Sulla presentazione di “Cristoforo Colombo” a Milano, il 14 gennaio

Il 14 gennaio si è svolta alla Casa del Popolo di Milano la presentazione del libro “Cristoforo Colombo – ossia di come convinti di navigare verso le Indie approdammo in America” (in diffusione da Edizioni Rapporti Sociali) scritto da Pippo Assan, nome dietro cui si cela “un protagonista della lotta di classe degli anni ‘70”.

L’iniziativa, come spiegato da Claudia Marcolini della Segreteria Federale Lombardia del P.CARC in premessa, si inseriva in un ciclo di iniziative (la presentazione, il 12 dicembre scorso, de “Il proletariato non si è pentito” ed altre) attraverso cui confrontarsi e ragionare sulle caratteristiche e la linea dell’organizzazione che serve a fare la rivoluzione qui e oggi, discussione che richiede un bilancio approfondito dell’esperienza del vecchio movimento comunista e dei tentativi fatti in Italia per ricostruire il partito comunista. In questo bilancio rientra a pieno titolo l’esperienza delle Brigaste Rosse che ha segnato in modo indelebile la storia (forme e risultati) della lotta di classe in Italia.

Alla presentazione del libro e al successivo dibattito hanno partecipato circa 30 compagni e compagne, nel pomeriggio i bambini della Casa del Popolo di via Padova hanno disegnato, colorato e scritto messaggi per i rivoluzionari prigionieri: materiale che sarà inviato loro nei prossimi giorni.

Pablo Bonuccelli, segretario Federale della Lombardia e direttore di Resistenza, ha tenuto una relazione di presentazione del libro.

L’iniziativa di questa sera si inserisce nel dibattito di questa fase politica fra le varie forze rivoluzionarie del nostro paese: “che fare?”, “come farlo?” e nella lotta politica e ideologica contro disfattismo e attendismo.

  • Disfattismo: salvare il salvabile, difendere il difendibile, parare i colpi, “si salvi chi può”, la rivoluzione socialista è impossibile, oggi non ce ne sono le condizioni;

  • attendismo: aspettare che la rivoluzione scoppi.

Disfattismo e attendismo sono, non da oggi, ma da sempre, posizioni che si contrastano solo con la concezione comunista del mondo che è il modo di pensare, uno strumento di analisi e una guida per l’azione.

La storia del movimento comunista dimostra che quando la lotta contro il disfattismo e l’attendismo è stata vinta, quando si è affermata una linea avanzata, la rivoluzione ha fatto progressi e, in Russia e in Cina, ha vinto.

Per vincere la lotta contro attendismo e disfattismo non serve a niente cercare di convincere i disfattisti e gli attendisti che sono nel torto, si vince con un processo fatto di due movimenti: un movimento teorico (la lotta ideologica) e un movimento pratico (darsi i mezzi per avanzare).

Oggi siamo in una situazione rivoluzionaria dispiegata, la rivoluzione socialista è all’ordine del giorno. Non nel senso che le ampie masse rivoluzionarie lottano per il potere, ma nel senso che il movimento comunista, il movimento concreto che cambia lo stato di cose presenti indicato da Marx, ha raggiunto un livello tale che o quel movimento trasforma la società o la società intera, l’umanità, va allo sfascio.

E anche se è predominante la convinzione contraria pure fra chi si dice rivoluzionario, il dibattito su Quale partito?, Che fare? e Come farlo?, i sommovimenti nel campo delle forze rivoluzionarie e tra quei compagni che hanno la bandiera rossa nel cuore sono dimostrazione di una tendenza oggettiva.

Per questo oggi è decisivo quel processo che combina due movimenti, teorico e pratico, perché senza un partito comunista adeguato ai compiti storici, allora si la situazione rivoluzionaria in cui viviamo non sfocerà nella rivoluzione socialista.

L’esperienza delle BR è per noi comunisti dei paesi imperialisti un patrimonio inestimabile a questo proposito, ma va saputa trattare. Bisogna imparare a trattarla come un cuoco deve imparare a trattare un ingrediente molto pregiato, ma anche difficile: se non è capace lo rovina, ma non solo, inquina il suo piatto, la sua cucina, compromette la sua carriera.

