Renzi vuole cancellare la CGIL, nonostante la Camusso…

I lavoratori organizzati possono tutto
I
l governo Renzi-Berlusconi ha ripreso, a un livello superiore, l’obiettivo perseguito dalla banda Berlusconi (nel 2002 con il Patto per l’Italia sottoscritto con CISL e UIL e nel 2009 con l’accordo sul CCNL sottoscritto con CISL, UIL e UGL): isolare e far fuori la CGIL. Nel nostro paese, la CGIL resta l’anello debole del sistema di controllo sui lavoratori che la borghesia attua attraverso i sindacati di regime: per il ruolo che occupa, per la sua composizione, per la sua tradizione, è il sindacato che i promotori della mobilitazione reazionaria devono eliminare per realizzare i loro disegni. Per quanto sia diretta da una cricca di parassiti collaborazionisti alla Camusso (una cricca che è cresciuta grazie alla decadenza e ai limiti del movimento comunista), alla CGIL sono ancora iscritti migliaia e migliaia di operai, di lavoratori e di pensionati con esperienza di organizzazione e di lotta, molti con la bandiera rossa nel cuore e nella CGIL il potere della destra sindacale è più precario che negli altri sindacati di regime. E, al suo interno, la FIOM raccoglie il grosso della classe operaia e il nocciolo duro di essa, i metalmeccanici.
La linea di rottura intrapresa dal governo Renzi-Berlusconi alimenta la mobilitazione popolare e costringe anche i sindacati di regime a mobilitarsi e mobilitare, fosse anche solo o principalmente per interessi di bottega. La CGIL non è solo RSU e RSA, ma anche una struttura di migliaia di funzionari, comprende istituti, cooperative, agenzie, fondazioni, fondi pensioni… un giro di relazioni e interessi che penetra fin nelle articolazioni dello Stato (Moretti ne è l’emblema: dal sindacato ai vertici delle Ferrovie).
Ma non è solo questo che costringe CGIL e FIOM a muoversi, anche se preferirebbero rimanere nel campo degli annunci anziché dover passare ai fatti. Il governo Renzi-Berlusconi a braccetto con Marchionne, Serra e l’ala più oltranzista e avventuriera del padronato colpisce duramente i lavoratori in generale e in particolare quei settori in cui tradizionalmente il sindacalismo di regime ha un grande peso (oltre ai metalmeccanici, il pubblico impiego). E se non hanno il sostegno dei lavoratori, se il sostegno da parte dei lavoratori cala oltre un certo limite, CGIL e FIOM non servirebbero più né ai lavoratori né ai padroni e il loro ruolo al tavolo dei padroni e delle loro autorità verrebbe meno. Non sarebbero più loro a “trattare” e a “rappresentare” ai tavoli che contano la controparte dei vertici della Repubblica Pontificia. La CGIL e la FIOM sono costrette a muoversi, anche se preferirebbero rimanere nel campo degli annunci anziché dover passare ai fatti. La combinazione di questo aspetto con quello precedente spinge anche altri sindacati di regime a “fare la voce grossa”: la UIL ha recentemente dichiarato (19 ottobre) che contro il mancato rinnovo del contratto del pubblico impiego assumerà forme di lotta radicali a partire dalla disdetta del protocollo del 2001 che regolamenta gli scioperi.
Il terzo aspetto che spinge la CGIL e la FIOM ad attivarsi è la spinta dal basso degli operai e degli altri lavoratori. Sono sempre di più le mobilitazioni dei lavoratori (ma in questo caso è più preciso dire degli operai) che nascono e si sviluppano indipendentemente (in certi casi senza il sostegno, in altri anche contro la volontà) dai vertici sindacali e che li costringono a schierarsi, prendervi parte, o almeno prendere posizione. Dei tre aspetti, quest’ultimo dipende direttamente dall’orientamento dei lavoratori avanzati, dalla loro iniziativa, dalla loro mobilitazione ed è quello che, se perseguito con determinazione, lungimiranza e cognizione di causa, si giova degli altri due e sfrutta la lotta fra vertici della Repubblica Pontificia e la CGIL.
Infine, sulla CGIL e sulla FIOM influisce l’azione di incalzo svolta dai sindacati alternativi e di base e dalle mobilitazioni da essi promosse. I sindacati di regime, in particolare la CGIL, hanno dalla loro i numeri, ma sanno di non godere più della rendita da monopolio. All’indomani dello sciopero generale del 24 ottobre e della manifestazione CGIL del 25, l’USB ha concluso che: “ la mancanza di indipendenza dai partiti e dalle istituzioni, è indice di debolezza e di un atteggiamento ultra-difensivo, comportamento che non può certo indicare al mondo del lavoro quella via di uscita che servirebbe, ma rinchiude la CGIL in se stessa e nei suoi inutili rituali. Tutto ciò dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, la necessità di cambiamento, di politiche sindacali aggressive, di una vera alternativa sindacale: questo è il vero messaggio che hanno inviato la maggioranza dei lavoratori che sono scesi in strada in tutte e due le giornate”. In realtà la posta in gioco non è l’alternativa sindacale, ma l’alternativa politica! Se gareggiano con la CGIL sul terreno delle lotte rivendicative, i sindacati alternativi e di base sono surclassati ogni volta che la FIOM e la CGIL si mettono in moto e, come queste, avranno via via meno seguito man mano che sarà evidenza comune che le lotte rivendicative da sole non pagano. Se invece si fanno promotori dell’offensiva, cioè se uniscono le lotte rivendicative alla promozione di un movimento di lotta sindacale e politico per dare al paese un governo adeguato a far fronte da subito agli effetti (almeno quelli peggiori) della crisi, spingono anche la FIOM su questa strada e svolgeranno un ruolo chiave nella situazione attuale.
E’ dalla combinazione di questi elementi che deriva la linea degli scioperi al rovescio, della lotta contro il Jobs Act e lo smantellamento delle fabbriche annunciata (per ora solo annunciata) dalla FIOM: non è che Landini sia stato “folgorato sulla via di Damasco”! E’ da qui che è nata la manifestazione del 25 ottobre, una manifestazione non solo indetta, ma anche (per la prima volta dopo anni) preparata attivamente dalla CGIL e che ha portato in piazza contro il governo Renzi un milione e passa tra lavoratori pubblici e privati, pensionati e precari.

