Siamo animati da una passione enorme, effettivamente, e per ragioni oggettive, perché abbiamo grandi responsabilità e anche la scienza necessaria per affrontarle con serenità e lungimiranza. Abbiamo un mondo da conquistare. Infatti anche il procedere del movimento rivoluzionario nei paesi neocoloniali dipende dalla rivoluzione nei paesi imperialisti, cioè, per quanto ci riguarda, dal movimento rivoluzionario in Italia. In altre parole, per fare avanzare la rivoluzione e la lotta delle masse popolari nel mondo è necessario fare la rivoluzione socialista in Italia.
Il fatto che la rivoluzione socialista non è stata fatta in alcun paese imperialista è stato fattore determinante della caduta dei primi paesi socialisti e oggi è freno per lo sviluppo della rivoluzione altrove. Un esempio: il fatto che in Italia non abbiamo ancora tolto di mezzo il Vaticano produce problemi molto gravi in molti paesi del mondo, dove il Vaticano svolge la sua opera nefasta, non ultimo il Venezuela, dove l’opera della Chiesa locale a sostegno dei reazionari è nota e di lunga data. La rivoluzione nei paesi imperialisti però richiede che i comunisti siano non solo soggetto che fa la rivoluzione, ma anche e prima di tutto oggetto della rivoluzione: devono cambiare, trasformarsi, fare la riforma morale e intellettuale che è premessa di ogni movimento rivoluzionario e a cui Gramsci ha dedicato larga parte della sua attenzione nei suoi scritti in prigionia. In conclusione, il costruire la rivoluzione fa capo a noi, dipende da noi, a partire da qui e da ora.
La consapevolezza di tutto questo è frutto di una ricerca e di una lotta di decenni, e la porto come contributo al compagno Michele Franco, che scrive un testo per il Seminario Nazionale della RdC “La Ragione e la Forza”, dove però si concentra solo sulla questione dell’organizzazione. Una volta definita la linea, l’organizzazione è tutto, diceva giustamente Stalin, ma senza definire la linea l’organizzazione è nulla. Il testo del compagno, quindi, resta per aria.
Alcune note sullo scritto del compagno.
Dice che non dobbiamo fissarci sui sacri testi del marxismo-leninismo. Dobbiamo però fare un bilancio del movimento comunista che abbiamo alle spalle. Si nasce da genitori in carne ed ossa, non per immacolata concezione.
Dice che non possiamo non trattare della questione del “Fine”. La maiuscola non serve. Serve capire di che fine stiamo parlando. Il fine va definito. Non può restare per aria. Qui in Italia e nell’immediato è creare le condizioni per un governo di emergenza, un Governo di Blocco Popolare (vedi http://www.nuovopci.it/dfa/avvnav07.html) e strategicamente è fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Se con ciò non si concorda si scriva perché e soprattutto si definisca un’altra prospettiva altrettanto concreta.
Dice che il vecchio PCI aveva tre punti forti, cioè l’azione nel sindacato, nel parlamento borghese e la propaganda generica del socialismo. In realtà erano tre punti deboli, e si riducevano a due, alle due tare che il movimento comunista non ha mai superato dai tempi del primo PSI dell’Ottocento, e cioè il ridurre la lotta della classe operaia al rivendicare riforme con la lotta parlamentare e con la lotta sindacale. È una pratica sbagliata, e lo hanno mostrato le due guerre mondiali, il fascismo e il nazismo. È mancata, nei partiti comunisti dei paesi imperialisti, la lotta ideologica, quella che rese vivi i partiti dove la rivoluzione venne invece portata a termine, cioè la Russia e la Cina. Ancora oggi quando la Carovana del (nuovo)PCI promuove la lotta ideologica nel movimento comunista e, ad esempio, critica la Rete dei Comunisti, c’è gente che si offende, il che è misura di quanto siamo ancora indietro.
Tu ti offendi, compagno Michele Franco? Inviaci il testo di Garroni di cui parli, o il link per recuperarlo. L’estate che è iniziata due giorni fa potrebbe essere una stagione di dibattito interessante, e per farlo bisogna studiare i testi. Sulla domanda che poni, cioè sulla forma che il partito deve avere, ti cito il Comunicato 11 del (nuovo)PCI del 21 giugno 2016: “La forma del partito comunista la decidono i comunisti sulla base della scienza delle attività con cui gli uomini fanno la loro storia e dei compiti del partito che deve mobilitare e guidare gli operai a mobilitare il resto delle masse popolari e instaurare il socialismo.”
Paolo Babini.
Organizzazione e forme possibili della militanza comunista: partito di massa o partito di quadri?
di Michele Franco (Rete dei Comunisti)
La Rete dei Comunisti – nel corso del suo complesso percorso di ridefinizione teorica e politica che ha compiuto negli anni alle nostre spalle – ha sempre dedicato al tema dell’ organizzazione una notevole attenzione.
