Fare del CCNL firmato da Landini, Bentivogli e Palombella lo spunto per formare organismi operai in ogni azienda, mobilitare forze e portare fuori dalle aziende l’influenza degli operai organizzati!
10, 100, 1000 iniziative per mobilitare gli operai che hanno votato NO (e anche quelli che hanno votato SÌ, ma con la morte nel cuore) per organizzarsi in azienda e fuori e continuare la lotta con tutti quelli che vogliono porre fine al catastrofico corso delle cose, in primo luogo con chi dopo la vittoria nel referendum del 4 dicembre è mobilitato per attuare le parti progressiste della Costituzione del 1948!
Come prevedibile, FIOM, FIM, UILM e le amministrazioni padronali sono riuscite a fare approvare l’ipotesi di accordo che hanno firmato il 26 novembre, dopo mesi di trattative e sceneggiate: “hanno votato in 350.749 (pari al 63,27% dei presenti nei giorni di votazione); di questi l’80,11% – pari a 276.627 dipendenti – ha votato SI’ e 68.695 (19,89%) hanno votato NO, le bianche sono state 3.836 e le nulle 1.591”, recita la nota congiunta emessa ieri dalle tre organizzazioni sindacali.
Ma ogni comunista impegnato a mobilitare gli operai delle aziende capitaliste (e il contratto dei metalmeccanici riguarda all’incirca 1.6 milioni di lavoratori che per varie ragioni in Italia sono la categoria trainante dei lavoratori e delle masse popolari – se ne è avuta su grande scala la conferma anche nel movimento partito da Pomigliano nel 2010), deve prestare molta attenzione ai risultati delle votazioni nell’azienda in cui svolge la sua attività: quanti dei lavoratori aventi diritto hanno votato, quanti hanno votato contro l’ipotesi di accordo, come sono andate la preparazione e la gestione della votazione tra i lavoratori e da parte dei funzionari e agenti sindacali.
I dati provincia per provincia sono scaricabili qui, mentre sui siti provinciali sono, o dovrebbero essere, disponibili i dati azienda per azienda (quelli della provincia di Bergamo, ad esempio, sono disponibili a questo link). Un elenco parziale delle fabbriche dove ha vinto il NO è disponibile invece sul nostro sito.
Sono tanti o pochi i lavoratori che hanno votato NO? Questa è solo la seconda questione, la prima è mettere in campo iniziative per mobilitare quelli che hanno votato NO (e anche quelli che hanno votato SÌ, ma con la morte nel cuore) per organizzarsi in azienda e fuori e continuare la lotta con tutti quelli che vogliono porre fine al catastrofico corso delle cose, in primo luogo con chi dopo la vittoria nel referendum del 4 dicembre è mobilitato per attuare le parti progressiste della Costituzione del 1948.
La votazione sull’ipotesi di CCNL coinvolgeva potenzialmente, al di là delle sigle sindacali di appartenenza, tutti i lavoratori delle aziende metalmeccanicche aderenti a Federmeccanica (quindi ad esempio non l’ex FIAT ora FCA). Quindi coinvolgeva in ognuna di quelle aziende tutti i destinatari della mobilitazione tesa a far sorgere l’organizzazione operaia che noi comunisti dobbiamo creare in ogni azienda, nodo aziendale di quel movimento (e rete) di organizzazioni operaie e popolari che è il solo che, costituendo il proprio governo d’emergenza e facendolo ingoiare ai vertici della Repubblica Pontificia, imprimerà una svolta al catastrofico corso delle cose.
Che l’accordo siglato da FIOM, FIM, UILM con Federmeccanica e Assistal in termini strettamente sindacali e immediati (di salario, di orario di lavoro, di diritti sul posto di lavoro, di unità sindacale dei lavoratori a livello nazionale, di assistenza sanitaria universale e altro) è deleterio per i lavoratori, non stiamo ad argomentarlo qui: rimandiamo all’Appello a votare NO all’ipotesi lanciato il 29 novembre da 44 delegati FIOM e, per un’illustrazione ancora più dettagliata, al volantone Un contratto senza pane e senza rose del Sindacato è un’Altra Cosa e a quello Salario misero e virtuale, peggioramenti reali dell’USB.
Il testo del CCNL del 26 novembre attua in termini contrattuali gli accordi generali e le leggi contro i lavoratori messi in vigore dai governi della Repubblica Pontificia, ultimo il Jobs Act del governo Renzi. È un passo avanti nella liquidazione del contratto collettivo nazionale in direzione della contrattazione aziendale: in definitiva verso l’arbitrio padronale imposto con il ricatto della competitività. Ma questo susciterà inevitabilmente resistenza, opposizione e ribellione tra i lavoratori e noi comunisti dobbiamo raccoglierla e valorizzarla. Esso viola tutto quanto prevede la Costituzione del 1948 in termini di diritto di ogni lavoratore a condizioni di lavoro e di reddito dignitosi. Strano visto che l’ipotesi di accordo è stata siglata a pochi giorni dal referendum contro la devastazione della Costituzione architettata dal governo Renzi (e sonoramente bocciata dal referendum che lo stesso Renzi aveva promosso perché fosse la consacrazione del suo operato)? No, perché se ufficialmente FIOM e CGIL si erano pronunciati per il NO alla manomissione della Costituzione, in realtà la firma dell’ipotesi di CCNL metalmeccanici da parte della FIOM il 26 novembre e dell’Accordo quadro per il Pubblico Impiego il 30 novembre da parte delle CGIL confermano l’appoggio sottobanco dato a Renzi da FIOM e CGIL in nome dell’unità con CISL e UIL, da sempre filorenziani come lo è stata anche la Conferenza Episcopale Italiana. Quanto in specifico alla FIOM, gli ardori per la Coalizione Sociale si sono rivelati del tutto velleitari: a conferma che la sinistra borghese è a rimorchio della destra e che la destra è egemonizzata dalla destra estrema.
