stato superato con la lotta: l’azienda è stata prima occupata e poi gli operai hanno ripreso la produzione usando le scorte di magazzino. Questo è un passaggio molto importante, mantenere la fabbrica in funzione è un elemento di forza della mobilitazione operaia e uno strumento di pressione su istituzioni e sindacati per costringerli a prendere posizione e mobilitarsi nella battaglia. A questo va aggiunto il fatto che gli operai hanno saputo far valere il forte legame con il territorio e il 29 giugno sono scese in piazza 7000 persone. Inoltre, mantenendo alto il livello di mobilitazione, il presidio di fronte ai cancelli ha raccolto vasta solidarietà: il 18 agosto anche Sting, che abita poco lontano, vi ha partecipato cantando una canzone (“The last ship”) che aveva scritto sulla chiusura del cantiere navale di Newcastle dove lavoravano il padre e il nonno.

Nei mesi di luglio e agosto gli operai della Bekaert, oltre a “mantenere la posizione in fabbrica” per per impedire il trafugamento dei macchinari, sono usciti più volte dalla fabbrica per portare la loro esperienza e confrontarsi con altre organizzazioni operaie e popolari in lotta per il lavoro utile e dignitoso. Hanno partecipato ai dibattiti alla Festa Rossa di Perignano di Lari, alla nostra Festa della Riscossa Popolare, al Centro Popolare Autogestito di Firenze Sud (con i licenziati di Pomigliano), alla festa di Partigiani Sempre a Viareggio.

Sul fronte istituzionale, i sindacati si sono attivati sia redigendo una bozza di Decreto legge che mira a superare i limiti alla CIG straordinaria imposti dal Jobs Act di Renzi per le aziende in chiusura, proposta accolta (per ora formalmente, vedremo nella pratica) dal Ministro del Lavoro Di Maio venuto in visita il 10 agosto al presidio; sia cercando acquirenti per garantire la continuità della produzione.

La mobilitazione degli operai della Bekaert è per vari motivi un esempio prezioso per gli operai delle tante aziende avviate alla morte lenta, ma più in generale per tutti i lavoratori. In essa si vedono messi in opera alcuni principi e criteri generali e alcuni principi e criteri particolari, stante la situazione politica del paese. Per quanto attiene ai primi, non li riprendiamo qui in modo esaustivo, ma ci limitiamo a nominarne tre: assicurarsi che l’iniziativa sia saldamente nelle mani di chi è deciso a vincere, costruire un ampio fronte contro un unico nemico (“metterne dieci contro uno”), occuparsi dell’azienda e uscire dall’azienda. Per quanto attiene ai secondi, l’esperienza degli operai Bekaert apre una strada e dimostra che è possibile, e come è possibile farlo, usare le contraddizioni generate dalla situazione politica per mettere in moto, avvalersi, valorizzare e approfittare della concorrenza fra le attuali forze di governo e la “filiera PD” (che comprende anche la CGIL e la sinistra borghese di “varie sfumature” alla sinistra del PD), costretta a dover darsi da fare per tentare di rimontare la batosta elettorale (e organizzativa) di cui l’esito delle elezioni del 4 marzo sono una dimostrazione (il discorso vale, a maggior ragione, nelle regioni e nelle zone “a tradizione rossa”: in Toscana la Lega ha strappato alla “filiera PD” Siena, Massa e Pisa alle amministrative del giugno scorso). Si tratta, cioè di un esempio pratico di quanto affermiamo nell’articolo “Mille iniziative e mobilitazioni di base…” a pag. 1:

“Indurre tutti i gruppi della sinistra borghese in cerca di affermazione e che denunciano malefatte e limiti, veri o inventati, del governo M5S-Lega, a usare i poteri di cui dispongono (a livello locale, nella Pubblica Amministrazione e altrove) per appoggiare le organizzazioni operaie e popolari che difendono conquiste e diritti e attuare in ogni campo iniziative di senso opposto a quelle che denunciano e per cui si mobilitano. Allo stesso modo e con lo stesso scopo intervenire anche sugli esponenti del sistema sgretolato delle Larghe Intese, nostalgici del loro ruolo (da Bersani, Fassina, Civati, Emiliano, ecc. ecc., compresi gli esponenti dei sindacati di regime).

Anche se i partiti di cui fanno parte hanno perso le elezioni, mantengono una vasta e articolata rete di potere e di influenza, legami con i sindacati confederali, ruolo di direzione in agenzie e istituti, amministrano città, fondazioni ed enti. Anziché lamentarsi, usassero tutto ciò per favorire le masse popolari!”.

Nel tentativo di riacquisire prestigio e seguito e spinti dalla mobilitazione degli operai, il PD e i suoi “cespugli” si mettono in moto. Sappiamo, e molto probabilmente lo sanno bene anche gli operai, che non è al loro carro che sarà possibile affrontare e risolvere nessuno dei problemi provocati dalla crisi, ma le organizzazioni operaie e popolari possono avvalersi e approfittare dell’iniziativa di esponenti politici (nazionali e locali), dirigenti sindacali, amministratori locali che fino a ieri hanno chinato la testa e i pantaloni di fronte al programma comune della borghesia imperialista e oggi si presentano come battaglieri difensori dei diritti e delle conquiste il cui smantellamento è al centro di quel programma. Possono avvalersene e approfittarne, quindi devono farlo. E gli operai della Bekaert ci danno una dimostrazione di come farlo.

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