In premessa vogliamo fare una avvertenza, prima di tutto a noi stessi, essendo questo un Seminario che ricopre anche una funzione di autoformazione per tutti noi.
Una ripresa di attenzione culturale e politica oggi verso questa tematica non può avvenire in maniera astratta o principista. Questa affermazione di metodo e di sostanza è per noi un punto fermo.
Non possiamo limitarci a ripercorrere i sacri testi del marxismo-leninismo e l’esperienza consumata nei cicli storici del passato. Una discussione di questo tipo se compiuta con questa attitudine minerebbe ogni possibilità concreta e materiale di sviluppare una coerente pratica politica utile alla nostra soggettività e riproporrebbe quella parodia dei comunisti di cui – francamente – non avvertiamo nessuna esigenza.
Ed è per questo – come abbiamo scritto nel documento di convocazione di questo Incontro e come tentiamo di articolare nei ragionamenti interni ed esterni alla Rete dei Comunisti – che la questione dell’Organizzazione diventa la “posta in gioco” attorno cui attestare una ipotesi politica che punta alla costruzione di una Organizzazione/Partito Comunista all’altezza delle sfide della contemporaneità capitalistica.
Dicevo che questa sollecitazione non nasce oggi: qualche anno fa abbiamo dedicato un numero della nostra rivista Contropiano a questa discussione. Un numero, esaurito nella forma cartacea, che è possibile scaricabile integralmente dal sito della Rete dei Comunisti. Una documentazione, che raccoglie, tra l’altro, alcuni materiali selezionati di carattere storico, a cui richiamiamo anche in riferimento alla discussione di questo Seminario. (http://www.retedeicomunisti.org/images/pdf/Contropiano_9_13_interno_bassa.pdf)
La riflessione da cui siamo partiti afferma che nel dibattito – non solo italiano – su questo tema il problema che riscontravamo, e che ancora riscontriamo anche in contributi che in questi mesi circolano nell’area militante, è riconducibile ad una sorta di “rimosso” nella discussione che periodicamente si accende su questi temi.
Verifichiamo che, spesso, avviene una operazione di rimozione di fondamentali snodi teorici rispetto alla questione dell’organizzazione sia quella afferente il movimento di classe e sia quella che riguarda i comunisti.
Molto sinteticamente possiamo affermare che nei decenni alle nostre spalle si sono perpetuate sostanzialmente due visioni, quella classica del partito “leninista” (molto tra virgolette) e quella movimentista, presuntamente democratica, dove si affermava, a parole, che avrebbe dovuto prevalere la relazione “orizzontale” tra i compagni.
Queste concezioni si sono, di fatto, limitate a ripetere, stancamente, le ipotesi organizzative della fase storica precedente del movimento comunista.
In effetti, al di la del formalismo ideologico e scolastico, queste interpretazioni, hanno riproposto, di volta in volta, una modellistica statica, sostanzialmente immutabile, dell’organizzazione del movimento di classe e dell’organizzazione/struttura del soggetto politico comunista.
Insomma, per tali concezioni teoriche e politiche, l’organizzazione è comunque una costante data nel tempo mentre tutti gli altri fattori cambiano e si modificano velocemente sotto i nostri occhi.
A nostro avviso riperpetuare questo andazzo è una vera e propria contraddizione che, alla luce della situazione odierna, equivale ad un pugno nell’occhio ed ad uno svilimento del nostro lavoro. Una autentica contraddizione che se non affrontata risolutamente diventa foriera di disastri sul piano politico quando prova ad impattare con la cruda realtà e le difficili dinamiche sociali.
Che cosa è stato, colpevolmente o inconsapevolmente, rimosso da questa tematica?
Secondo noi, in questo tipo di elaborazioni, sono stati eliminati alcuni “particolari” fondamentali che svuotano la sostanza dell’agire e della politica comunista.
Nei ragionamenti che critichiamo ritenendoli insufficienti ci si è dimenticato, consapevolmente e spesso anche inconsapevolmente, di quanto incidono sulla soggettività politica gli eventi storici precedenti. Queste interpretazioni evitano di comprendere come interviene la modifica della condizione e della composizione di classe e ignorano le dinamiche generali che agiscono nel fondo della società e nella sovrastruttura e che, probabilmente, determineranno effettivamente le caratteristiche delle organizzazioni di classe del prossimo futuro.
Insomma, da parte di queste scuole teoriche variamente classificabili, è stata operata un’incredibile rimozione teorica rispetto alla capacità avuta dal movimento comunista e dal marxismo rivoluzionario che – nei punti alti delle sua storia passata e recente – ha sempre analizzato, discusso e modificato le proprie forme organizzate in relazione al contesto generale e particolare in cui si stava operando.