Il libro “Cristoforo Colombo”, leggetelo! E’ bello, interessante, ricco, utile. Leggetelo con due avvertenze: il periodo (1988) in cui va contestualizzato e il fatto che è stato scritto quando il movimento rivoluzionario italiano non aveva ancora scoperto e assunto organicamente il maoismo come terza e superiore tappa del pensiero comunista, come in seguito ha fatto la Carovana del (nuovo)PCI.

Della ricchezza di questo libro mi soffermo su due aspetti solamente:

  • la scoperta che l’esperienza delle BR ha permesso di fare al movimento rivoluzionario italiano;

  • la sconfitta delle BR e il testimone che hanno lasciato per la rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato.

Per capire la portata della scoperta che l’esperienza delle BR consentì di fare, occorre ricostruire brevemente il contesto in cui le BR sono nate e hanno operato.

  • Era una fase caratterizzata dalla ripresa dell’accumulazione di capitale dopo la II Guerra Mondiale (il periodo 1945-1975) e da un forte movimento rivendicativo delle masse popolari. La combinazione dei due fattori permetteva che a fronte di generose e vaste lotte, la borghesia imperialista rispondesse con concessioni di carattere economico e politico. Va considerata in questa dialettica la forza che aveva il campo dei primi paesi socialisti (benché già sotto la direzione dei revisionisti moderni) e la paura, da parte della borghesia imperialista, che il movimento rivendicativo, influenzato dalla forza del campo socialista, potesse sfociare in movimento rivoluzionario.

  • Era una fase in cui la direzione dei revisionisti moderni del movimento comunista internazionale in Italia si esprimeva nella “via italiana al socialismo”, nello zelo con cui il PCI rispettava il gioco delle parti ricoprendo quella della “responsabile opposizione” (rinuncia alla lotta per il potere e alla rivoluzione socialista in favore della lotta per allargare gli spazi di partecipazione alla democrazia borghese e per ottenere miglioramenti nelle condizioni di vita e di lavoro, economiche e sociali); era la fase in cui i gruppi del movimento, come anche la sinistra interna al PCI, succubi delle due tare storiche del movimento comunista nei paesi imperialisti (il riformismo e l’economicismo), non furono capaci di affermare una linea più giusta e avanzata per costruire la rivoluzione socialista.

Le BR sono nate sulla spinta di un movimento rivendicativo dispiegato – il cui pilastro era la forte conflittualità nelle fabbriche – che aveva raggiunto il suo limite e non poteva svilupparsi oltre, se non come movimento di lotta per il potere politico del proletariato.

Con la lotta armata le BR ruppero con il revisionismo moderno, con l’attendismo e con il disfattismo, con la menzogna incarnata dal PCI della via italiana al socialismo, del socialismo come risulta del movimento per le conquiste economiche e per l’allargamento dei diritti politici del proletariato nel regime di democrazia borghese e dimostrarono praticamente “che la rivoluzione proletaria è anche un fatto d’armi, di guerra, che al socialismo si arriva solo combattendo. E questo non come cosa detta (questo lo era già), ma come cosa che nella società imperialista si costruisce giorno dopo giorno sviluppando la guerra contro la classe dominante”, come emerge bene dal libro:

A pagina 12:

Le Brigate Rosse hanno operato una svolta innovativa in una pratica del movimento comunista dei paesi imperialisti oramai sancita da una lunga tradizione storica. In questa pratica gli obiettivi in campo politico erano l’allargamento e il completamento della democrazia borghese (e, dove sopravvivevano, l’eliminazione definitiva dei residui feudali), mentre ci si preparava a prendere il potere quando lo Stato borghese fosse arrivato al collasso. Proprio perché questa pratica aveva raggiunto i limiti delle sue potenzialità, aveva dato tutto quello che poteva dare, finché si restava nel suo alveo era inevitabile il trionfo del revisionismo moderno. Sul suo terreno erano inefficaci tutti gli sforzi per resistere al revisionismo e alla collaborazione di classe (per quanto generosi, sinceri e autorevoli essi fossero: come per es. quelli di Secchia). Non è per azzardo che in tutti i partiti comunisti dei paesi imperialisti, il revisionismo moderno ha vinto senza traumi e fratture rilevanti politicamente.

Le Brigate Rosse hanno innovato in questa tradizione. Questo rappresenta il nocciolo della loro esperienza. Questo ne ha fatto un’esperienza rivelatrice di grandi inesplorate potenzialità.

