La scienza della rivoluzione socialista

Editoriale

Nel nostro paese coloro che hanno “la falce e il martello nel cuore” e aspirano al socialismo sono tanti. È evidente dal numero dei partecipanti e dal livello di adesione alle iniziative organizzate in tutta Italia da partiti, organizzazioni, collettivi per il Centenario della Rivoluzione d’Ottobre. Anche il P.CARC ha promosso iniziative e ha partecipato a quelle organizzate da altri (in totale più di 100 in tre mesi). Il nostro modo di celebrare il Centenario si è distinto per lo sforzo di superare l’approccio puramente commemorativo. Certo, abbiamo ricordato le grandi conquiste di cui la classe operaia e le masse popolari sovietiche sono state protagoniste con la costruzione del socialismo e abbiamo ricordato il ruolo che ebbe la Rivoluzione d’Ottobre come forza propulsiva e guida della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale. Ma abbiamo soprattutto messo al centro gli insegnamenti che quella esperienza fornisce ai comunisti dei paesi imperialisti (quindi anche italiani) per fare la rivoluzione socialista oggi. E sono essenzialmente due: 1. la rivoluzione socialista non scoppia, ma è un processo di lunga durata diretto dal partito comunista come una guerra popolare rivoluzionaria, un processo in cui il partito comunista fa montare la lotta di classe come un cuoco fa montare la maionese e al momento giusto instaura il socialismo; 2. il partito comunista non è e non deve essere solo “la più grande, combattiva e organizzata organizzazione di lotta”, ma è e deve diventare, prima di tutto, lo stato maggiore della guerra popolare rivoluzionaria, un ruolo conferitogli della scienza che lo guida: la concezione comunista del mondo, il marxismo-leninismo-maoismo.

Avere e usare una scienza per conoscere il mondo e per trasformarlo è ciò che distingue la Carovana del (nuovo)PCI, di cui il P.CARC è parte, dalla sinistra borghese, cioè da quei partiti, gruppi e individui che pure sono scontenti per il corso delle cose, per gli effetti della crisi, che pure sono disposti a ribellarsi e chiamano alla lotta le masse popolari, ma in definitiva concepiscono come unica soluzione possibile il miglioramento del capitalismo, l’aggiustamento delle sue storture e ingiustizie e immaginano una società migliore confinata pur sempre in un sistema economico e politico capitalista, in sintesi basato sulla compra-vendita di forza lavoro tra capitalisti e proletari.

Di fronte agli effetti della crisi, agli sconvolgimenti politici, alla devastazione ambientale, ai tentativi di smantellamento dei diritti e delle conquiste ottenuti dalle masse popolari con le lotte dei decenni passati, di fronte alla resistenza e alla protesta suscitate dalla direzione della borghesia imperialista della società, la sinistra borghese oscilla costantemente fra due stati d’animo opposti: entusiasmo e frustrazione. Entusiasmo per le mobilitazioni, per la spinta all’organizzazione, per le ribellioni, le rivolte e le insubordinazioni che ciclicamente scoppiano per il crescente peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro di milioni di persone. Frustrazione “perché le cose non cambiano nonostante siamo la maggioranza a volerle cambiare”, per l’esaurimento e il riflusso di quelle stesse mobilitazioni per cui si era entusiasmata.

Su Resistenza n. 11-12/2017 il Segretario Generale del (nuovo)PCI, il compagno Ulisse, afferma che per valutare le condizioni concrete in cui noi comunisti promuoviamo la rivoluzione socialista “dobbiamo distinguere due cose: il campo nemico e il nostro. Nel campo nemico dobbiamo distinguere due cose: le relazioni tra gruppi e istituzioni della borghesia e del clero e le relazioni della borghesia e del clero con le masse popolari. Nel nostro campo dobbiamo distinguere anche qui due cose: il livello e l’organizzazione dei comunisti e l’aggregazione delle masse popolari attorno ai partiti comunisti”. È un metodo scientifico: mettere al centro le classi e le relazioni fra le classi, le divisioni e le parti componenti delle varie classi, infine considerare il movimento comunista cosciente e organizzato e le sue relazioni con la classe operaia con le masse popolari. È un metodo che parte dall’analisi delle condizioni oggettive, non da ciò che vorremmo e ci piacerebbe o ci spaventa e ci affligge.

Seguendo questo metodo, analizziamo brevemente la situazione generale entro cui promuoviamo la lotta per fare la rivoluzione socialista in Italia. Nel campo della borghesia imperialista la crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale produce due movimenti: la crescente ingovernabilità della società nel suo complesso (aumenta la guerra per bande fra le frazioni del capitale) e la crescente difficoltà a sottomettere pacificamente le masse popolari al corso delle cose che essa impone al mondo.

Per inquadrare il primo movimento, la crescente ingovernabilità della società nel suo complesso, prendiamo tre esempi.

 – Per fare fronte alla guerra interna ai gruppi imperialisti USA che premono per la sua cacciata (ad esempio lo scandalo sulle ingerenze della Russia nelle presidenziali), Trump “attacca a testa bassa” nella politica internazionale e si fa alfiere degli “interessi USA ad ogni costo” nel mondo, destabilizzando ulteriormente una situazione già caotica: le minacce alla Corea del Nord, la decisione di spostare la capitale di Israele da Tal Aviv a Gerusalemme, le manovre in America Latina (in particolare i tentativi di golpe in Venezuela per rovesciare il governo del presidente Maduro, ma in generale le manovre in tutto il continente, vedi l’Honduras), le dichiarazioni sulla disdetta unilaterale del trattato con l’Iran sul nucleare e dell’Accordo di Parigi contro il cambiamento climatico.