Il ripercorrere ed il riproporre, quindi, questa metodologia diventa ingiustificabile per chi si propone la costruzione di una società alternativa al capitalismo in una fase dove la complessità e la contraddittorietà sono un evidente dato strutturale delle sofisticate forme del dominio capitalista.
L’organizzazione, da quella afferente i settori di classe fino a quella che attiene alla soggettività organizzata (il partito), non è la definizione di un modello valido nei secoli ma è un corpo vivo che cresce, si rafforza o s’indebolisce rispetto al suo contesto di riferimento. Oltre 150 anni di storia del movimento comunista organizzato, nelle varie parti del pianeta, hanno dimostrato, a volte pure tragicamente, la validità di questo concetto.
Allora è sulla scorta di tale riferimento politico che bisogna ragionare per dedurre e dare forma adeguata ed agente all’ azione dei comunisti per sostenere le sfide che si presentano innanzi a noi.
Naturalmente – a scanso di interpretazioni opportuniste, liquidazioniste e vagamente post/moderniste – va salvata nelle modifiche che intendiamo praticare la questione del “Fine” a cui puntiamo ossia l’obiettivo strategico della trasformazione dello stato di cose presente e il bagaglio teorico storicamente accumulatosi che è necessario per affermare tale necessità!
In sintesi dobbiamo capire di quale organizzazione dobbiamo dotarci nel contesto storico e materiale che stiamo vivendo qui in Italia e nella prospettiva della battaglia strategica che riteniamo essere quella della rottura del polo imperialista dell’Unione Europea.
Le forme dell’ Organizzazione Politica e la militanza comunista.
Se è valida la concezione per cui a seconda delle fasi storiche e delle condizioni materiali della classe e della sua dislocazione muta la forma dell’Organizzazione è evidente che anche per noi – come Rete dei Comunisti – si apre un problema di comprendere come strutturare la forma della nostra militanza.
Siamo convinti, non da oggi, che la forma del Partito di Massa ha esaurito la sua funzione nella società.
Siamo convinti che occorre fare un bilancio di questa modalità che è stata per molto tempo la caratteristica dell’organizzazione dei comunisti nel nostro paese.
La forma del Partito di Massa che abbiamo conosciuto e che si è lungamente consumata a partire dalla mutazione genetica del vecchio PCI si fondava prevalentemente su tre punti forti:
il rapporto di massa che era delegato, sostanzialmente, alla grande CGIL;
la partecipazione a qualsiasi costo alle elezioni intendendo con esse l’unica ragione di esistenza; una caratteristica questa che è valsa fino agli ultimi epigoni alla Rifondazione ed affini;
una attività legata solo alla propaganda astratta e generica (le feste, le campagne elettorale, il tesseramento);
Noi riteniamo che questo tipo di forma politica ed organizzativa sia inadeguata, non solo per i risultati e gli esiti a cui siamo approdati, ma, soprattutto, per la complessità delle sfide, molte di tipo inedito, che abbiamo dinnanzi. In Italia e non solo.
Come Rete dei Comunisti sosteniamo da tempo e ci sforziamo di mettere in pratica un processo di organizzazione fondato sul “Partito dei Quadri”.
Diciamo subito, a scanso di equivoci, che per noi tale scelta è un obiettivo in fieri – ancora tutto da raggiungere – consapevoli, materialisticamente, delle immani difficoltà che una moderna forma della militanza comunista incontra nei suoi processi di organizzazione concreta.
Disgregazione sociale, deserto culturale, ristrutturazione selvaggia del lavoro e della società e veri e propri processi di individualizzazione e desolidarizzazione sociale rendono complicata ed irta di difficoltà la possibile militanza comunista.
A differenza del passato non esiste più un automatismo culturale e politico che produceva uno stretto legame tra il protagonismo popolare e di massa e le forme dell’emancipazione soprattutto individuale dei soggetti che si mettevano in campo e decidevano di assumere anche responsabilità di tipo individuale.
Oggi – dentro una società frammentata/liquida e con le macerie accumulate delle recenti sconfitte politiche – la scelta della militanza comunista è necessariamente una decisone soggettiva che avviene controcorrente verso tutti gli aspetti, formali ed informali, del pervasivo dominio capitalistico.
La scelta del Partito, o meglio dell’Organizzazione di Quadri, non è dettata da settarismo (che come giustamente si afferma nel Documento è una condizione molto poco “gratificante” anche per tutti noi) ma dalla situazione concreta in cui agiamo ed è il prodotto logico e consequenziale dei ragionamenti che facciamo lungo tutto l’arco delle questioni politiche che affrontiamo.
Sia chiaro – e lo diciamo prima di tutto a noi stessi – costruire una Organizzazione di Quadri non significa porre un limite alla crescita quantitativa del numero dei compagni o adagiarsi in una logica da micro setta o da club di presunti intellettuali. Tale tendenza sarebbe letale per la creatività e lo sviluppo dell’azione politica a tutto tondo a cui la Rete dei Comunisti allude nella sua legittima ambizione politica.