Prepotentemente, di un sol colpo hanno sgomberato il campo da quell’atmosfera gelatinosa e vischiosa che sembrava inglobare tutto e tutti, capace di riassorbire ogni contraddizione, di smussare ogni contrasto, di far impazzire con mille perché e mille percome chi non accettava le verità di regime, di ridurre a caso singolo per poi eliminarlo chi non si lasciava assorbire, di terrorizzare sapientemente dove gli altri mezzi fallivano. Esse hanno gettato il caos in una classe dominante abituata da anni a muoversi con la indulgenza, la condiscendenza e la sicurezza di chi conduce il gioco, ha il coltello dalla parte del manico e sempre qualche arma di riserva. Esse hanno usato le contraddizioni di una classe abituata da anni ad avere di fronte solo proteste e richieste e ne hanno scombussolato piani e idee.

Scompostamente e prepotentemente hanno imposto il fatto che la rivoluzione proletaria è anche un fatto d’armi, di guerra, che al socialismo si arriva solo combattendo. E questo non come cosa detta (questo lo era già), ma come cosa che nella società imperialista si costruisce giorno dopo giorno sviluppando la guerra contro la classe dominante.

E’ stata una scoperta semplice e sconvolgente insieme, come l’uovo di Colombo”.

Con la lotta armata le BR diventano il centro della lotta per il potere politico del proletariato, quel centro che alla classe operaia e alle masse popolari mancava dal 1944 con la svolta di Salerno del PCI.

Quel ruolo, tuttavia, non poteva essere assunto dalle BR per come erano nate e quel ruolo va considerato alla luce di un cambiamento oggettivo epocale: l’inizio della seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale. Che comporta, fra le altre cose:

  • il mutamento del regime politico: la democrazia borghese non è più il regime politico della società borghese e ciò porta al decadimento del primo obiettivo dei riformisti, l’allargamento della partecipazione politica delle masse popolari (gli spazi di partecipazione e agibilità iniziano a restringersi, in un processo ininterrotto che dura fino ai giorni nostri, fino agli odierni tentativi di riforma della Costituzione);

  • che la borghesia imperialista cambia il contenuto della sua politica, passa dalla fase delle concessioni, pur a fronte di dure lotte popolari, alla fase dell’eliminazione delle conquiste; le lotte rivendicative “non pagano più” e il movimento popolare inizia una fase di riflusso. Complessivamente la società intera è plasmata da questo cambiamento e anche il contenuto della lotta delle masse popolari cambia: alla fase delle conquiste subentra la fase della difesa e della resistenza.

A questo punto, la crisi del movimento rivoluzionario italiano ha la forma delle scissioni, della disgregazione delle BR e dello scivolamento nel militarismo e la sostanza del passaggio delle BR da avanguardia delle lotte rivendicative verso il socialismo a partito comunista.

Un passaggio che non è mai avvenuto, come illustra il libro a pagina 117:

Man mano che il movimento delle masse si indeboliva e il compito della «propaganda armata» oggettivamente si esauriva perché più propaganda di quanto s’era fatto non si poteva più fare, quante e quali che fossero le operazioni combattenti, si poneva oggettivamente il compito di definire una linea che portasse le Brigate Rosse oltre la «propaganda armata». Era quindi inevitabile che emergessero le diverse anime che erano confluite nelle BR”.

Ecco la ragione della sconfitta delle BR: non la repressione, non la preponderante forza della borghesia, non l’alleanza delle “forze democratiche contro il terrorismo”:

A pagina 118

Una volta affermata nuovamente l’esistenza di un centro della lotta del proletariato per il potere e la lotta armata come elemento della nuova strategia, le Brigate Rosse dovevano impegnare tutte le loro energie al fine di sviluppare gli strumenti necessari per comprendere il movimento economico e politico della società, dirigere il movimento delle masse e mantenere aperte le contraddizioni della classe dominante.

Invece si lasciarono trascinare in una gara insensata a chi sparava di più con l’armata Brancaleone di Prima Linea, con le varie schegge delle organizzazioni combattenti e con le organizzazioni scissioniste delle BR.

