Scriviamo questo articolo che lo sciopero metropolitano del 14 novembre è in preparazione, ma questo numero di Resistenza sarà diffuso anche dopo. Non per questo il contenuto dell’articolo sarà superato dai fatti, gli argomenti e le conclusioni proposti sono e saranno di stretta attualità: prima dello sciopero, dopo lo sciopero, qualunque bilancio sarà fatto di quella giornata…
Lo sciopero sociale che si svolgerà il 14 novembre, la cui costruzione è stata promossa a partire dallo Strike Meeting svoltosi a Roma nei giorni 12, 13 e 14 settembre, porta in sé l’aspirazione a ricomporre un movimento che si sviluppi nel tempo. Punta a farlo sulla base di una piattaforma di rivendicazioni: per il diritto all’istruzione e contro la scuola aziendalista, per un salario minimo europeo, per un salario minimo garantito sganciato dallo svolgimento di un qualsiasi lavoro (altrimenti detto reddito di cittadinanza), per il diritto all’abitare, per il mantenimento dell’art.18, per il rilancio degli investimenti pubblici e per il welfare. Messa così, si scontra con un problema: queste rivendicazioni dovrebbero essere soddisfatte da quelle stesse autorità che ci stanno trascinando ogni giorno di più nel vortice della crisi generale del loro sistema, del sistema che gestiscono e difendono ad ogni costo. Che ci si rivolga al governo Renzi-Berlusconi o all’Europa, che si chieda o si pretenda, il risultato non cambia: la natura di queste autorità nella fase di crisi del capitalismo e di debolezza del movimento comunista lascia niente o poco spazio alla soddisfazione delle richieste delle masse popolari. Siamo sotto attacco, stanno eliminando quanto resta delle conquiste strappate durante la prima ondata della rivoluzione proletaria del secolo scorso, è una guerra con cui la borghesia e il clero cercano di tenere in piedi a ogni costo il sistema di relazioni sociali capitaliste nonostante sia superato.
Ma ammettiamo anche per un momento che riusciamo a imporgli un cosa che va contro tutto quello che stanno facendo e che per i capitalisti e le loro autorità è contronatura. E’ evidente che per farlo dovremmo metterli con le spalle al muro, dovremmo mettergli addosso una paura boia di perdere tutto: è così che in passato (quando il movimento comunista era forte) siamo riusciti a strappargli cose per loro effettivamente contronatura come il CCNL e l’art. 18, le norme a tutela della salute e in qualche misura anche dei diritti civili e politici dei lavoratori, le norme a tutela della maternità, le garanzie in caso di anzianità, malattia e invalidità, i sistemi scolastici e sanitari più o meno gratuiti, ecc. Però a quel punto, perché dovremmo accontentarci del reddito di cittadinanza, perché dovremmo accontentarci delle briciole? Tanto più che abbiamo sperimentato sulla nostra pelle che, se il potere resta in mano ai capitalisti e alle loro autorità, in definitiva prima o poi quello che hanno dovuto darci ce lo tolgono.
E allora? È inutile rivendicare miglioramenti in favore dei precari, giovani e non, degli studenti, dei lavoratori autonomi? No, certo. Però il grosso di chi ha un lavoro precario, sottopagato, part-time, a progetto, a chiamata ecc. o chi non ha neppure quello ed è disoccupato, aspira a vedersi istituzionalizzata una simile condizione con l’elargizione di una elemosina sotto la forma di un reddito di cittadinanza o a un lavoro vero, utile e sicuro?
Dobbiamo effettivamente unire in unico movimento le lotte del precariato metropolitano, degli studenti, dei migranti, dei disoccupati a quella degli operai delle aziende capitaliste per prevenire o contrastare le chiusure, le delocalizzazioni, i ridimensionamenti e a quelle dei lavoratori delle aziende pubbliche contro le privatizzazioni, i tagli, il blocco dei contratti, lo smantellamento delle attività pubbliche. E un passo in questa direzione è che per il 14 novembre hanno indetto sciopero vari sindacati alternativi e di base: Cobas, CUB, USI, USB. La cosa principale a questo fine è avere un obiettivo realistico, positivo e di prospettiva per tutte le masse popolari. E’ su questa base che salta la contraddizione che padroni e governo cercano di creare tra “garantiti” e precari (rendendo tutti precari) e cresce l’unità intorno alle aziende che grazie alle condizioni organizzative più favorevoli possono diventare centri di mobilitazione generale.