Il 25 aprile cade il settantesimo anniversario della Liberazione dal nazifascismo, il più alto punto raggiunto in Italia dalla classe operaia nella sua lotta per il potere. Andando col pensiero a quel periodo, a molti verranno in mente le brigate partigiane, la guerriglia instancabile contro le forze nazifasciste, i Gruppi di Azione Patriottica (GAP) e le Squadre di Azione Patriottica (SAP) che nelle città svolgevano compiti di sabotaggio e azioni armate proprio sotto il naso del nemico. La Resistenza non fu però solo lotta armata, che pure ne costituì un aspetto fondamentale: il fulcro del processo che portò alla Liberazione, quello che rende la Resistenza il punto più alto raggiunto in Italia nella costruzione della rivoluzione socialista, fu la progressiva costruzione, attorno al PCI e tramite i CLN (Comitati di liberazione nazionale), di un nuovo potere popolare che si contrappose a quello fascista sino a sopravanzarlo ed eliminarlo.
La Resistenza insegna. La rivoluzione non scoppia, ma si costruisce costruendo il nuovo potere. Questo è uno degli insegnamenti principali, universali, di quella esperienza. Da considerare per definire il che fare oggi, in una fase che, pur tenendo presente le differenze tra quel periodo e l’attuale, ha vari punti in comune: una situazione di crisi generale del capitalismo, una spiccata tendenza alla guerra imperialista, un governo del paese che si comporta come una forza occupante e ne spreme le risorse e le masse popolari per il profitto dei circoli della finanza mondiale, similmente a come la Repubblica Sociale Italiana spremeva il paese per conto delle classi dominanti che si erano messe al seguito del regime nazista e della sua macchina da guerra.
Gli embrioni del nuovo potere popolare. I CLN sorsero spontaneamente dopo l’8 settembre 1943 per l’esigenza della lotta antinazista e antifascista. L’organismo centrale si formò a Roma il 9 settembre 1943, ad opera di sei partiti antifascisti (comunista, azionista, democratico cristiano, demolaburista, liberale, socialista), raccolse, potenziò, coordinò e inserì in un quadro nazionale l’azione svolta dai Comitati sorti spontaneamente e ne promosse la formazione di nuovi, ramificandosi con la creazione di CLN regionali, provinciali e locali. Agiva come un vero e proprio governo centrale dotato di proprie forze armate (le brigate partigiane), con pieni poteri e contrapposto alle autorità nazifasciste. Nel contempo i CLN locali svolgevano, in primo luogo nelle zone sotto occupazione tedesca, la funzione di nuovo potere a livello di regione e provincia, di città e rioni, di fabbriche e villaggi, organizzando scioperi e sabotaggi della produzione, distribuendo le risorse e i viveri sequestrati ai treni diretti in Germania alla popolazione affamata dalla guerra, dirigendo le azioni dei GAP e delle SAP in città e delle brigate di montagna e di pianura e fungendo in definitiva da tramiti tra il CLN centrale e le masse popolari. Nell’estate del 1944 si realizzarono alcune tra le espressioni più compiute del nuovo potere popolare, le Repubbliche Partigiane, zone libere dall’occupazione tedesca (dipendenti dal CLN Alta Italia) dove si insediarono giunte di governo, che non si limitarono ad affrontare le contingenze imposte dallo stato di guerra, ma crearono le istituzioni democratiche che dovevano prefigurare il nuovo assetto politico dell’Italia liberata.
Anima e principali promotori dei CLN furono i comunisti, grazie al loro legame con la classe operaia e al radicamento nella società, alla robustezza e ramificazione della loro organizzazione clandestina, alla decisione e fermezza nella lotta al nazifascismo, al prestigio dell’URSS presso le masse popolari e al suo supporto attivo attraverso l’Internazionale Comunista: il PCI promosse l’unità con le altre forze democratiche all’interno dei Comitati, in cui erano, per quanto possibile, rappresentati sempre tutti i partiti antifascisti, nell’ottica della politica da fronte decisa nell’ambito dell’Internazionale Comunista per unire e utilizzare tutte le risorse disponibili nella impari lotta contro le truppe della RSI, sostenute dalla potente macchina da guerra tedesca.
In cosa consisteva il potere esercitato dai CLN? I CLN furono in grado di esercitare il potere poiché raccoglievano la parte più avanzata e attiva della classe operaia e delle masse popolari, erano di queste masse espressione e al servizio dei loro interessi. Il complesso della loro attività era volto a mobilitare le migliori energie per mettere fine all’occupazione tedesca, agli effetti peggiori della guerra e della dittatura in cui li aveva precipitati la borghesia.