Continuarono ad essere praticate forme di lotta che erano nate per una ragione ben definita nella fase della «propaganda armata», ma che non avevano più alcuna utilità (e anzi erano dannose) nella nuova fase: i compagni arrestati che continuano a dichiararsi facilitando il compito agli inquirenti e attirandosi condanne maggiori; i compagni detenuti che aggravano le condizioni di detenzione e quindi riducono le possibilità di liberazione con dichiarazioni ai processi e con proteste nelle carceri a carattere unicamente dimostrativo; ecc.

Le Brigate Rosse sbagliarono nella definizione della nuova fase della lotta. Venne deciso il passaggio alla «guerra civile dispiegata» proprio quando questa costituiva (e costituì) un’azione suicida. La «guerra civile dispiegata» nei paesi imperialisti si è data finora solo in condizioni particolari e ben precise: nel contesto di guerre interstatali (2° Guerra Mondiale) o di colpo di stato delle forze reazionarie (Spagna). E’ difficile valutare su quale base venne ritenuto plausibile in Italia alla fine degli anni 70 il passaggio alla «guerra civile dispiegata».

Sotto l’incalzare dei colpi della reazione, che grazie ai nostri errori ci affrontava ora sul terreno a lei più favorevole, venne finalmente decisa la ritirata strategica, salvando il salvabile.

(…) Abbiamo avuto la nostra rotta, come i compagni cinesi nel 1927. Siamo riusciti a salvare una parte, sebbene esigua, delle nostre forze, come riuscirono allora i compagni cinesi, ritirandosi sul Cingkangscian. La legislazione e la prassi repressiva d’emergenza non sono il toccasana per la borghesia. Non c’è ragione perché riesca alla DC e al PSI quello che non riuscì al Partito Nazionale Fascista (PNF) con le leggi eccezionali del 1926. Non c’è ragione perché riesca al sistema di vigilanza poliziesca, delazione, organizzazione e manipolazione delle masse messo in piedi da DC, PSI e PCI quello che non riuscì al ben più articolato e capillare sistema messo in piedi negli anni 30 dal PNF. Non c’è ragione, salvo la nostra linea, la nostra impostazione della lotta, i nostri errori, la nostra ostinazione a non voler imparare dalla nostra esperienza e dall’esperienza del movimento operaio che abbiamo alle spalle.

Riusciremo, come riuscirono i compagni cinesi dopo il 1927, a riprendere l’iniziativa? Oggi, come allora, è una questione di concezione strategica e di linea politica. Dobbiamo mettere al centro del nostro lavoro, per tutto il tempo necessario, l’accumulazione delle forze, guadagnare tempo. Dobbiamo adeguare la nostra azione alle condizioni oggettive del movimento delle masse e alle dinamiche oggettive del movimento di trasformazione della società. Dobbiamo sfruttare gli elementi della situazione a noi favorevoli. Dobbiamo riprendere l’iniziativa sui terreni su cui possiamo conquistare vittorie, misurare le vittorie non sulle perdite inflitte al nemico ma sull’aumento delle nostre forze, dato che il nostro obiettivo non è ancora la liquidazione delle forze nemiche, ma l’accumulazione delle forze della rivoluzione”.

Nel libro, nel capitolo IV, ma soprattutto nel V, sono indicati gli aspetti in cui si sostanzia “il testimone” lasciato dalle BR. La Carovana del (nuovo)PCI ha preso quel testimone:

  • la redazione del Bollettino (1979 – 1998) e le pubblicazioni delle Edizioni Rapporti Sociali (all’epoca Giuseppe Maj Editore) che hanno sostenuto e alimentato la lotta contro dissociazione e pentitismo e favorito un bilancio organico dell’esperienza della lotta armata in Italia (pubblicazione di Politica e rivoluzione, Il proletariato non si è pentito, I fatti e la testa);

  • la redazione della rivista Rapporti Sociali (1985 / 2008) che ha elaborato nel dettaglio la teoria della seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale e il bilancio dei primi paesi socialisti;

  • il convegno di Viareggio e la fondazione dei CARC (1992) che riconoscono la fase difensiva del movimento delle masse, pongono all’ordine del giorno la ricostruzione del PC e si danno i mezzi per perseguirla;

  • il riconoscimento e l’assunzione del maoismo come terza superiore tappa del pensiero comunista e la precisa definizione dei compiti che poneva all’epoca la ricostruzione del PC (1994-1995; pubblicazione delle Opere di Mao e di 10, 100, 1000 CARC per la ricostruzione del Partito Comunista);

  • La pubblicazione del Progetto di Manifesto Programma (1998)

  • La costituzione della Commissione Preparatoria e la pubblicazione de La Voce del (nuovo)PCI (1999)

  • La fondazione del (nuovo)PCI (2004)

  • La pubblicazione del Manifesto Programma del (n)PCI (2008)

  • La linea del Governo di Blocco Popolare (GBP) come tattica per avanzare nella rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato (2009)

  • La sperimentazione organizzativa, dettata dalle condizioni oggettive, della dialettica fra teoria e tattica con la relazione fra (n)PCI clandestino e P.CARC.