 – La Germania è il paese che ha aperto la strada ai governi di Larghe intese al resto d’Europa: di fatto è governata ininterrottamente da una “grande coalizione” da quando, a cavallo del 2000, i socialdemocratici del governo Schröder imposero alle masse popolari tedesche il regime di austerità che l’oligarchia finanziaria europea non è ancora riuscita a imporre pienamente negli altri paesi europei. La situazione dopo le elezioni politiche del 24 settembre scorso è tale che per Angela Merkel è risultato finora impossibile costituire un governo sullo stesso modello del passato: non si tratta di “un problema della Germania”, è anzi il segno della crisi profonda, e non recuperabile attraverso le prassi della democrazia borghese, del sistema politico con cui la borghesia imperialista europea ha finora tentato di governare la fase acuta e irreversibile della crisi.

 – Una storia di duemila anni di intrighi, manovre, cospirazioni e segreti fanno del Vaticano uno dei più influenti e potenti gruppi imperialisti. Le dimissioni di Ratzinger da Papa nel 2008 (un fatto senza precedenti nella storia moderna, bisogna risalire al 1294 con Celestino V per un esempio simile) resero evidente il ruolo tutt’altro che defilato del Vaticano nelle cose della politica e dell’economia corrente e aprirono una fase di lotta più aperta fra le fazioni che lo  lacerano. Ne sono oggi testimonianza il siluramento in gran segreto del numero 2 dello IOR, Giulio Mattietti, e la campagna per la revoca del titolo a Bergoglio a colpi di accuse di eresia; chi lo accusa, una corrente tradizionalista legata ad ambienti della finanza in lotta per il controllo dello IOR, ne ha individuate ben sette.

Per inquadrare il secondo movimento, la crescente difficoltà da parte della classe dominante a sottomettere pacificamente le masse popolari al corso delle cose che essa impone al mondo, bisogna considerare la resistenza delle masse popolari nel suo complesso: sia nelle sue forme positive, avanzate e di prospettiva (le mobilitazioni, le ribellioni, le insubordinazioni di massa, l’organizzazione e la lotta di classe), sia le sue forme negative e distruttive (che vanno dalla fuga dalla realtà alla lotta per salvarsi individualmente dagli effetti della crisi, dall’apatia all’intruppamento nella mobilitazione reazionaria: sono i settori più arretrati delle masse popolari).

Per suoi propri interessi la borghesia imperialista dà molto risalto alla ribellione di stampo reazionario. Basta pensare a quanta pubblicità fanno i giornali, ad esempio la Repubblica, alle attività dei gruppi scimmiottatori del fascismo e del nazismo del secolo scorso e quanto calca la mano sul pericolo dell’“avanzata dei neonazisti in tutti i paesi d’Europa”. In entrambi i casi si tratta di fenomeno reali, certo, ma che non hanno alcun paragone possibile in termine di peso e radicamento (se non in zone estremamente limitate) rispetto alla mobilitazione di stampo progressista, alle ribellioni, alle resistenze, alla lotta che in ogni paese vede la classe operaia e le masse popolari mobilitarsi “per una società più giusta”, per la difesa e l’estensione dei diritti. Un esempio su tutti: da mesi TV e giornali insistono sul “successo dei neonazisti alle elezioni in Germania”, ma nessuno o quasi ha parlato del rifiuto dei piloti Lufthansa di effettuare i 220 voli previsti per espellere i rifugiati politici dal suolo tedesco.

La sintesi dei due movimenti del campo della borghesia imperialista è la deriva degli esponenti, dei partiti e dei governi della classe dominante verso la mobilitazione reazionaria delle masse popolari (guerra tra poveri e tra Stati). Ma questa si scontra con la mobilitazione rivoluzionaria che a sua volta si sviluppa con i due distinti fattori del nostro campo sopra indicati. Il fattore dirigente è il primo: il livello e l’organizzazione dei comunisti. Esso genera il secondo, “l’aggregazione delle masse popolari attorno ai partiti comunisti”, che crea il futuro: è la via della rinascita del movimento comunista internazionale e della seconda ondata della rivoluzione proletaria mondiale. L’aspetto decisivo per le sorti della lotta fra mobilitazione reazionaria e mobilitazione rivoluzionaria è la rinascita del movimento comunista, che “consiste principalmente nel costituire nei paesi imperialisti partiti comunisti capaci di dirigere il proletariato e il resto delle masse popolari a fare la rivoluzione socialista nel proprio paese” (Comunicato n. 12/2017 del (nuovo)PCI).

Al livello e all’organizzazione dei comunisti e all’aggregazione delle masse popolari attorno ai partiti comunisti è dedicato il numero 1/2018 di Resistenza: riversare i sommovimenti in corso a livello generale, nel particolare del nostro paese, combinando quella spinta e quell’aspirazione al socialismo, che bene sono emerse nelle tante iniziative di celebrazione del Centenario della Rivoluzione d’Ottobre, con la mobilitazione suscitata dalla campagna elettorale per le elezioni politiche della prossima primavera.

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