E’ urgente, è possibile, è necessario
Che fossero davvero un milione di persone quelle scese in piazza il 25 ottobre per la manifestazione della CGIL o un po’ meno è del tutto secondario. E’ stata prima di tutto la più rappresentativa della classe lavoratrice, la più popolare e, ben oltre le intenzioni dei promotori, la più grande manifestazione contro il governo, la più politica. Proprio per la sua composizione è la mobilitazione che più di tutte porta con sè e rilancia su vasta scala la contraddizione fra i limiti delle concezioni rivendicative (chiedere al governo e ai padroni) e la carica della prospettiva (costruire l’alternativa, diventare il governo del paese). Il centro della questione è il ruolo che quelle centinaia di migliaia di persone, in larga maggioranza lavoratori e in gran parte operai, possono assumere e assumeranno nella situazione politica del paese.
E’ superficiale fermarsi alla denuncia che la Camusso non ha alcuna intenzione di dare seguito a quello che ha promesso dal palco e che Landini non sia del tutto convinto a dare seguito alla parola d’ordine di occupare le fabbriche: se così non fosse questo paese, i lavoratori e la masse popolari, non sarebbero l’osso da spolpare per la Confndustria, Marchionne, la Troika, gli imperialisti USA, il Vaticano.
Piuttosto ragioniamo sul fatto che prima e intorno alla manifestazione della CGIL ci sono state tante, diffuse, mobilitazioni: studenti e precari, lavoratori e operai, le manifestazioni contro la devastazione ambientale e le speculazioni, contro il razzismo, lo sciopero generale dell’USB, in tutto il paese gli operai sono in lotta contro i licenziamenti, scendono in strada e occupano i consigli comunali, occupano le aziende e le sedi di Confindustria (come a Livorno). Queste mobilitazioni alimentano l’ingovernabilità del paese, cioè spingono il governo Renzi-Berlusconi (e tutte le sue emanazioni a livello nazionale e locale) nel vicolo cieco di governare senza consenso, di governare con i lavoratori e la classe operaia all’opposizione, cioè di non poter governare. Qui si infrangono i proclami di “mister 40%” e le analisi allarmate di quelli che gli avevano dato retta, qui si infrangono i tentativi di elemosina di 80 euro e gli anatemi contro i lavoratori che si erano fatti abbindolare.
Con una piazza come quella di Roma del 25 ottobre, con le piazze che i lavoratori dell’USB hanno presidiato scioperando coraggiosamente, con i presidi alle aziende, con le mille piccole e particolari forme di disobbedienza e resistenza, non ha alcuna realistica prospettiva il limitarsi a chiedere a governi e governanti di essere meno oppressivi, ladri, ingordi, spietati.
Se questo movimento, nel suo complesso, avesse la forza per imporre questa o quella riforma solo con l’utilizzo della richiesta, questo paese sarebbe diverso. Ma le riforme non si chiedono, si conquistano. Per ogni riforma è necessaria una battaglia e la concatenazione delle battaglie fa una lotta, quella per imporre un governo delle organizzazioni operaie e popolari, per farlo ingoiare ai vertici della Repubblica Pontificia in virtù del fatto che le masse popolari, i lavoratori e la classe operaia faranno strenua, diffusa e capillare opposizione a ogni governo emanazione dei poteri forti. Cioè non permetteranno a nessun governo di governare.
Con questo ragionamento siamo nel campo delle considerazioni generali e teoriche. Sarebbe bello, ma non ci riesce. Sarebbe bello, ma alla Camusso non passa neanche per l’anticamera del cervello. Sarebbe bello, ma non siamo abbastanza organizzati. Sarebbe bello, ma con tutti questi ma, forse non è tanto bello, viene da pensare.
Se entriamo nel campo delle cose concrete, il ragionamento è: sarebbe bello, quindi cosa posso fare, cosa possiamo fare, cosa dobbiamo fare?
Che le condizioni generali spingano verso quella direzione non lo diciamo per vizio o perché si è incantato il disco, è un movimento concreto ma del tutto, ancora per ora, inconsapevole e incosciente di centinaia di migliaia di persone, milioni contando quelle che ne sono influenzate direttamente anche se non sono attivisti sindacali o militanti politici, che imparano dall’esperienza concreta: chiedere al boia di fare piano non serve a niente. Cosa posso fare, cosa possiamo fare, cosa dobbiamo fare? Intanto e prima di tutto, indicare la costruzione di un governo di emergenza popolare come un obiettivo chiaro. Basta girare intorno alle parole per non dare un nome all’alternativa: siamo tutti per l’alternativa, ma se non diciamo quale alternativa lasciamo le porte aperte al primo narcisista e capopolo che ci sa fare più di noi a dare un nome qualunque alle ambizioni di cambiamento che serpeggiano fra le larghe masse. E lasciamo spazio ai vari Salvini e truppe cammellate varie, pappagalli dei padroni travestiti da populisti.
Che ognuno da sè combina poco, anche questa è una lezione che ci è stata impartita, a tutti, dalla pratica. Infatti non fanno che rincorrersi appelli al coordinamento. Sono giusti, coordinarsi è giusto. Ma su cosa bisogna coordinarsi? Non è vero che più siamo a protestare e meglio ci sente il boia, quindi farà piano. Il boia è il boia che noi siamo tanti o pochi, nervosi o rassegnati, conflittuali o collaborativi. E’ vero invece che essere in tanti, coordinati, ha un peso specifico sia nel ragionare (trovare soluzioni), che sul fare (attuare le soluzioni che abbiamo ragionato), che nel mobilitare (far valere, ognuno, la sua rispettiva rete di contatti e relazioni, mettere in condivisione esperienze e strumenti, risorse, conoscenze).
In terzo luogo, cosa dobbiamo fare? Ripartiamo dall’ABC dei rapporti reciproci sani: ognuno ha una responsabilità nella cura, nella formazione, nell’orientamento e nella capacità organizzativa degli altri. Chi parla di coordinamento e non si interessa del livello intellettuale, morale, politico e organizzativo di quelli che chiama a coordinarsi, che ne sia consapevole o meno, distrugge con le mani quello che vuole costruire a voce. Abbiamo bisogno di una rete, capillare, solidale, che sappia valorizzare le caratteristiche di ognuno attorno al processo di costruzione di quell’alternativa che si chiama governo di emergenza popolare del paese. In questa rete tutti abbiamo un ruolo e dobbiamo averlo (ce lo abbiamo anche se capita che non tutti intendono, riconoscono, valorizzano quello degli altri), quello di massima importanza e responsabilità lo ricoprono i comunisti (perché sono i promotori della costruzione di una società nuova, quella che il bilancio della storia dell’umanità indica che deve succedere al capitalismo) e la classe operaia (quelli che il paese lo fanno andare grazie al loro lavoro, alle conoscenze e ai rapporti esistenti fra loro in virtù delle relazioni che il capitalismo ha creato, consolidato e sviluppato). Dopodichè un posto e un ruolo ce lo hanno tutti, anche chi dice che la classe operaia non esiste più, anche chi sostiene di non essere per nulla comunista, perché lui è “moderno e adeguato ai tempi”.