La Carovana del (n)PCI è coesa su una concezione del mondo (e abbiamo visto nell’introduzione quanto è importante, è decisivo, per la costruzione della rivoluzione socialista), il Marxismo-leninismo-maoismo, ha una strategia (Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata), una tattica (GBP).

Sono argomenti che riprenderemo in prossime iniziative con un obiettivo che non è quello di “escludere chi non la pensa come noi”, ma al contrario approfondire il dibattito, la conoscenza reciproca, problematizzare ciò su cui ci sono le differenze e le affinità con tanti compagni che aspirano alla rivoluzione socialista e con l’obiettivo di percorrere insieme nella pratica quel percorso”.

Si è aperto il dibattito con l’intervento di un compagno di Sinistra Anticapitalista, Renato, che si è complimentato per “il coraggio di organizzare iniziative su certi temi, come questa” e ha subito chiarito, con rara franchezza e trasparenza (essenziali per un dibattito proficuo) quali fossero gli aspetti di divergenza. Essenzialmente tre:

1. Il compagno non concorda che siamo in una fase rivoluzionaria, sostiene invece che ci sono tante e forti spinte verso una mobilitazione reazionaria, dimostrate dalle soluzioni “populiste” verso cui si posizionano le masse popolari.

2. Ritiene assolutamente sbagliata la natura clandestina del partito comunista perché, sostiene, oggi c’è invece necessità di promuovere il lavoro fra le masse, di condurre una battaglia politica e culturale che favorisca lo schieramento delle masse popolari nel campo rivoluzionario. Ambito privilegiato di questa attività sono le lotte rivendicative; la clandestinità non è oggi una necessità del partito comunista e anzi ne ostacola l’iniziativa;

3. rispetto al ruolo storico delle Brigate Rosse, il compagno sostiene che non basta “promuovere il caos” per avere un ruolo positivo nel movimento rivoluzionario, che le BR ebbero un ruolo estremamente negativo per le masse popolari e per il movimento operaio perché costrinsero tutti a subire le conseguenze della loro azioni.

Il contributo di Renato è stato molto prezioso per lo sviluppo del dibattito, infatti Lutz ne ha preso spunto nel suo intervento: conosce la Carovana del (nuovo)PCI da molti anni e ha potuto vedere direttamente la portata della persecuzione politica di cui è stata oggetto. “Se ogni sei mesi subisci perquisizioni, pedinamenti, intercettazioni, sequestri di materiale e strumenti di lavoro politico, è normale, è giusto, è serio che ai compagni venga l’idea di sottrarsi alle manovre repressive. Che devono fare i comunisti? E’ quindi normale, giusto e serio che il (nuovo)PCI sia un partito clandestino, è una misura che garantisce la continuità della sua esistenza”, dice. “Inoltre io non ho una adeguata conoscenza della storia del movimento comunista, ma credo che i compagni della Carovana abbiamo fatto un ragionamento che attinge anche da quella. Del resto la rivoluzione socialista ha vinto dove i comunisti si sono dati i mezzi per combatterla”. A questa considerazione, il compagno aggiunge due domande a cui sarà risposto nel seguito della discussione: “Perchè dite Carovana del (nuovo)PCI?” e “dalla relazione introduttiva ho capito che Pippo Assan si era posto l’obiettivo di sviluppare il dibattito all’epoca in cui scrisse il libro, ma non ho capito se, come e quanto si è sviluppato effettivamente questo dibattito, cioè se il libro ha poi avuto effettivamente un ruolo per orientare la rinascita del movimento comunista in Italia”.