Successivamente al 25 aprile, furono i CLN l’unico organo capace e pronto ad attuare le misure necessarie a riprendere la “normale” vita nel paese appena liberato e avviare la ricostruzione: le loro disposizioni e iniziative, in virtù del sostegno popolare, divennero decreti legge, riconosciuti dalla stragrande maggioranza della popolazione, fatti osservare con l’ausilio dei corpi armati partigiani. Fu esercitando il potere al servizio delle masse popolari e mobilitandole a risolvere i propri problemi, che i CLN e i suoi membri impararono a farlo e acquisirono la forza, cioè il consenso e il pubblico riconoscimento del proprio ruolo, agendo inizialmente per rispondere alle questioni contingenti sino a coordinarsi e muoversi all’interno di un piano organico per liberare il paese.
Insurrezione generale. La mattina del 25 aprile di settant’anni fa il CLNAI lanciò l’insurrezione generale, dando ordine a tutte le formazioni partigiane di attaccare i nazifascisti e imponendogli di “arrendersi o perire”. Il CLNAI emanò poi in prima persona dei decreti legislativi, assumendo il potere “in nome del popolo italiano e quale delegato del Governo Italiano” e stabilendo la condanna a morte per tutti i gerarchi fascisti. A Milano la strategia insurrezionale, di cui era protagonista la classe operaia che ingrossò notevolmente le fila della Resistenza in quei giorni, prevedeva la presa delle fabbriche nella cintura della periferia e la convergenza dei partigiani verso il centro, dove erano le principali sedi del governo repubblichino. Nel frattempo le brigate di montagna sarebbero confluite verso la città dall’Oltrepò e dalla Val Sesia. L’azione riesce pienamente e quando il 28 Aprile gli alleati entrano in città la trovano, grazie all’azione del CLN, avviata alla ripresa di una normale attività: trasporti pubblici funzionanti, i vigili dirigono il traffico, le banche hanno riaperto gli sportelli, a Palazzo Marino il sindaco Greppi ha preso posto dietro la scrivania e la Giunta Comunale della liberazione è in piena attività; i CLN aziendali sono riuniti per affrontare e risolvere i problemi immediati della ripresa del lavoro e molte fabbriche sono già tornate in attività.
Per illustrare meglio il funzionamento dei CLN a Milano nei caotici giorni della liberazione riportiamo alcuni passi dal libro di Giovanni Pesce Quando cessarono gli spari (Feltrinelli, 1977): “E’ merito del CLN Lombardia, diretto da Sereni, l’aver investito, durante il periodo clandestino, i delegati di ogni livello dei poteri civili per agevolare la normale ripresa della vita democratica durante l’insurrezione e immediatamente dopo.(…) tutti messi in grado di agire in forza del loro mandato prima che i tedeschi fossero definitivamente cacciati e i fascisti sterminati. Ogni autorità doveva rispondere del proprio operato direttamente al CLNAI e ai suoi CLN regionali. (…) a questa preparazione si deve se dopo l’insurrezione nell’Italia del Nord e in Lombardia non si ebbe il caos, e in brevissimo tempo le fabbriche, le banche, gli uffici poterono riprendere la propria attività e i rifornimenti essere assicurati. Tutto il peso del dopo Liberazione ricadde sui CLN nell’ambito delle proprie competenze territoriali. Si trattava di reperire, difendere, distribuire le scorte alimentari, far marciare treni e i trasporti pubblici cittadini, salvare le macchine nelle fabbriche, le reti telefoniche e idriche nelle città. I CLN locali sotto la direzione diretta del CLN lombardo provvidero alla confezione del pane tutti i giorni; a procurare una casa gli sfollati che rientravano, ad assicurare la continuità del lavoro, a mantenere le strade in efficienza, a premettere agli ospedali di essere in grado di funzionare e alla farmacia di rimanere aperte. I CLN rappresentavano il nucleo sostanziale della popolazione attiva della città; erano strumenti di direzione e di salvaguardia, di attività politica e coordinamento tra le varie categorie. Dopo la liberazione, al CLN milanese, come d’altra parte ai CLN di villaggio, toccò il compito di insediare il sindaco e le giunte (…) Il settore più delicato d’intervento per il CLNAI fu la “giustizia”.(…) Undici giorni dopo l’insurrezione, al Palazzo di giustizia di Milano si riprendevano le udienze civili e penali. (…)”.
Riprendere il cammino interrotto. La Resistenza insegna, abbiamo detto. Insegna che la rivoluzione non scoppia e che la rivoluzione non si costruisce ampliando e radicalizzando le lotte rivendicative; insegna che si costruisce nel rapporto fra Partito comunista, classe operaia e masse popolari, un rapporto che si sviluppa e si consolida solo nel processo di costruzione del nuovo potere.
