Tre questioni su cui la sinistra salottiera alimenta confusione

E’ molta la confusione sul funzionamento della società borghese. Una confusione creata ad arte, per alimentare lo smarrimento e la sensazione di impotenza tra le masse popolari. I professoroni della sinistra borghese dall’alto delle loro cattedre sono parte integrante di quest’opera di intossicazione: anzi sono il principale “altoparlante” direzionato verso l’orecchio degli operai, lavoratori e studenti più attivi. Per diversi decenni ci hanno detto che la classe operaia era morta, che la composizione di classe e il mondo del lavoro erano talmente cambiati (precarietà, sviluppo dell’informatica, globalizzazione, ecc. ecc.) che l’analisi marxista della società borghese era superata, che il capitalismo aveva trovato una sua stabilità, che non erano più possibili crisi, che non erano più possibili guerre “tra paesi occidentali”, che il comunismo era un insieme di orrori ed errori e che l’unica via da seguire era rendere il capitalismo più umano.

Gli avvenimenti del 2008 (entrata della seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale nella sua fase acuta e terminale) hanno sconvolto questi dotti ragionamenti. Ma come se nulla fosse, questi tromboni, senza fare un minimo di autocritica, hanno iniziato a suonare una “nuova” litania: dalla crisi attuale si può uscire solo attraverso l’aumento della spesa pubblica da parte del governo (come fatto con la crisi del ’29), la borghesia può governare la crisi (e, forse, la crisi è solo una manovra mediatica costruita ad arte per giustificare l’eliminazione dei diritti conquistati delle masse popolari e fare nuove guerre) e, ovviamente, il comunismo è un ideale (utopia, sogno) irrealizzabile e bisogna puntare a riformare il capitalismo (anche attraverso dure lotte e misure come l’uscita dall’Euro).

Analizziamo questi ragionamenti uno per volta.
I nostri professoroni dicono che dalla crisi del ’29 si è usciti grazie alle politiche economiche adottate dal governo USA (il New Deal di Roosevelt) ispirate alle ricette keynesiane: aumento della spesa pubblica che ha creato lavoro e, quindi, ha elevato la capacità di acquisto delle persone, ha “fatto girare l’economia” superando la fase di stallo (la crisi). Da qui la linea politica che essi ne traggono: spingere con le buone (pianti, petizioni, referendum) o con le cattive (lotte dure) i governi a investire sulla ricerca e la tecnologia, a intervenire nell’economia, ecc. I sostenitori di questa tesi dimenticano però alcuni “piccoli dettagli”: nello scorso secolo l’economia è “inziata a girare” di nuovo solo a seguito di ben due guerre mondiali, delle immani distruzioni da esse prodotte (con grande gioia dell’industria bellica che ha registrato fatturati da capogiro) e dall’immensa opera di ricostruzione che ne è seguita, dal nuovo assetto mondiale determinato dalle due guerre (gli imperialisti USA hanno prevalso su quelli inglesi, subordinandoli a sè). Sono questi sconvolgimenti che hanno dato al capitale in eccesso che non riusciva a essere valorizzato nuove valvole di sfogo, facendo “ripartire l’economia”! Non solo, la Rivoluzione d’Ottobre (1917) ha aperto la strada alla prima ondata della rivoluzione proletaria che in meno di trent’anni ha trasformato un terzo dei paesi del mondo in paesi socialisti (un terzo dell’umanità si è liberata dalle catene del capitalismo), ha distrutto il sistema coloniale e guidato la classe operaia e il resto delle masse popolari dei paesi imperialisti in vittoriose lotte per la conquista di diritti e superiori condizioni di vita (costringendo anche la borghesia ad adottare misure contro la sua natura per timore di perdere tutto!).
Questo non ci dicono i nostri professoroni, riducendo tutto a posti di lavoro creati dal governo Roosvelt che hanno permesso l’acquisto di merci invendute!
I nostri professoroni ci dicono anche che la borghesia imperialista può governare la crisi. I più arditi ci dicono, addirittura, che siamo di fronte a una “crisi creata a tavolino” (fittizia), a un “complotto giudaico-massonico” (perché farci mancare un po’ di anticaglie nazionalsocialiste?) e che, comunque, la “borghesia saprà gestire la situazione”. E’ talmente tanta la loro fiducia nella classe dominante e il loro legame intrinseco con essa che perdono di vista completamente la realtà! Ieri ci dicevano che la crisi non era possibile e ora ci dicono che di sicuro la borghesia saprà uscirne se non addirittura che è una farsa orchestrata ad arte. Anche qui, però, i fatti hanno la testa dura. Se così fosse, infatti, perché i contrasti tra gruppi imperialisti USA e franco-tedeschi crescono? Perché la tendenza alla guerra aumenta? Perché aumenta l’opera di attacco e sabotaggio contro gli “Stati canaglia” e la Russia? Perché la guerra si sta avvicinando sempre più “alle porte dell’Occidente”? Perché i gruppi imperialisti più forti divorano con sempre maggiore violenza quelli più deboli? Perché si susseguono colpi di mano, scandali, inchieste a orologeria, ecc. all’interno della classe dominante? Perché un papa è stato rimosso e posto in stato di libertà vigilata? Non solo: perché le assemblee elettive diventano sempre più “blindate”, le elezioni vegono sempre più “schivate”, la repressione aumenta (si estende dalle avanguardie di lotta alle masse popolari), la “guerra tra poveri” viene sempre più fomentata? La verità è che le società borghesi sono in crisi, sono ingovernabili, lacerate da profondi conflitti tra gruppi borghesi e da contrasti crescenti tra borghesia e masse popolari. Altro che “banda del buco”: ogni capitalista fa “banda a sé”, per difendere il proprio “spazio vitale” deve violare quello degli altri, per non sopperire deve combattere. Il capitalismo è per sua natura anarchico: non può esistere un capitalismo organizzato, una sorta di “piano del capitale” (progetto di governo dell’economia, come se il sistema fosse una sorta di grande cooperativa) perché il motore del sistema è il profitto del singolo capitalista. E da questa catena il sistema non si può liberare.