Cristian Bodei, Segretario della Sezione di Brescia del P.CARC, è intervenuto principalmente per approfondire ciò che si intende con “situazione rivoluzionaria in sviluppo”, cioè ha ribadito e approfondito che si tratta di una condizione oggettiva della società (“la classe dominante non riesce più a governare la società con gli strumenti, le forme e i modi con cui l’aveva governata fino ad oggi”) e che tutti sommovimenti nel campo delle masse popolari ne sono dimostrazione e ingrediente, anche quelli che apparentemente hanno forme e contenuti reazionari, testimoniano proprio la crescente ingovernabilità della società. Le masse popolari diventano rivoluzionarie se i comunisti intervengono con una linea giusta nel movimento di massa, se affermano una linea avanzata nella pratica. Perché questo avvenga, occorre che i comunisti siano capaci di fare una corretta analisi della fase e che adeguino la loro linea alle condizioni oggettive: è quello che le BR non hanno fatto.

Però è vero che il bilancio dell’esperienza delle BR è prezioso, ma va saputo trattare. Ad esempio, “ho invitato all’iniziativa di questa sera una compagna che ha avuto un ruolo in quegli anni e mi ha risposto un po’ sprezzante che lei non è assolutamente interessata a fare alcun bilancio, a parlare con chiunque di nessun bilancio, perché quella storia “o la si prende così oppure no”. Lei sostiene che anche a livello personale è stata una esperienza totalizzante, ma questo è un modo per liquidarla, quell’esperienza, non per valorizzarla, è un modo per dimenticarla o idealizzarla, non per imparare”.

Un compagno che negli anni ‘70 era attivo nel movimento, Davide, ha portato un contributo partendo dalla sua esperienza diretta, ricordando come, in particolare nella seconda fase di vita delle BR in cui il militarismo aveva prevalso, per tutte le strutture e gli aggregati del movimento popolare la situazione fosse particolarmente dura: non c’era assemblea sul posto di lavoro in cui non fosse imposta dal sindacato la pregiudiziale di dissociarsi dalle BR e dalla lotta armata e non c’era assemblea in cui, tuttavia, non ci fossero accese discussioni e scontri per il fatto che pubblicamente nessuno volesse dissociarsi apertamente. Pertanto, per tutto un periodo, “era di fatto impossibile condurre assemblee che entrassero nel merito degli argomenti per cui erano state convocate e tutto il movimento popolare viveva di riflesso i tentativi di sindacati, PCI e istituzioni di isolare le BR” senza ottenere risultati incoraggianti. Il compagno conclude, tuttavia, che essere obbligati a questa discussione alla lunga “segava le gambe”. La verità è che anche dal movimento di massa emergeva la necessità che le BR si rinnovassero, diventassero qualcosa che non erano ancora. E non solo organizzativamente, prima di tutto a livello di capacità di analisi della realtà, anche se ritiene la loro analisi sul SIM (Stati Imperialista delle Multinazionali) e il ruolo assunto dalle multinazionali illuminante e ancora attualissimo.

Per quanto attiene alla situazione attuale, ritiene che siamo in una situazione rivoluzionaria, “oggettivamente non ci sono dubbi. Il problema è di carattere soggettivo: manca la capacità di legare l’elaborazione teorica che generosamente la Carovana del (nuovo)PCI produce con il movimento pratico delle masse popolari. Su questo il movimento comunista odierno è debole”.