Se guardiamo a fondo al significato del CCNL metalmeccanici firmato da FIOM, FIM e UILM, vediamo che esso viola anche l’art. 11 della Costituzione. Questo articolo infatti tutela la sovranità nazionale, mentre il nuovo CCNL la viola tanto quanto la viola la NATO. Infatti esso è un passo avanti nella rottura dell’unità nazionale dei lavoratori (ancora più di prima i lavoratori della singola azienda dipendono dal padrone dell’azienda dove lavorano e meno dalla solidarietà degli altri lavoratori a livello nazionale) e rafforza come unica classe dirigente nazionale la borghesia, ma anche questa nell’ambito di una gerarchia internazionale dei gruppi imperialisti dove la sovranità italiana non esiste. Il nuovo CCNL infatti fa fare un passo avanti alla globalizzazione: ogni azienda è protagonista in proprio nel mercato mondiale e i lavoratori sono sue risorse, esistono per rafforzare la competitività dell’azienda. Il CCNL firmato da Landini e complici attua la linea di Marchionne (“siamo in guerra!”), corrode e allenta il tessuto nazionale e fa un po’ più di ogni azienda una nave che naviga nel mare mondiale e dei lavoratori un equipaggio che ha diritto a vivere solo finché serve al capitano a vincere la guerra.
Ma il nuovo CCNL rivela e mette sul terreno anche cose importanti ai fini della rivoluzione socialista. Il CCNL cui sono approdati FIOM, FIM e UILM conferma che le condizioni di vita e di lavoro anche della massa dei lavoratori ancora concentrati nelle aziende peggiorano e peggioreranno finché non cambiamo il corso delle cose. Quelli che invocano e propongono la restaurazione o la difesa delle conquiste del “capitalismo dal volto umano”, sono ancora una volta sconfessati dal corso reale delle cose. Proprio il corso reale conferma la linea che noi pratichiamo: la difesa delle conquiste è efficace solo se è principalmente una leva per promuovere la rivoluzione socialista, per andare verso l’instaurazione del socialismo. Il nuovo CCNL è quindi un appello a lottare.
Poteva essere diverso il CCNL? Dipende. Se l’imperativo che detta legge è “vincere la guerra” della concorrenza, che ogni azienda deve vincere la guerra con le altre aziende, il CCNL non poteva essere migliore, anzi peggiorerà ancora con il tempo. In altri paesi altri lavoratori lavorano ancora oggi in condizioni ben peggiori dei lavoratori italiani, in termini di quantità di beni e servizi di cui possono disporre e di orari e condizioni di lavoro. Pensate a come lavoravano e vivevano i lavoratori in Italia nei decenni antecedenti alla prima ondata della rivoluzione proletaria (1917-1975). Per di più i lavoratori dei paesi dipendenti e anche le aziende che li sfruttano sono meno gravati di rendite, interessi, imposte e altre servitù imposte dal capitale finanziario di quanto lo siano i lavoratori italiani e le relative aziende. Quindi l’esito della guerra è già scontato. Solo se aboliamo il capitalismo e passiamo dalla concorrenza alla collaborazione internazionale, potremo migliorare. La rivoluzione socialista fino all’instaurazione del socialismo è condizione indispensabile per invertire il corso delle cose.
Per questo sono miopi i dirigenti dei sindacati alternativi che hanno fatto la guerra all’ipotesi di CCNL solo per conquistare tesserati in più, dirottandoli dai sindacati di regime firmatari dell’ipotesi di CCNL. Nel giro di poco tempo, si troveranno nelle stesse acque dei sindacati di regime e si scinderanno senza fine ogni volta che cederanno al corso delle cose imposto dalle leggi del capitalismo, come è successo all’USB all’inizio dell’anno quando ha firmato il Testo Unico sulla Rappresentanza. L’unica alternativa vincente al meno peggio che porta al peggio (e al peggio non c’è mai fine) è fare di ogni lotta rivendicativa un battaglia per accumulare forze per la costituzione di un governo di emergenza popolare, passaggio per far avanzare la rivoluzione socialista. Landini e complici hanno dato un’ulteriore dimostrazione che non c’è altra strada. La vittoria del referendum contro la riforma Renzi della Costituzione ha mostrato quanto sono fragili i nostri nemici: costruiscono trappole in cui loro stessi cadono. Fare del CCNL firmato da Landini (FIOM), Bentivogli (FIM) e Palombella (UILM) lo spunto per mobilitare forze e formare organismi operai in ogni azienda e portare fuori dalle aziende l’influenza degli operai organizzati: questa è la linea che noi comunisti dobbiamo attuare e che attueremo.