Viviamo in uno stato di guerra. Una guerra non aperta, ma sottile, logorante, diffusa, che miete migliaia di vittime. In tanti intorno a noi parlano di una situazione incontrollabile, paurosa e destabilizzante. “Il mondo sta andando a rotoli, si salvi chi può” dicono in tanti, confermando più o meno quello che a cantilena giornali, radio e organi di informazione diffondono urbi et orbi. Lo sviluppo dell’azione di governo di Donald Trump, azione di governo che indigna e smuove le coscienze delle masse popolari più progressiste e della sinistra borghese che sembra non capacitarsi di come “uno così” sia salito sul gradino più alto del mondo. Il lampi, i tuoni e le saette che “The Donald” scaglia contro paesi oppressi del proprio continente e del resto del mondo lasciano sbigottiti e atterriti i più. Sbigottimento e atterrimento non rendono chiaro il quadro e non ci rivelano come quella di Trump sia solo la faccia più meschina e spudorata della borghesia imperialista e come le politiche di aggressione verso altri paesi siano andate avanti anche con Obama, Clinton e altri esponenti democratici. Rilanciamo questo articolo steso da Geraldina Colotti, utile a comprendere meglio la lotta che gli imperialisti statunitensi muovono contro la Repubblica bolivariana del Venezuela e tutti i paesi che si ribellano ai gruppi imperialisti nel mondo. Buona lettura.
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LORENZO MENDOZA, IL DONALD TRUMP VENEZUELANO
Sul portale Aporrea, il professor José Sant Roz propone il racconto di un verosimile discorso di fine anno, rivolto al paese dal presidente di Fedecámaras (la Confindustria venezuelana) dai saloni del Country Club: “Il governo potrà pavoneggiarsi dicendo che comanda, ma la realtà dimostra che siamo noi che deteniamo il potere e l’unico capitale che controlla una nazione… Abbiamo ridotto a zero questa schifosa plebe chavista solo muovendo le leve del libero mercato… Abbiamo distrutto totalmente e assolutamente questo governo COGLIONE, signore e signori… e che gridino quel che vogliono dai loro canali televisivi, con i loro oratori e con portentose parole d’ordine… qui comandiamo noi. Punto”.
Un discorso per lanciare “un candidato che farà storia” alle presidenziali del 2018, l’imprenditore miliardario Lorenzo Mendoza, presidente della Polar: il Donald Trump venezuelano. Circa un anno fa, intervistato in Globovision dal giornalista di opposizione Vladimir Villegas, Mendoza negò l’esistenza della guerra economica, e accusò il governo di aver “demonizzato l’impresa privata”, l’unica che, al contrario, sta “tenendo in piedi il paese”. Disse, però, anche che era arrivato il momento di “voltar pagina” e di adottare la sua ricetta: l’unica in grado di correggere l’insopportabile “inefficienza” del governo.
Quest’anno, nel mese di dicembre, le voci di una candidatura di Mendoza, assai gradita a Washington, si sono fatte più insistenti anche se lui non si è mai pronunciato apertamente. Si è limitato a dire che non vuole imporsi a forza nell’alleanza di opposizione, la Mesa de la Unidad Democratica (Mud). Nel variegato e litigioso panorama che compone l’arco di opposizione, non c’è accordo su un unico candidato. Solo gli Usa possono condizionarne le scelte, e le cose si decanteranno probabilmente dopo la prossima tornata di dialogo tra governo e opposizione, prevista a gennaio nella Repubblica Dominicana.
Nel frattempo, Trump non lesina dichiarazioni bellicose contro il governo bolivariano. Le sanzioni imposte alle imprese che attuano transazioni economiche con il Venezuela stanno complicando ulteriormente le festività dei venezuelani. Maduro ha annunciato che le coperture sociali non si discutono e che anche per il 2018 il 72% degli introiti sarà destinato a garantire i settori meno favoriti del paese. Ma, intanto, l’estrema destra cerca nuovamente di aizzare la popolazione per i ritardi o i desvii nella consegna dei pacchi natalizi o nelle borse alimentari erogate dal governo ai settori popolari.