Matteo, un compagno candidato a diventare membro del P.CARC sostiene che l’esperienza delle BR ci mostra chiaramente che per fare la rivoluzione “non basta la passione”, il socialismo “non è solo questione di sentimenti”. Le BR non si sono trasformate e lui, che ha letto il libro prima della presentazione, ha colto un fatto su cui l’autore si sofferma: la concezione del mondo dei comunisti è il marxismo-leninismo-maoismo, le BR pure attingevano dal maoismo, ma non erano guidate dal maoismo. Basta vedere quali fossero i loro retroterra politico-culturali e quali fossero le fonti della loro formazione ideologica: i Tupamaros, la guerriglia sudamericana, l’ETA, l’IRA… tutte esperienze che avevano come denominatore la lotta armata, ma in un contesto molto diverso da quello italiano. Erano infatti movimenti dei paesi oppressi o movimenti di liberazione di minoranze in uno stato nazionale: entrambi gli aspetti sono molto diversi dalla lotta che conducevano le BR e dalla costruzione della rivoluzione socialista in un pese imperialista. Poi, continua, non si può capire la difficoltà di elaborazione delle BR se non si tiene conto dell’influenza su di loro della Scuola di Francoforte, concezioni borghesi travestite e spacciate per marxismo “creativo”. Non è un caso dunque se le BR, partite dal riconoscimento del ruolo della classe operaia, assunsero via via come loro referente principale il sottoproletariato. Quindi, una riflessione che attiene a noi, oggi: qualunque forma di lotta va commisurata e scelta sulla base dell’obiettivo di perseguire la mobilitazione delle ampie masse, altrimenti si finisce nella testimonianza o nel codismo. Sul legame fra comunisti e organismi di massa, conclude il compagno, la questione è porsi l’obiettivo di fare delle lotte spontanee e rivendicative una scuola di comunismo, cioè va concepito che è il partito che forma le masse popolari alla lotta di classe e i suoi membri alla lotta politica rivoluzionaria. E’ difficile, non si fa in poco tempo e i comunisti non devono scoraggiarsi se all’inizio sono in pochi: “dobbiamo formare, educare, organizzare e selezionare le nostre forze, la qualità è principale rispetto alla quantità. Possiamo anche essere in tanti, ma se non si sa cosa fare, come farlo e perché farlo, essere in tanti non serve a niente”.

Dante, un compagno di lunga esperienza che partecipò agli inizi della costituzione della Carovana del (nuovo)PCI e oggi è iscritto al PRC, riconosce che gli elementi emersi dalla discussione richiederebbero ben altra profondità e ben altra disponibilità di tempo per discutere. Anche lui, come all’inizio Renato, parte mettendo in chiaro ciò su cui non concorda:

Le BR non cambiarono mai i loro referenti principali: erano gli operai all’inizio, alla loro nascita, e lo furono per tutta la loro esistenza. “Matteo dice che si rivolsero al sottoproletariato, ma quella è una questione circoscritta alle BR-Partito Guerriglia che operava a Napoli”. In secondo luogo, il compagno non concorda con la Carovana del (nuovo)PCI sulla critica riguardo alla concezione delle BR: “non furono influenzate dalla Scuola di Francoforte”, ma anzi arrivarono, pure in modo grezzo, a concepire il marxismo-leninismo-maoismo quando in Italia il maoismo non era ancora riconosciuto. Lo si vede, dice il compagno, dall’analisi sul SIM e sul ruolo delle multinazionali e sull’analisi della seconda crisi generale del capitalismo. “Certo fu un embrione di analisi e nulla di paragonabile a quanto fece la redazione di Rapporti Sociali”, ma “le BR arrivarono a concepirla quando nessuno l’aveva fatto… Di quella analisi non se ne fecero niente, cioè non si comportarono di conseguenza…”. Secondo il compagno, l’esperienza delle BR dimostra che la direzione del partito non può essere in carcere perché “in carcere si leggono i giornali e si ha una visione della realtà distorta. In carcere i compagni delle BR pensavano che l’Italia fosse in una situazione insurrezionale… ad esempio le giornate del maggio del ‘77, con gli assalti alle armerie e la gente armata nei cortei… ma in verità non era così e chi era fuori lo sapeva. Allora, ecco: la direzione del partito deve avere il polso della situazione, sempre. E’ cosa diversa essere clandestini, ma con stretti legami con le masse popolari e il movimento della lotta di classe, ed essere reclusi in un carcere speciale…”. La questione, afferma il compagno, è che i comunisti devono imparare ad applicare creativamente la teoria, applicarla alle condizioni concrete; in definitiva, a suo avviso questo è il motivo per cui le BR non sono riuscite a fare il salto, a diventare il partito comunista di cui c’era bisogno.

Riprendono la parola Davide e Lutz: il primo per chiarire che la Scuola di Francoforte caratterizzava ideologicamente tutto il movimento rivoluzionario dell’epoca: dimostrazione e spiegazione di ciò è la stessa esistenza di una corrente egemone nel movimento come l’Autonomia Operaia. A questo proposito fa una critica all’impostazione dell’iniziativa che ha dato per scontata una diffusa conoscenza del contesto politico dell’epoca, mentre invece sarebbe stato utile un intervento, anche breve, che mettesse in luce le principali caratteristiche del contesto storico e politico. Il secondo, Lutz, torna sulla questione della situazione rivoluzionaria in sviluppo affermando che la prospettiva reazionaria individuata da Renato nel suo intervento non sussiste in ragione “delle spinte delle masse popolari in quella direzione”, ma perché il movimento comunista è ancora debole e ha scarse capacità di intervenire ad ampio raggio nelle mobilitazioni spontanee delle masse: “la presenza dei comunisti che fanno delle lotte rivendicative una scuola di comunismo è già di per se condizione che toglie l’acqua in cui nuotano i mestatori nel torbido e i promotori della mobilitazione reazionaria”.