I comunisti e gli operai avanzati possono sfruttare la crepa aperta tra il governo e la CGIL, dare seguito alla mobilitazione del 25 ottobre e fare in modo che le aspettative suscitate non vadano deluse ma diventino la marea montante in grado di invertire la rotta.
Prendere l’iniziativa, non lasciarla nelle mani collaborazioniste della Camusso (e neanche in quelle oscillanti di Landini). A Camusso & C. interessa mantenere le loro poltrone con tutti gli annessi e connessi, il massimo degli obiettivi a cui arrivano è indurre il governo Renzi-Berlusconi a essere meno arrogante, a fare dietrofront su una o l’altra misura e nel frattempo continueranno a invocare una politica economica e industriale che nessun governo dei poteri forti vuole e può fare. Promuovere iniziative che costringano i dirigenti della CGIL e della FIOM a passare dalle parole ai fatti o a perdere la faccia, che favoriscano il coordinamento e l’unità d’azione dei lavoratori, che coalizzino le nostre forze e indeboliscano il campo nemico.
Usare in modo mirato e su scala crescente il metodo delle leve. Un organismo più piccolo, ma con una buona comprensione della realtà (e a questo gli serve il legame con i comunisti), capace di concentrare le sue forze su un bersaglio e deciso a farlo, può mobilitare la parte più avanzata (la sinistra) di un organismo più grande; la sinistra una volta mobilitata determina l’azione dell’intero organismo e questo, con la sua azione mobilita la sinistra di un organismo ancora più grande con un effetto a catena. Proprio perché il ruolo, la forza di organizzazioni come la CGIL e la FIOM (e il valore che hanno per lo stesso padronato) dipendono dal seguito e dal consenso che ancora hanno presso le masse, i gruppi di lavoratori avanzati possono arrivare a condizionarne l’azione (a farle ballare alla musica che sta bene ai lavoratori) direttamente o attraverso l’azione dei sindacati di base. La lotta contro il piano Marchionne tra il 2010 e il 2011 è l’esempio più vicino a noi in tal senso.

Assemblea permanente alla Titan. No alla chiusura e ai licenziamenti!

Martedì 17 ottobre si è svolta l’assemblea sindacale alla TITAN di Crespellano, azienda che produce dischi per le ruote dei trattori e sistemi frenanti e che occupa nello stabilimento di Crespellano 193 lavoratori, per informare i lavoratori su quanto emerso nell’incontro tenutosi ieri pomeriggio in Confindustria a Modena.

Nel corso dell’incontro di ieri il gruppo dirigente di Titan Italia ha informato i delegati sindacali dei due stabilimenti di Crespellano e di Finale Emilia della decisione assunta dal board del gruppo Titan (multinazionale americana) di procedere con la chiusura del sito di Crespellano e di spostare parte delle produzioni a Finale Emilia, stabilimento che tra l’altro è già interessato da un significativo ricorso ai contratti di solidarietà.

L’azienda ha annunciato a questo proposito che nei prossimi giorni avvierà una procedura di mobilità (licenziamento collettivo) per tutti i 193 dipendenti del sito di Crespellano.

Tutti i delegati presenti all’incontro di ieri hanno definito inaccettabili le decisioni della multinazionale, dal momento che alla chiusura dello stabilimento di Bologna e ai licenziamenti si aggiunge un chiaro disimpegno dell’azienda dal nostro paese, che arriva dopo cinque anni in cui i lavoratori hanno fatto fronte con cassa integrazione, procedure di mobilità e contratti di solidarietà ai cali di volumi registrati nei mercati di riferimento.

