Le celebrazioni dell’8 marzo non sono state delle semplici manifestazioni “vietate agli uomini” come avvenuto più volte in passato e nemmeno sono state “feste”: migliaia di lavoratrici, studentesse, casalinghe e pensionate, attraverso la rete Non Una di Meno, hanno contribuito alla costruzione dello sciopero globale delle donne.
Erano decenni che non veniva proclamato uno sciopero l’8 marzo e a onor del vero anche la proclamazione e l’indizione di questo è avvenuta non senza contraddizioni, ma la spinta alla mobilitazione ha avuto la meglio e lo sciopero, indetto dai sindacati di base (USB, Cobas, SGB, CUB, USI, Slai Cobas), ha contagiato aziende private e pubbliche e hanno aderito le RSU (in certi casi composte tutte da uomini) di importanti fabbriche come l’Electrolux di Forlì e di Susegana, la SAME di Treviglio, la Necta di Bergamo, la IPS Pasotti di Orzinuovi e molte altre, disobbedendo ai vertici dei loro sindacati (in particolare FIOM e CGIL) che hanno dato esplicita indicazione di non scioperare. Ecco quindi la principale particolarità di questa grande giornata di mobilitazione e di lotta.
La dialettica tra oppressione di genere e oppressione di classe. Nella nostra letteratura abbiamo affermato spesso, e l’esperienza del movimento comunista lo dimostra, che senza la costruzione di una società socialista che ha come obiettivo l’eliminazione della divisione in classi della società, ogni lotta per l’emancipazione delle donne è destinata ad esaurirsi e finisce con il favorire la contrapposizione di genere (donne contro uomini), una particolare forma della mobilitazione reazionaria (masse contro masse). Allo stesso tempo, però, è giusto, naturale (nel senso di spontaneo, è la società stessa che lo impone) che le donne delle masse popolari sperimentino, trovino e promuovano forme di lotta e di organizzazione specifiche, perché vivono condizioni particolari. Il movimento comunista deve incoraggiare (non basta genericamente dire “incoraggia”, è una questione che ha riscontri e risvolti pratici) l’auto – organizzazione attraverso la quale le donne si legano alla più generale lotta per la trasformazione della società.
L’oppressione delle donne è secolare, ha radici molto lontane piantate nella divisione in classi della società; per secoli sono state sfruttate e umiliate, vessate e represse, escluse non solo dalla gestione della società da parte delle classi dominanti, ma anche oppresse dalla stessa cultura patriarcale e oscurantista che porta la parte più abbrutita e arretrata degli uomini delle masse popolari a umiliare, maltrattare, opprimere ed esercitare violenza (nelle sue tante forme) contro le “loro” donne.
Come comunisti dobbiamo tenere presente questo aspetto per non scadere nel settarismo verso le forme di organizzazione delle donne delle masse popolari (in nome di una presunta superiorità della questione di classe sulla questione di genere, anziché metterle in una giusta dialettica). Non è un caso, anzi attiene alle condizioni oggettive della lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista, che nel nostro paese le donne subiscano un’oppressione più soffocante, attacchi più duri ai loro diritti (un esempio è l’inapplicabilità nella pratica della 194), esista una cultura patriarcale e retrograda più radicata (per cui un giudice assolve un uomo accusato di violenza contro sua moglie perché lei “non ha urlato e detto NO”): è l’esistenza, il ruolo e l’influenza del Vaticano. Un buco nero della civiltà e del progresso che ha influenzato e influenza tutt’oggi anche il movimento comunista e rivoluzionario in particolare nella contraddizione fra teoria e pratica, nella doppia morale.
La lotta di emancipazione delle donne e la Resistenza. Nella lotta contro il nazifascismo, il movimento comunista cosciente e organizzato ha avuto un ruolo decisivo, era il principale attore e dirigente che ha alimentato tra le masse popolari la consapevolezza che “fare come la Russia” era necessario e possibile e le donne ebbero un ruolo fondamentale. La Resistenza ci insegna che la lotta per la costruzione del socialismo apre alle conquiste delle donne delle masse popolari e che le organizzazioni delle donne delle masse popolari sono necessarie come ambito di protagonismo e formazione per le donne: non solo dal PCI ma anche dai Gruppi di autodifesa della donna, che emersero grandi dirigenti come Teresa Noce, Marina Sereni, Rita Montagnana, Camilla Ravera, Carla Capponi.
Raccogliere il testimone dell’opera incompiuta dai partigiani per attuare gli insegnamenti della Resistenza, significa imparare a trovare soluzioni affinché ogni individuo sia messo nella condizione di avere un lavoro utile e una vista dignitosa, imparare a unire, in nome degli stessi interessi di classe, ciò che la borghesia divide, significa imparare ad assumere un ruolo di direzione dell’intera società.