Infatti, anche con lo svolgimento di questo Seminario, cogliamo l’occasione per segnalare, come problema in corso d’opera della RdC, il tema del proselitismo, delle adesioni e della formazione teorica, politica e, soprattutto, pratica dei compagni che arrivano alla nostra Organizzazione.
Compagni che per età, collocazione sociale, percorso politico precedente sono molto diversi tra loro e che se – all’immediato – rappresentano una potenziale ricchezza umana e politica segnalano, però, un problema di conquistare un unitario metodo di relazione tra loro e di una centralizzata ed adeguata capacità di necessario lavoro politico verso l’esterno.
Alla luce di questa condizione oggettiva Partito/Organizzazione di Quadri significa, essenzialmente, puntare alla qualità della militanza e al continuo adeguamento alle crescenti richieste che provengono dalla pieghe della società e dai suoi veloci mutamenti.
Si tratta per noi – consentiteci la citazione – di rendere attuale, tenendo conto delle trasformazioni avvenute, la lezione leninista del Che Fare e del conseguente rapporto tra soggetto politico organizzato ed oggetto e materia sociale.
In sintesi, volendo visualizzare schematicamente il nostro assunto, i tre capisaldi su cui accendiamo la discussione tra noi e con i nostri interlocutori sono:
Nessun modello organizzativo precostituito: questo dato è già indicato nel testo di Lenin. Tale avvertenza, del buon Vladimiro, serviva ad indicare che il processo di formazione dal partito Russo non era rieditabile in tutti gli scenari. Ancor di più dopo un secolo questa premessa occorre averla in mente per poter agire oggi. (su questo passaggio rimandiamo ad uno scritto di Stefano Garroni contenuto nell’opuscolo Partito e Teoria realizzato circa 15 anni fa);
La forma Partito come sintesi. Se una forma politica compiuta deve coniugare, in maniera non puramente sommatoria o, peggio ancora burocratica, la spontaneità con l’organizzazione tale passaggio – ancor di più nei paesi a capitalismo maturo – può delinearsi solo come sintesi ossia come strumento dialettico nel processo di costruzione del soggetto superando ogni approdo economicistico e particolarista. Naturalmente – come è evidente dalla pratica politica che conduciamo – questa dimensione va intesa in forma dialettica e progressiva in avanti altrimenti riproporremmo un approccio idealistico o quella sorta di feticismo dell’organizzazione che abbiamo criticato nel Documento di convocazione del seminario;
Il necessario rapporto di massa. Lenin nel Che Fare insiste molto su questo punto. Anche noi intendiamo riprendere questa preoccupazione. Riteniamo, infatti, che nella contemporaneità capitalistica, in presenza di una crisi sistemica del capitale, non basta, per una organizzazione comunista, ricercare una connessione con i settori di classe sulla base di un programma di rivendicazione economico/sindacale/sociale. Ma, in virtù di tutti i ragionamenti che abbiamo svolto, crediamo che i comunisti devono sforzarsi di ricercare con la classe e con alcuni settori di avanguardia un legame anche di tipo squisitamente politico altrimenti nessun aspetto sociale, nessuna battaglia tradeunionistica o settoriale potrà essere da viatico ad un concreto processo di avanzamento, di rottura e di liberazione;
Questo dibattito, questa discussione e questo confronto non vogliono essere né una disputa dottrinaria e né un astratto esercizio dove rappresentiamo le divergenze con questa o quella scuola teorica o accademica afferente al marxismo.
La lunga e diversificata storia del PCI, l’esaurimento politico della sinistra rivoluzionaria degli anni ’70 e della stagione della lotta armata, l’ascesa e la rovina della Rifondazione Comunista e le variegate suggestioni movimentiste ci indicano che da questi terreni di esperienze, di analisi e di scontro occorre partire per formulare un rigoroso bilancio critico ed autocritico di uno scorcio storico e materiale fondamentale per la vicenda dei comunisti nel nostro paese.
Infatti, come Rete dei Comunisti, per quel poco o per quel tanto che rappresentiamo, ci sforziamo di alimentare tale discussione – come dimostra questo Seminario ma anche le assemblee nelle varie città che abbiamo svolto nei mesi scorsi sulla base di una Lettera Aperta – nella battaglia politica, nel contrasto ad opzioni moderate e fuorvianti e nella indispensabile tensione internazionalista del nostro agire.
Ed è con questa attitudine che discutiamo al nostro interno e con i compagni interessati al lavoro che svolgiamo auspicando con loro un possibile coinvolgimento fraterno ed unitario per rafforzare, per davvero, una moderna opzione comunista organizzata nel nostro paese e nell’intero spazio europeo.