La Mud, reduce dalle sconfitte elettorali, dal fallimento della via golpista e dagli scontri di potere interni, appare depotenziata e frammentata in quattro blocchi. La frazione più estrema è composta dai personaggi che hanno dato luogo alle due campagne violente che, nel 2014 e nella primavera del 2017, hanno provocato morte e devastazione nel paese. Tra loro, la dirigente del movimento Vente Venezuela, Maria Corina Machado, l’ex sindaco della Gran Caracas Antonio Ledezma, fuggito in Spagna, oppure il diplomatico Diego Arria. Ne fanno parte anche i componenti del movimento Soy Venezuela, attivo nel paese e all’estero, in particolare in Italia. Sono i fan del matto dell’elicottero, l’ufficiale radiato Oscar Pérez che in aprile ha cercato di bombardare alcune sedi istituzionali e che ora ha rivendicato il furto di armi da un altro presidio militare. Tutto per avallare la tesi che le Forze armate siano pronte al golpe contro Maduro.
Un altro gruppo è composto dai partiti Primero Justicia (a cui appartiene Henrique Capriles) e Voluntad Popular (il cui leader è Leopoldo Lopez), anch’essi attivi nelle proteste violente scoppiate tra l’aprile e il luglio scorso. Due partiti che, dopo aver insistito per istituire un’Assemblea nazionale costituente e poi per far fissare le elezioni, hanno boicottato la prima e disertato le seconde. A loro si è unito il partito Causa R e insieme hanno formato la piattaforma Venezuela está primero.
Un’altra frazione è quella composta di partiti Acción Democrática (Ad, il centro-sinistra nella IV Repubblica, il cui leader è Ramos Allup) e Un Nuevo Tiempo (Un). Seppure dopo qualche contorsione, anche Ad ha deciso di non partecipare alle comunali, ma tutti i suoi dirigenti si sono candidati sotto il simbolo di Un.
C’è infine un gruppo formato dai partiti Copei, Mas e Avanzada Progresista che si sono presentati alle elezioni e che cercano di costituire una nuova alleanza di opposizione rivolta a settori professionali, personalità politiche in vista e artisti. Lo guida l’ex chavista Henri Falcon, presidente di Avanzada Progresista, che aspira alla presidenza del Venezuela. Falcon ha provato a “bruciare” la candidatura di Mendoza dandogli pubblicamente “il benvenuto” in politica, qualora avesse deciso di farlo. Gli altri, invece, non si sono espressi.
Nel suo racconto, il professor Sant Roz collega gli applausi tributati dal Country Club al presidente di Fedecamaras con quelli riservati a Carmona Estanga (allora presidente di Fedecamaras) dopo il golpe contro Chavez nel 2002. Durante la sua breve permanenza a Miraflores, Carmona Estanga sospese tutte le garanzie costituzionali e abolì le istituzioni della Repubblica bolivariana.
Il 12 aprile del 2002, nel palazzo presidenziale i golpisti si spellarono le mani applaudendo a ogni decreto emesso con questo tenore: “Abbiamo polverizzato l’Assemblea Nazionale Costituente, cosiddetta indistruttibile, con il suo controllo dei prezzi…Già il presidente della Repubblica bolivariana del Venezuela non ha più alcuna possibilità di intervenire nell’economia…”.
Allora, il trionfo delle classi dominanti era durato poco, perché il popolo aveva riportato al governo il presidente che aveva eletto. In questo fine anno, però, le oligarchie hanno più di un motivo per stare allegre, e per brindare al Country Club nei termini descritti da Sant Roz: “La nostra classe imprenditoriale – dicono nel racconto – è tornata a un livello di entrate multimilionario, che pochi paesi del Latinomerica possono vantare. Abbiamo ricondotto la marmaglia allo stato di miseria che merita. Ormai la plebe non va più al mercato come faceva dal 2002. Non può più comprare carne come prima, né insultarci bevendo whisky, champagne o vino importato. Neanche il rum o la birra le abbiamo permesso di consumare quest’anno…”.
Di Geraldina Colotti