Si tratta oggi di riprendere il cammino interrotto e portare a compimento l’opera iniziata dai comunisti, dagli operai e dai partigiani, superando i limiti e correggendo gli errori che hanno impedito di condurre fino alla vittoria la lotta non solo per liberare il nostro paese dal nazifascismo, ma per costruire “un ordine nuovo”: per instaurare il socialismo.
Il ruolo della classe operaia e la “Stalingrado d’Italia”
I compiti delle fabbriche insorte a Milano erano di natura estremamente complessa: da un lato imponevano agli operai di sabotare la produzione destinata alle forze occupanti tedesche e fasciste, dall’altra esigevano la salvezza del patrimonio popolare minacciato di distruzione dal nemico in fuga. Una rapida ripresa produttiva era la conclusione necessaria e lo scopo dell’azione armata.
Questo programma esigeva che il sabotaggio fosse organizzato scientificamente. Ai fascisti e ai tedeschi non sarebbe sfuggita l’origine di certi guasti, ritardi e freni della produzione, ma essi non dovevano mai avere le prove necessarie per giustificare rappresaglie.
(…) L’azione dei resistenti nelle fabbriche non si ferma al sabotaggio; al momento dell’insurrezione gli operai impugnano le armi. Quantitativi relativamente limitati di armi vengono introdotti clandestinamente nelle fabbriche; il loro impiego è destinato ai più esperti, a coloro che le hanno già usate in combattimento. Costoro, nelle ore che precedono l’insurrezione, disarmeranno tedeschi e fascisti per poterne recuperare le armi e consegnarle ai compagni che ne sono privi. (…) Per combattere, gli operai non aspettano che il CLNAI sancisca ufficialmente il loro ruolo decisivo nell’insurrezione e nella ricostruzione, ma è certo che quando nelle fabbriche, la mattina del 25, arriva la notizia del decreto che istituisce i consigli di gestione, lo slancio e l’entusiasmo proletario trovano nuova energia. A liberazione avvenuta quasi tutte le fabbriche di Milano riprenderanno la loro attività per iniziativa delle maestranze; i delegati degli operai si improvviseranno dirigenti e, valendosi della collaborazione dei tecnici non compromessi, dimostreranno di essere in grado di mandare avanti la produzione.
(…) Il nucelo più organizzato dell’antifascismo operaio a Sesto è stato forse quello delle Acciaierie Ferriere Lombarde Falck. Nonostante la continua repressione i nuclei di resistenza della fabbrica non furono mai liquidati del tutto. (…) L’8 settembre, dopo la fuga della famiglia reale da Roma, una delegazione di operai Falck, insieme alle maestranze di altri stabilimenti di Sesto, chiese al comandante militare della piazza di Milano, generale Ruggero, le armi per combattere i tedeschi. Il comandante rifiutò; allora gli operai passarono all’incetta clandestina di armi e continuarono a organizzare imponenti scioperi.
(…) Uno dei primi atti a Sesto S. Giovanni subito dopo la liberazione è quello di eleggere l’Amministrazione cittadina. A sindaco è designato Rodolofo Tamagni, un operaio della Breda. L’amministrazione si mette subito al lavoro. Non è un compito facile: c’è da sgomberare le macerie, da ricostruire, rimettere in moto la produzione e sanare le falle economiche; c’è da pensare all’approvvigionamento e a far riprendere le lezioni nelle scuole. Numerosi operai offrono gratuitamente al Comune ore di lavoro giornaliere dopo i turni in fabbrica; tra i primi gli operai della Breda. Questi volontari, suddivisi in squadre, sgomberano le macerie, riparano le case meno danneggiate per ospitarvi numerose famiglie senza tetto.
(…) Un altro episodio riguarda il colonnello Charles Poletti, governatore militare alleato per la Lombardia. Un giorno Poletti viene a Sesto ed entra nell’ufficio del sindaco col cappello in testa. Tamagni, vedendosi all’improvviso davanti lo sconosciuto, si alza e chiede cosa desidera. “Sono il colonnello Poletti” risponde l’interpellato, “il governatore della Lombardia”. Il sindaco fissa per un momento quell’uomo tanto sicuro di sé e gli risponde: “Se lei è il governatore della Lombardia e può entrare nell’ufficio del sindaco senza togliersi il cappello, io, operaio comunista, sindaco di questa città, posso rimettermi il mio!”. Toglie dall’attaccapanni il suo cappello e se lo mette in capo, poi si siede dietro la scrivania.
Da Quando cessarono gli spari, G. Pesce – Ed. Feltrinelli, 1977
La Pirelli di Milano il 25 Aprile 1945