L’assemblea dei lavoratori Titan di Crespellano, insieme a tutta la RSU e alla FIOM di Bologna ha deciso all’unanimità di dare una risposta ferma e decisa alla multinazionale americana: da questo momento tutti i lavoratori sono in assemblea permanente, giorno e notte, e dallo stabilimento non uscirà nemmeno un bullone.

C’è un problema enorme di democrazia, anche economica, perché non possiamo pensare di trovarci di fronte a scelte immodificabili che si traducono in drammi sociali.

I dirigenti americani che hanno preso decisioni devastanti per il territorio e i lavoratori devono venire a discutere qui anche di possibili percorsi alternativi e di un vero piano industriale che preveda il mantenimento dell’occupazione e delle professionalità. Per questo chiediamo anche un intervento immediato e deciso delle Istituzioni a tutti i livelli.

Bologna, 17 ottobre 2014

RSU TITAN Bologna FIOM CGIL Bologna (da occupytitan.wordpress.com)

Facciamo del 14 novembre lo sciopero generale che non c’è

Appello a Landini – La manifestazione CGIL del 25 ottobre ha dimostrato che esiste una disponibilità di massa alla mobilitazione contro le politiche del governo. La stessa composizione della piazza testimonia una ritrovata grande partecipazione di giovani, precari, lavoratrici e lavoratori. Un popolo che da anni conosce il precipitare della propria condizione anche grazie all’assenza di una rappresentanza adeguata e di un’iniziativa generale di contrasto alle politiche d’austerità. La continuità che la piazza del 25 ha chiesto non c’è perché lo sciopero generale della CGIL non c’è, con il rischio serio che quella disponibilità si trasformi in nuova disillusione, nuova passività e rassegnazione. Il prossimo 14 novembre sarà una giornata di lotta. Un cartello ampio e variegato che va dal sindacalismo conflittuale a molte realtà di movimento ha lanciato lo sciopero sociale, lo sciopero generale. Il tentativo, dopo molto tempo, di coniugare la rappresentanza tradizionale del lavoro con le nuove forme di lavoro precario, atipico. Una scommessa importante che cerca di immaginare forme e dimensioni efficaci del conflitto dentro e fuori i luoghi di lavoro. Sappiamo che la Fiom ha deciso da tempo di proclamare lo sciopero nazionale della categoria. Quale data migliore del 14 novembre per i metalmeccanici? Dalle fabbriche agli uffici, alla scuola, al commercio il 14 novembre assumerebbe, grazie a questa positiva sinergia, il tema della generalizzazione dello sciopero. Nel nostro paese, a differenza di quanto accade in gran parte d’Europa, la divisione sindacale è tale che non si è mai arrivati ad un fronte comune nemmeno tra chi, con giudizi comuni, si oppone ai provvedimenti del governo. Eppure la gravità e la durezza dell’attacco sono tali che tutti dovrebbero porsi il problema della riunificazione delle lotte, come misura minima per dare loro l’efficacia necessaria. Facciamo del 14 novembre il primo atto di un percorso di ricostruzione di un ampio fronte sociale. Proviamoci.

Sergio Bellavita, portavoce nazionale de Il sindacato è un’altra cosa (dal sito della Rete 28 aprile)

I Disoccupati Organizzati occupano asilo abbandonato

Roma, 24 ottobre. I Disoccupati Organizzati, nuovo movimento nato da qualche tempo in alcuni quartieri romani, hanno occupato un asilo nido sito in via Don Primo Mazzolari, a Ponte di Nona.

Obiettivo della protesta, sostenuta dall’USB, spingere il Comune di Roma ad aprire la struttura, costruita sul Punto Verde Qualità, in grado di ospitare fino a140 bambini e pronta da anni. Eppure nella zona ci sono più di 700 famiglie in lista di attesa per iscrivere i bambini negli asili nido.

L’occupazione prevede un fitto programma di attività per tutto il fine settimana. In particolare un Corso di formazione “per animatori del tempo libero”, che si terrà nei locali dell’asilo tra sabato 25 e domenica 26. Nel pomeriggio di sabato è prevista anche un’assemblea con i comitati di quartiere del territorio, tra i quali il Cdq di Corcolle.

Domenica ci sarà l’assemblea costitutiva dell’Associazione di Promozione Sociale dei Disoccupati Organizzati, che ha già costruito una lista di necessità fondamentali del territorio alle quali si potrebbe far fronte creando posti di lavoro: dalla cura del verde alla manutenzione degli immobili, in particolare delle case popolari; dai rifiuti alla cura delle persone, fino al settore culturale, un ampio spettro di bisogni penalizzati nella periferia romana.

Sempre domenica è annunciata la consegna simbolica delle chiavi dell’asilo al Presidente del VI Municipio, a segnalare l’intento di restituire la struttura al quartiere, con l’obiettivo di vedere presto realizzato un nuovo servizio (da Contropiano.org).

 

 

pdnemico

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