Interviene Pietro Vangeli, Segretario Nazionale del P.CARC, e risponde a due questioni che erano state sollevate, ma non ancora trattate. La prima riguarda la domanda di Lutz sul se e quanto il libro avesse suscitato dibattito nel movimento rivoluzionario dell’epoca. Pietro ha ricordato che il dibattito è sempre stato vivo e ricco e il Bollettino gli ha dato ampio spazio fin dal 1979. Nei numeri del Bollettino la lotta ideologica è evidente e anche in seguito anche con la pubblicazione di alcuni libri le Edizioni Rapporti Sociali (all’epoca Giuseppe Maj Editore) lo hanno incoraggiato. La questione è che via via la sinistra borghese e prima ancora il PCI revisionista di cui essa è erede, aveva bandito il dibattito, avevano rimosso, contrastato e ostacolato la lotta ideologica e per molti anni era proibito parlare dell’esperienza delle BR, farlo era considerato apologia di reato. Non è un caso che il (nuovo)PCI, in virtù di essere un partito clandestino, abbia invece potuto rimettere in circolazione il “Cristoforo Colombo”: è una questione di importanza del suo contenuto e di darsi i mezzi per usarlo, quel contenuto. Il dibattito è sempre stato molto ricco e anche aspro, ma l’ambito in cui si è svolto si è via via ristretto, come si è ristretta la solidarietà ai rivoluzionari prigionieri. La Carovana del (nuovo)PCI ha ripreso quel dibattito e il bilancio della lotta armata in Italia e l’ha usato per riprendere il cammino della rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato. Ecco perché “Carovana”, e rispondendo all’altra domanda di Lutz dice perché è un movimento che nel suo sviluppo ha visto aggregarsi e disperdersi forze, ma alla cui testa è sempre continuata l’elaborazione, la ricerca, la sperimentazione e l’organizzazione, è un processo che ha attraversato gli ultimi 30 anni di storia del paese, che ha le radici in esperienze precedenti e che si pone il compito di fare dell’Italia un nuovo paese socialista.

Alcune considerazioni.

La ricchezza e profondità del dibattito sono dimostrazione del sommovimento nel campo di chi ha la falce e il martello nel cuore, della ricerca del che fare e come farlo per avanzare nella costruzione della rivoluzione socialista in Italia. Sono emersi tre temi che non sono stati sviluppati adeguatamente e che richiedono un approfondimento che siamo stimolati a promuovere e promuoveremo nelle prossime settimane:

1. sulla clandestinità del partito comunista e sulla relazione fra partito comunista clandestino, movimenti di massa e lotte rivendicative;

2. sulle caratteristiche, la natura e il ruolo della Scuola di Francoforte, sulla lotta ideologica fra i seguaci della scuola di Francoforte e i comunisti, sull’influenza negativa che la Scuola di Francoforte continua ad avere nel movimento rivoluzionario;

3. natura, cause, caratteristiche e manifestazioni della seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale.

Questi tre argomenti si combinano, arricchiscono e approfondiscono il confronto sulle caratteristiche, la strategia, la linea e la tattica che il partito comunista deve assumere oggi per valorizzare le condizioni oggettive, la situazione rivoluzionaria in sviluppo in cui viviamo e le numerose e vaste mobilitazioni spontanee delle masse popolari al fine di avanzare nello sviluppo della rivoluzione socialista in corso.

Intanto, il primo appuntamento per tornare a discutere insieme è il 27 gennaio alla Casa del Popolo di via Padova, alle ore 21: un dibattito dal titolo “La rivoluzione socialista in un paese imperialista, il movimento di massa, le caratteristiche dell’organizzazione rivoluzionaria” con la partecipazione di Silvia Baraldini.

I compagni e le compagne sono invitate a partecipare e intervenire per aprire spazi di discussione e confronto, di lotta ideologica e di azione comune.

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