Il comunismo è un ideale, un’utopia, ci dicono queste dotte cornacchie. Non può esistere produzione fuori dal capitalismo. Forze produttive e capitalismo sono ormai un’unica cosa: forza-lavoro, materie prime, infrastrutture, macchinari, professionalità, tecnica e scienza sono ormai fusi indissolubilmente al capitale. Senza padrone e senza proprietà privata dei mezzi di produzione non possono esistere. Questo è quanto dicono. La verità è che le forze produttive nel tempo sono diventate sempre più collettive e il capitale, che ne ha favorito lo sviluppo, ormai le soffoca, è una gabbia, una camicia stretta. “Per accrescere la produttività del lavoro dei suoi operai, la borghesia ha dovuto rendere le forze produttive sempre più collettive, cioè tali che la quantità e qualità delle ricchezze prodotte dipendono sempre meno dalle capacità, qualità e caratteristiche del singolo lavoratore e dai suoi sforzi personali (la sua dedizione al lavoro, la durata del suo lavoro, la sua intelligenza, la sua forza, ecc.). Esse dipendono invece sempre più dall’insieme organizzato dei lavoratori (il collettivo di produzione), dal collettivo nell’ambito del quale l’individuo lavora, dai mezzi di produzione di cui questo dispone, dalle condizioni in cui lavora, dalla combinazione dei vari collettivi di lavoratori, dal patrimonio scientifico e tecnico che la società impiega nella produzione e da altri elementi sociali. In conseguenza di ciò il lavoratore isolato è ridotto all’impotenza: egli può produrre solo se è inserito in un collettivo di produzione (azienda, unità produttiva). Ma nello stesso tempo si sono create le condizioni perché crescano la produttività del lavoro, la coscienza della massa dei lavoratori, la loro capacità ed attitudine a organizzarsi, cioè a costituirsi in collettivo e a dirigersi, la loro attitudine a svolgere attività umane intellettualmente e moralmente superiori, le attività specificamente umane” (dal Manifesto Programma del (n)PCI, nota 9).

E’ proprio questa contraddizione insanabile tra forze produttive divenute collettive e rapporti di produzione capitalisti il motore, la base oggettiva della lotta per il comunismo. “A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti… dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale… e non si può giudicare una simile epoca di svonvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare quesya coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente tra forze produttive della società e i rapporti di produzione” (K.Marx, Introduzione a Per la critica dell’economia politica).

I comunisti sono gli ostetrici della nuova società, una società che è cresciuta nel grembo del capitalismo, su spinta del capitalismo stesso e che per nascere, a differenza dei precedenti sistemi, richiede un’azione cosciente degli uomini, non può farsi a loro insaputa. Come diceva Marx: “Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente”.

carc

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